sabato 29 agosto 2009

Cristina e Franco

Quel pomeriggio non c’è molto da fare. Al bar di Franco c’è Cristina che gli fa compagnia compagnia. Galleggiano assieme in quel pomeriggio stanco. Discorsi molli, spontanei ed alternati. La cosa che ama Franco dell’estate sono quei momenti di calma. Gli uffici chiusi e l’odore persistente di intimità che acquisisce finalmente il bar. Cristina si domanda perché tenere aperto il bar per quei pochi che passano accaldati per una bottiglia d’acqua od un gelato confezionato. È seduta su uno sgabello colorato ed ergonomico al bancone. Scarabocchia un tovagliolo sottile griffato Essse Caffè.

“Si potrebbe andare al mare questo week end”
“Cosa mangiamo stasera?”
“Hai sentito Filippo?”

Domande veloci. Accusatorie. E Franco lava a mano un bicchiere. Lo asciuga. Annuisce perso in pensieri tangenziali. Caldo, caldo, caldo. Aria condizionata, surriscaldamento globale. Gente calda e cani caldi. Hot dog. Sorriso. Apparato digestivo da buttare. Riciclare. Inserire i vecchi consumi nei nuovi consumi. Le buste biodegradabili della Coop.

Alla radio ripetono ancora una volta le notizie della giornata.
Poco lontano il clacson di una macchina si fa sentire festante con due veloci squilli. Eco di altre vite.

Cristina e Franco si conoscono dai mondiali del 2006. Da quando si scoprirono entrambi disinteressati davanti ad un maxischermo a casa di amici in comune. Una casa nel fresco dei colli mica male. A quel tempo Franco aveva come unica occupazione sentimentale il proprio bar e Francesca si divincolava tra l’università da finire una occupazione in nero 3 sere a settimana in un pub e Stefano. Stefano era il suo noioso accompagnatore di quella sera nonché fidanzato. Il suo disinteresse trascendeva la partita in televisione, era generalizzato. Sembrava vivere la naturale prosecuzione della propria ombra. Senza alti ne bassi. Cristina si sforzava di dire non fosse così ma davanti ad una passiva accettazione del tradimento caddero tutte le sue argomentazioni.

Era successo prima della fine del 2007. Era già freddo e si era trovata per caso a passare dal bar di Franco. Una busta di Feltrinelli ed una birra piccola davanti. Era seduta allo stesso posto dove stava seduta ora e chiacchierava sfogliando un libro nuovo. Franco aveva servito gli ultimi clienti ed aveva abbassato la serranda a metà.
“Ora vado anche io” disse Cristina tenendo col dito il segno della pagina.
Aveva un maglione scuro sotto una sciarpa spessa e colorata. I capelli scuri raccolti in una piccola coda. Non portava lo smalto.
Franco scosse le spalle dissimulando disinteresse e si versò da bere. Sul tavolo sistemò i pochi avanzi dei panini del giorno tagliati a cubi ed un pacchetto di patatine fritte semitrasparenti. Da sottomarca generica.
Beveva appoggiato al tavolo in acciaio accanto alla macchina del caffè spenta.
Fuori un gran passare di gente che rincasava col passo pesante. Un esercito di sottili lemmings.
Le riempì ancora il bicchiere e lei smise di leggere.
Seguì conversazione standard.
Poi, a distanza di un paio di giorni stessa scena ma con più sesso fatto alla meno peggio su una poltrona accanto ai fusti pieni di birra.
In una settimana Stefano era a tutti gli effetti single e Franco aveva una passione da alternare al suo amore per il bar.

“Perché ami tanto questo posto da passarci l’estate?” chiede in un momento lei.
“Perchè si beve bene e costa poco” dice Franco in un sorriso.
“Offrimi qualcosa di fresco” dice lei buttando il tovagliolo scribacchiato.

sabato 22 agosto 2009

lasagne Coop

12.17: lo stomaco vuoto dà un sussurro violento. Vorace.
Veloce panoramica sulle alternative che offrono dispensa e frigorifero. Confezioni di pasta iniziate, riso, pomodoro in bric Tetrapak monodose, Tavernello bianco monodose, tonno, gouda, mozzarella, sottoli vari, crostini integrali comprati per errore, barattolo di pesto scaduto, burro, noccioline supersalate, maionese, ketchup, uova da allevamento a terra.
Indecisione.
Gomiti appoggiati ad un tavolo incastrano avambracci e testa.
Sudore.
Dante improvvisa una pentola di acqua sul fuoco.

