martedì 26 ottobre 2010

Noccioline

Anche quella sera a cena avevo la mia busta aperta di arachidi tostate davanti. In quel periodo vivevo in uno di quegli ostelli con la cucina in comune. Una sistemazione necessariamente minimalista e sterile. Il frigorifero era diviso in scompartimenti numerati e chiusi con un lucchetto che mi ero dovuto comprare. Il mio scompartimento aveva un numero 7 nero disegnato con del nastro isolante. Sapeva di Amuchina e dentro non c’era molto spazio ma io mi accontentavo di poco. L’importante era avere qualcosa da raccontare. Ed era questo che facevo tutto il giorno oltre al lavoro in magazzino: raccontavo storie. Passavo ore ad inviare mail. Avevo anche ripreso a parlare con Stefania tanta era la mia urgenza di comunicare. Mi sembrava che se non avessi preso appunti tutto quel periodo sarebbe stato effimero come il ricordo di un sogno che si fa sfuggevole fino ad evaporare con la giornata travisato dal sapore indeciso degli impegni.
Sabrina era felice delle mie mail. Mi rispondeva sempre, era una certezza. Era bello saperla lontana. Era tranquillizzante come i genitori in riva al mare che mi guardavano nuotare da bambino. Mio padre aveva le mani sui fianchi. In quel momento mi sembrava avesse tenuto quella posizione rigida tutta la vita. Senza spostarsi un minimo. Indifferente all’erosione del tempo.
Mio padre si era limitato a dire “buon viaggio” quando sono partito. Mi aveva abbracciato e lasciato 150 euro in contanti. Ricordo l’odore di colonia ruvida come la sua barba che ricresceva.

Quella sera Sarah aveva riso guardandomi ancora una volta mangiare noccioline. Mi aveva chiesto se era tutto quello che mangiavo. Avevo risposto di non aver voglia di altro. Lei aveva sorriso ed era tornata ai fornelli dove la sua pentola bolliva pasta scotta. Sarah veniva da Colonia, era arrivata poche sere prima e presto se ne sarebbe andata. Avrebbe trovato casa per i mesi successivi che doveva passare a Madrid e poi avrebbe terminato la sua laurea in Pedagogia in Germania. Negli appunti che raccoglievo per parlare di lei le frasi iniziavano con mi piacerebbe e vorrei. Di certo non erano adatti per la mail che volevo spedire a Sabrina. Magari ne avrei parlato con Carlo. Avrei aggiunto che aveva una maglietta azzurra e la portava disinvolta senza reggiseno, che passava i pomeriggi al parco a leggere libri spessi e che sapeva di sapone di Marsiglia.
Quella sera però non riuscivo a dirle niente. Mi aggrappavo alle frasi di circostanza che conoscevo felice del fatto che è più facile comunicare quando non si conosce bene una lingua comune poiché ognuno capisce ciò che vorrebbe sentirsi dire. E generalmente all’estero ci si sente più soli al punto che finimmo a bere le poche birre che ero riuscito ad incastrare nella mia porzione di frigorifero nel patio. C’era un tavolo di ferro verde e delle sedie in stile traforate da miliardi di buchi che sembrava avessero un senso. Sopra c’era il cielo. Un cielo vivo che mi sentivo di viverci. A milioni di anni luce dalla realtà. Dalla preoccupazione di non sapere cosa sarei diventato.

Poi è successo che sono diventato uno stronzo come gli altri e Sarah è rimasta solo un racconto che parla di noccioline.

martedì 19 ottobre 2010

Lara, oh mia dolce Lara

Avvertenze:
racconto incredibilmente lungo e a tratti dostojevskianamente noiso. Sconsigliata vivamente la lettura agli amanti di F. Moccia, Joe R. Lansdale, G. Morozzi o S. King.


"Sei sempre il solito. Aveva ragione Pierantonia mettendomi all'erta quando ti ho conosciuto... Sono stata una stupida a non averle dato retta. Sei solo un povero coglione smidollato che alla prima parvenza di difficoltà anziché metterci le palle si nasconde sotto la gonna... E adesso leva le tende, quando torno non voglio trovare la minima traccia, organica o inorganica che sia, della tua lurida presenza e poi... sì, poi vaffanculo! Ma dico io..." e blàblàblà.

