martedì 5 dicembre 2006

durbans

non aveva una di quelle facce particolari che, per bellezza o per bruttezza, rimangono vive nella memoria. era la classica comparsa nello spettacolo della vita. e diciamo che quella vita era la mia nella quale, dopo qualche insignificante comparsata, si ritrovò nel pretenzioso ruolo di antagonista.

la nostra casa non era grande ma il verticale sviluppo permetteva una certa dose di privacy che mi era parsa congeniale. l'appartamento si sviluppava lungo un angusto corridoio sul quale si affacciavano le marroni porte delle nostre stanze e del bagno. la cucina/salotto era il capo del lungo verme e l'uscio il culo. sempre che i vermi ne posseggano uno. essendo la mia stanza a pochi metri dall'ingresso potevo entrare ed uscire passando inosservato nonostante il mio pesante passo ubriaco. all'inizio fu proprio così. era come vivere da solo, durbans lo incontravo di rado e ogni volta si limitava ad accennare un sorriso sguercio con la sua dentatura spostata dieci gradi a sinistra. parlavamo poco e le sue battute creavano un vuoto imbarazzante. al che io tornavo in camera e lui ai fornelli. lo passava cucinando, difatti, il tempo libero rassegnato ad un infimo destino. io me ne dispiacevo ma il più delle volte avevo altro a cui pensare. poi anche il mio futuro non mi precludeva grossi successi. fu per ovviare a questa situazione che mi trovai un lavoro "sicuro" e fu questo a far precipitare le cose.
l'omologazione degli esseri umani al tempo li porta ad una scarsa varietà nelle amicizie. i panettieri si conoscono tra loro, gli impiegati hanno i loro giri, gli studenti altri e così via. durbans era un impiegato ed ora anche io vestivo tali camicie di seconda scelta. i nostri orari avevano una discrepanza di 30 minuti ma, sfortunatamente, un ritardo congenito portava il mio coinquilino ad uscire e a rincasare ai miei stessi tempi. iniziò poi, dopo qualche giorno, anche a prendere l'autobus con me. io non ho mai trovato piacevole tenere conversazioni solo per evitare un silenzio tra conoscenti e di converso ho sempre amato eccessivamente l'ascolto della musica in ogni mio spostamento. provai a farglielo capire ma pareva permeabile come il granito ai miei timidi tentativi. iniziai dunque a sedermi solo o vicino ad altre persone. lui regolarmente si posizionava nelle vicinanze. percepivo il suo odore che ora mi nauseava. col tempo non sopportai più nemmeno la sua faccia, il suo sorriso e il suo ridere forzato alle proprie battute. "sempre diffidare da chi se le fa e se le ride" diceva mio zio. sviluppai una fobia che era più una mania di persecuzione. in 3 settimane decisi che era il caso di cambiare appartamento di nuovo. ritornai a vivere con mia madre. almeno lei aveva i denti dritti e non trovava divertente chiedere ridendo "ed oggi come esci?" in giornate piovose. perchè sì. lui amava la pioggia.

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