Franco serve un caffè con l'orecchio teso verso il microonde. Una turista anglofona si è lasciata tentare dalle lasagne alla bolognese ed ora si guarda le unghie rosso anni '90 immersa in quell'improvvisato dehor estivo fatto di ventilatori incastrati in un indeciso pergolato in legno scadente. Ha un profumo sottile e tagliato di fiori nuovi che si mescola con la pessima qualità dell'aria. Afa. Con lei ci sono due bambini biondi che sembrano uno la riproduzione in scala dell'altro. Hanno il volto di quelle pubblicità dei biscotti con le famiglie felici. Tra gli altri tre tavoli vuoti c'è solo Diamante seduto inoffensivo nella sedia in plastica bianca con un sigaro in mano. Spento. L'interno cittadino del bar contrasta col pergolato estivo come i capelli scuri con gli occhi azzurri.

“anche oggi niente”
Dice l'avventore controllando i numeri del Superenalotto.
“e io che lavoro anche ad agosto. Un po' di fortuna me la sarei anche meritata. E invece niente. Nada. Mah. È proprio vero che piove sempre sul bagnato. Sa cosa le dico?”
“…”
“ancora una volta poi basta. Non ci gioco mica più a questa merdata. Che tutti quei milioni che si vincono poi ce li spendiamo noi scemi che ancora giochiamo. Va là che è una bella fregatura. Lo conosce lei qualcuno che ha vinto? No? Glielo dico io, si tengono tutto loro. Furbi loro!”
“Scemi noi!”
“Appunto”
“…”
“sa cosa le dico, mi dia ben una bella grappa morbida”
Il microonde continua col suo “whooo” circolare.
Il suono del tappo che lascia la bottiglia ricorda quello di un sasso buttato in acqua.
Poi: rumore liquido.
Fuori i bambini sudano attorno al tavolo. Irrequieti o festanti.
La donna considera il sigaro spento di Diamante.
Diamante recupera il bicchiere di bianco e beve sincronizzato con l'avventore.

C'è uno di quegli attimi di pausa utili per un flashback, per le inquadrature dall'alto della città, per cambiare argomento. Tutti sembrano cristallizzati nella loro essenza di personaggi bidimensionali fatti di obblighi più o meno eteroindotti che inevitabilmente si incrociano aggrovigliandosi in pensieri da sbronza estiva al vino rosso. Il mondo è fermo o distratto, il fuoco dell'attenzione è su concetti lontani e solari. Intangibili. Gli sguardi sono rassegnati ai rispettivi ruoli sociali ed alle aspettative supposte in base ad un percorso storico linearizzato per semplificazione. Per farne racconti fruibili a tutti.
Cosa siamo senza una storia da raccontare?
È una scena introspettiva da spaghetti western con meno sabbia e pistole. Qualcuno potrebbe sputare a terra ed invece finisce il ciclo di cottura delle lasagne griffate Coop. Pronte in appena 6 minuti.
Odore di besciamella e ragù.
Appetito.