Se il buongiorno si vede dal mattino, sono quasi sicuro che oggi non sarà da annoverare tra quelli. Potrei sempre sbagliarmi, dopotutto sono trent'anni che lo faccio, ma sentirsi appellare con “povero coglione smidollato “ e sentirsi mandare a fare in culo di prima mattina, mi lascia un pò perplesso. Se poi ci aggiungiamo il dolore lancinante alla testa che mi schiaccia il cervello e la trivella che mi perfora lo stomaco, bingo!
Sono le sette e qualche minuto, in soggiorno la luce filtra copiosa dalle tende che dovrebbero essere oscuranti e Lara ha appena sbattuto la porta del nostro (bè, temo che da adesso debba essere definito suo) bilocale dopo avermi gettato addosso parole di fuoco del calibro di... "Pierantonia".
Già, quella pazza nevrotica repressa sua excoinquilina che mi odia sin dal primo giorno in cui l'ho incontrata e le ho vomitato nel lavandino del bagno. Non avevo digerito gli spaghetti, o almeno questo è quello che le ho raccontato la mattina dopo. Comunque sia da quel giorno non fa altro che definirmi un pagliaccio, un vigliacco alcolizzato, un disagiato, un disadattato e attenzione attenzione, ciliegina sulla torta: un depravato... Quest'ultimo temo sia per colpa di una composizione, secondo me molto carina, che avevo allestito in camera sua quando, per il suo compleanno, Lara le aveva regalato un peluche di Hello Kitti. In un lampo di genio avevo così deciso di disporre tutti i suoi peluche più quello nuovo di Lara sul letto in modo da simulare un'orgia. Sinceramente trovavo l'idea simpatica e ironica, giudicate voi: Winnie the Pooh s'incaprettava una fattissima Hello Kitti (che se lo merita con quell’espressione beota) mentre il panda della Trudi (Re indiscusso del Regno Onanista) si spippettava orgoglioso godendosi lo spettacolo in compagnia del vogliosissimo Hello Spenk che praticava una allegra fellatio (si legge fellazio in quanto è un termine latino) al buon vecchio Re Leone. Maledetta fervida immaginazione... non l'avessi mai fatto! Aprti oh cielo, quando Pierantonia l'ha visto ha cominciato a dare in escandescenza. In realtà sapete cosa vi dico? Lo dico piano perchè se mi sentisse Lara correrei il rischio di esser denunciato all'Ordine degli Psicologi per abuso della professione. In ogni caso, credo che Pierantonia abbia trovato in me un ottimo capro espiatorio sul quale catalizzare tutta la sua rabbia repressa accumulata in anni e anni di astinenza forzata dal sesso e per via del conflitto interiore che si porta appresso da quando suo babbo all’anagrafe l’ha registrata con quel terribile nome che non voglio nemmeno ripetere... ma poco male, non mi riguarda.
Devo ammettere che ultimamente i confronti verbali con Lara si susseguono sempre più frequentemente e spesso degenerano in vere e proprie interminabili discussioni,la maggior parte delle quali fondate sul niente. Ma stamattina penso che si sia spinta un pò oltre una semplice discussione fondata sul niente... Non riesco ancora a crederci, che la mia dolce e cara Lara mi abbia proprio mandato a fanculo e senza tanti giri di parole! Robe da matti. Temo proprio che questa volta dovrò aggiornare la "situazione sentimentale" nel mio profilo di Facebook.
Ma torniamo a noi, o meglio a Lara, la mia amatissima Lara: una ragazza tutta d'un pezzo che sa sempre con matematica precisione quello che vuole, quando lo vuole e soprattutto come lo vuole. Lara è una splendida psicologa junghiana ventottenne laureatasi in corso cum laude, femminazista nata sotto il terribile segno della Vergine. Porta un caschetto molto aggressivo nero corvino e ama fasciarsi quello splendido culo a mandolino che farebbe arrapare persino Monsignor Tettamanzi con jeans attillati maliziosamente strappati nei punti giusti. Ci siamo conosciuti casualmente al vernissage di una mostra d'arte