12.32. Appunto.

martedì 18 agosto 2009

il culo di Dante parla col mondo

Mattina presto con la ressa dei vecchietti che discutono davanti agli annunci mortuari. Con i netturbini che cancellano le sbavature della notte lasciando una strada irreale. Postatomica. Franco dietro al solito bancone controlla nuovamente sul giornale l’estrazione del lotto. Il portico fuori ha il corpo molle di una biscia. Sudato freddo e fuggevole. Nessuno studente ancora, qualche turista spaesato si guarda attorno senza capire bene come divincolarsi da via delle Lame. E tornare a casa.
Dante aspetta che il sole alla finestra lo costringa ad alzarsi. Smuoverlo nel caldo record della seconda metà di agosto.
Il ventilatore sul soffitto gira a velocità doppia da tutta la notte. I pensieri sono rallentati assieme al corpo scomposto in una posizione poco pubblicitaria. Materasso coperto da un lenzuolo troppo piccolo e giallo, boxer lisi e peli irriverenti sull’ombelico.
Solitudine mista all’ansia da prestazioni che impone il tempo libero. Troppo spazio e troppe poche cose immediate da fare. Distrazioni azzerate da un monitor televisivo impotente da un paio di settimane.
Dante non riesce a tenere gli occhi chiusi, ma rifiuta di alzarsi per il confronto con la sua frenesia. Con i piatti perfettamente puliti ed ordinati nel loro scaffale e il pavimento sterile preservativo. Con una lettura interrotta per superbia. Invidia.
A lato del letto c’è un comodino ingombro di attrezzi di tortura mentale. Settimana enigmistica, blocco degli appunti, cubo di rubik, edizione di Moby Dick regalata da Repubblica. Nel primo cassetto socchiuso si intravede una sigaretta. È in un pacchetto etichettato: “ULTIMO DESIDERIO”. Arte contemporanea utile solo ad accompagnare una scatola triste di preservativi inutilizzata e qualche malinconica compilation in cassetta.
Dante si rigira lasciando una impressione al sudore del suo profilo sul cuscino. I capelli incollati in fronte.
“Oggi è mercoledì” si dice immaginando una agenda vuota fatta di obblighi immaginari. Morali.
Recupera il cellulare dai pantaloni corti abbandonati ai piedi del letto.
Un attimo dopo i convenevoli Nokia di rito TIM lo informa che il credito rimanente è di 0 euro e 33 centesimi. Aggiornato alle ore 3 e 45 di mercoledì 19/08/2009.
L’ultima chiamata è verso un numero sconosciuto.
Respira incerto. Ormai è chiara la pulsione all’alzarsi da letto.
Il piede destro tocca un pavimento già caldo.
Lo specchio rimanda l’immagine sfuocata di Dante che si infila gli occhiali dalla montatura nera e pesante. Alla moda.
Cammina verso la cucina col telefono in mano. Incerto come il sesso delle rane.
I piedi lasciano una veloce ombra bagnata sulle piastrelle bianche.
Frigorifero.
Latte da mezzo litro aperto da 2 giorni.
Cereali di una sottomarca. Sapore di biglietto per l’autobus.
Frutta prossima alla decomposizione.
Musica lenta di poche auto.
Volti e corpi conosciuti che sorridono sul muro nei loro formati fotografici standard.
Mattia, Cristina, Stefania, Dante. Francesca, Marco e Dante. Dante e un cane. Dante con un cappello di paglia, pezzi di corpo catturati da uno sguercio autoscatto, un piatto di salsiccia e fagioli. Un gruppo con alcoolici generici in mano e sorrisi grotteschi. Carla.
“Non si pensa con la bocca piena” galleggiano i cereali in un latte in tempesta.
Applausi da sit com.
Sul cellulare suona un numero sconosciuto.
Qualche secondo. Il tempo di svuotare la bocca e scaldare il cervello.
Difficoltà ad intonarsi con una melodia sorda.

“Pronto?”
“allooo?” risponde il Nokia con voce forte e sottile. Lontana e bionda.
“…”

Svezia, Finlandia, Polonia, Germania, Romania, Latvia?

“alezok? isabesiletznat!”
“Eh?”

Danimarca?

“You cal-led yes-ter-day? You o-k?”

Film anni ottanta non doppiati: Terminator 2, Die Hard, Nove Settimane e Mezzo.

“Yes”
“Co-ol! You know me?”

Rispondi, rispondi, rispondi!

“…no”
“Wh-y you cal-led?”
“I called you?”
“Yesterday night!”

Distacco.

“Ah, sorry. -Pausa. Respiro- Wrong number”
“Ok. No worries”
“Bye”
Click.

Dante guarda ancora un attimo il telefono come una bomba disinnescata.
La schiena ancora più imperlata di sudore ora asciuga fredda.
Ancora una volta deve essersi seduto sul cellulare mettendo in comunicazione il suo culo con qualche anfratto di mondo.

“il mio culo ha più vita sociale di me!” raccontano gli occhi stretti e casalinghi di Dante al paesaggio dissoluto della colazione.