contemporanea. Lei era stata invitata da una sua amica street artist (quelli che una volta erano chiamati volgarmente graffitari e oggi ricoprono una rispettabilissima posizione sociale), che vive tra Berlino, Londra, New York e Milano; una che sicuramente non soffre l’aereo come me... una del giro di quei giovani intellettualoidi vestiti con giacche in velluto anni 70 recuperate in chissà quale armadio dei genitori o acquistate al mercato di Camden Town, pantaloni a coste o jeans scampanati, occhiali dalle montature sproporzionate e dalle tinte improbabili con l'immancabile logo della Apple in bella mostra su qualsiasi supporto tecnologico, collante ormai indispensabile per svangare una noiosissima serata tra amici... Io invece ci ero capitato semplicemente perchè un amico aveva detto che si beveva gratis. Ed era vero, porca vacca se era vero!
Per tutta la sera aveva parlato ininterrottamente lei, la splendida Lara, spaziando dalle ultime avanguardie artistiche, alla difficile situazione politica birmana, passando un attimo ad analizzare la situazione sociale della donna iraniana nel ventunesimo secolo e finendo con un monologo sull’origine storica della cravatta (sembrava di ascoltare qualcuno che legge a voce alta un pò di XL Repubblica e un pò di curiosità della Settimana Enigmistica). Nel frattempo io mi limitavo ad annuire, sorridere e dissentire a seconda della circostanza, cercando con lo sguardo di richiamare l'attenzione di qualche buonanima di cameriere che mi rabboccasse il bicchiere. Avrò detto sì e no forse venti parole ma al termine della serata si era detta inspiegabilmetne soddisfatta della "bella chiacchierata" intrattenuta con il sottoscritto elogiando, tra l'altro, le mie doti di “ottimo ascoltatore” mentre io, sbronzo come un koala astemio di un circo bulgaro, non riuscivo nemmeno a trovare le parole per congedarmi e andarmene a casa. Fatto sta che non ricordo come ma riuscì a portarmi a casa sua dove, come ho accennato prima, non ho saputo far di meglio che interrompere la nostra attività sessuale dopo circa quindici secondi per andare a vomitare nel lavandino del bagno della povera Pierantonia. Se solo avessi avuto della Xamamina a portata di mano che chiavata avremmo fatto...
Tre mesi dopo quella memorabile serata, non paga della mia serie di brutte figure inanellate come perle della Normandia ed esposte alla cena di gala del Rotary, mi aveva chiesto di andare a vivere a casa sua. Nessuna delle mie poche ragazze avute in trent’anni mi aveva mai chiesto una cosa simile e, naturalmente mi trovai spaesato. Ma considerando che dove vivevo in quel periodo era molto più simile a un centro sociale bolognese degli anni settanta che a un vero e proprio appartamento in cui, come se non bastasse, dopo un anno non avevo ancora capito quali fossero i miei coinquilini e quali gli ospiti, gli amici degli amici e i parenti di primo, secondo e terzo grado, non ci pensai troppo prima di chiarirmi le idee e risponderle: ochei, arrivo per cena!
All'inizio è stato un idillio: Lara cucinava, Lara faceva la spesa, Lara puliva e soprattutto Lara mi voleva almeno tre volte al giorno: appena svegli, appena tornata dal lavoro e prima di addormentarci. Mi svegliava riempiendomi di baci, coccolandomi con dolci parole e mi portava la colazione a letto mentre mi elencava una serie interminabile di fantastici progetti per la giornata, nemmeno fosse di cinquantadue ore... Ma purtroppo il paradiso non esiste e ben presto quella fantastica situazione amorosa cominciò a sgretolarsi molto più velocemente di un castello di sabbia sotto il sole cocente del 13 di agosto su una spiaggia molto ventosa.
Meglio regnare all'inferno che servire in cielo mi son sempre detto ma forse ultimamente sto cambiando opinione al riguardo, caro il mio buon Milton!

La prima avvisaglia l'ho avuta quando, gradualmente, Lara ha cominciato a sostituire gli iperglicemici appellativi “amore”, “cucciolo”, “tesoro”, "topino" e via discorrendo, che stavo tra l’altro cominciando ad apprezzare, con il mio nome freddo, duro e crudo: Anselmo. Poi ha cominciato a diminuire il nostro monte ore giornaliero di attività sessuale passando rapidamente dalle tre volte al giorno al singolo coito serale, trampolino di lancio per approdare velocemente alla sola volta settimanale ed infine giungere alla tristissima copulazione “una tantum”. Il campanello d’allarme che mi ha tirato giù dalle nuvole è stato quando, di punto in bianco, Lara ha cominciato a riempire le mie calme e tranquille giornate con progetti, attività frenetiche, commissioni e appuntamenti “assolutamente da non rimandare” del tipo:
* portare le scatolette di purea di salmone e petto di tacchino all’associazione “Mondogatto” che accoglie tutti i randagi della zona entro le 10.30; nemmeno fossi io a portare la colazione a quegli spelacchiati ammassi di pelo portatori sani di toxoplasmosi e clamidiosi
* passare prima delle 12.00 dal gruppo d’acquisto (cui Lara appartiene) per ritirare le tre borse straripanti di pasta, legumi e olio extravergine d’oliva di non so dove
* ritirare in lavanderia le camicie stirate prima delle 15.00; quando sappiamo tutti che la lavanderia chiude comodamente alle 19.30 proprio per permettere alla gente di fare con comodo.
E, come se non bastasse ha pensato di creare un “calendario delle pulizie” che affisse al frigorifero (non che mi dispiaccia più di tanto ma, a titolo di cronaca, il calendario è andato a coprire una nostra foto scattata a Gardaland sulla discesa del Colorado Boat dove sono ritratto con una faccia da sacerdote pederasta con l’impermeabile aperto e la fronte grondante sudore...) in cui, in colore rosso e in stampatello, spiccava sempre e unicamente il mio nome un giorno sì e uno no. Infine ha cominciato a prendere la cattiva abitudine di chiamarmi a metà mattina, mentre riposavo ancora beato sotto il piumino di piume d’oca attendendo la sveglia delle 10.20 per riuscire ad essere a Mondogatto per le 10.30, sputandomi a spruzzo un elenco di tutto quello che avrei dovuto acquistare al supermercato entro pranzo:
* mezzo chilo di susine “non troppo mature ma nemmeno acerbissime, giuste!”
* tre pompelmi rosa “mi raccomando assicurati che non vengano coltivati in terra sionista”
* due confezioni di yogurt biologico ai cereali e due al naturale “con la data di scadenza il più avanti possibile”
* due avocado “mi raccomando annusalo... se non sente di niente prendimi una papaya matura o al massimo due banane platano”
* una confezione di detersivo biologico naturale per lavare i piatti
e, come se non bastasse, dovevo anche andare al commercio equo e solidale per prendere:
* incenso alla mirra pakistana
* tè verde in foglie Darjeling delle vette dell’Himalaja
* un infuso al finocchio brasiliano e ribes delle Ande cilene
* una confezione di Karkadè del monte Ararat
* sei bustine di menta piperita dell’altopiano dell’Atlante marocchino
* un chilo di zucchero di canna delle colture venezuelane.
Ero rapidamente regredito dal mio tanto agognato periodo patriarcale (dove il maschio, l'uomo è giustamente servito e riverito dalla femmina, la donna, in quanto è colui che rischia la pelle quotidianamente affrontando cinghiali e bisonti per sfamare la propria famiglia) alla temutissima dittatura femminazista retta dal Raìs Lara.
Ma bando alle ciancie, fondamentalmente penso che la situazione sia degenerata al punto da sfiorare il fondo perchè Lara non ha mai accettato appieno la mia condizione lavorativa. Quando ci eravamo conosciuti, quella famosa serata al vernissage, le avevo detto chiaro e tondo che ero uno scrittore e che stavo lavorando al romanzo della mia vita. Le aveo pure spiegato in cosa consisteva il mio progetto: doveva essere una sorta di saga familiare ambientata a metà ottocento in Francia che vedeva protagonista una giovane ragazza aristocratica innamorata dello stalliere di famiglia, un ragazzo umile, dallo sguardo sincero e intelligente, appartenente al movimento anarchico le cui idee lo avrebbero coinvolto nell’organizzazione (insieme alla cricca del buon Felice Orsini) di quello che risulterà il fallimentare tentativo di assassinare nel 1858 Napoleone III.
Un progetto ambizioso che aveva lasciato Lara letteralmente a bocca aperta, sbalordita. Era semplicemente ammaliata dal mio progetto. Spesso quando mi guardava traspariva in toto la sua ammirazione nei miei confronti e lodava la mia preparazione storico-politica-sociale che dava per scontato possedessi per poter affrontare tutte queste tematiche. Era coinvolta a tal punto dal progetto che spesso mi poneva domande talmente specifiche da cogliermi impreparato. Mi chiedeva se nel romanzo avessi intenzione di trattare anche la condizione delle donne nella Francia di metà ottocento oppure se le idee anarchiche avrebbero occupato un ruolo principale nell’economia globale della saga... Ovviamente nel mio romanzo avrebbe trovato posto qualunque cosa fosse uscita dalla bocca di Lara!
Ma, man mano che il tempo passava, tutto il suo entusiasmo nei confronti del mio titanico progetto sembrava appassire come una rosa nel microonde. Ogni tanto mi lanciava qualche frecciatina (a dire il vero nemmeno troppo velata) circa la mia attività del tipo: “possibile che in un anno che ti conosco non ti abbia mai visto una volta buttare giù una riga che fosse una, ma dico io...” oppure “quando sei silenzioso con lo sguardo perso nel vuoto spero sempre che tu stia pensando a come inserire nel romanzo l’importanza del contesto politico-sociale del nostro territorio che ha spinto Orsini ad architettare l’attentato a Napoleone III e invece scopro che la maggior parte delle volte è semplicemente che ti sei scolato una confezione di sei birre, ma dico io...” o ancora “come fai a stare intere giornate chiuso in casa senza fare niente, anzi ancor meno di niente, nulla! Ma dico io...”. Proprio così, qualsiasi frase partorita dalla bocca di Lara finiva con un inutile “Ma dico io...” lasciato fluttuare a mezz’aria. In ogni caso il mio essere scrittore dev’essere stato in qualche modo travisato nella testa di Lara. Alle volte era come se per Lara scrivere un romanzo fosse una cosa automatica e programmabile, del tipo, che ne so, mi sveglio una mattina e dico “oggi scrivo i primi due capitoli”. No, non funziona così, cara la mia amatissima Lara. No, no. Così è come fanno gli scrittori commerciali, alla F. Moccia, Joe R. Lansdale, G. Morozzi o S. King, quelli che sotto contratto, volenti o nolenti, devono rispettare una “tabella di marcia” imposta dall’editore. Ma io non sono uno di quelli. Io scrivo quando sento l’ispirazione, quando ne avverto la vocazione... Ah, alle volte con queste esternazioni Lara mi delude e, lo dico davvero, arrivo quasi a pensare di aver sopravvalutato le sue capacità intellettive. Poco male, d’altra parte ho sempre solidarizzato con i geni incompresi, con le menti eccelse di tutti i tempi, con coloro che sanno di possedere un talento ma convivono anche con la terribile consapevolezza di non poterlo mai spendere nella società di mediocri in cui sono costretti a vivere. Povero me. Poi mi consolo quando penso che anche Conrad, il buon vecchio Joseph Conrad, ha dovuto provare a spiegare a sua moglie che quando guardava fuori dalla finestra stava lavorando...
L’amore, la vera dannazione di noi artisti! Penso sia il caso, a questo punto, di stapparmi una birra. Torno subito.

Che culo, ragazzi, era l’ultima!
Ma dove eravamo rimasti? Ah sì, vi stavo spiegando che con Lara, non dico di punto in bianco ma quasi, la situazione si è capovolta. Proprio come un’autocisterna che affronta a più di 90 km orari lo svincolo d’ingresso in autostrada di Affi in direzione Brennero. Ribaltata proprio!
Per farvi rendere conto, ieri mattina mi sveglio perchè sento un pò di rumore in cucina e aspetto che, come sempre appena prima di uscire per andare al lavoro, Lara mi porti la mia tazza piena di latte tiepido, la tazzina di caffè amaro e quattro dolcetti danesi al burro di cui vado pazzo. Dunque, aspetto e aspetto ma di Lara nemmeno l’ombra e della mia colazione nemmeno il profumo. Mi giro su un fianco e finisce che mi riaddormento. Verso le undici e mezza, con i crampi della fame allo stomaco e la vescica traboccante, mi tiro a fatica giù dal letto e, con un insolito cattivo umore, vado in cucina per chiedere spiegazioni a Lara. La casa è vuota, le scarpe di Lara non ci sono e nemmeno la borsetta: segni inequivocabili della sua assenza. Appena entro in cucina il frigorifero mi avvisa, per mezzo di un foglietto strappato appeso vicino al calendario delle pulizie “se vuoi fare colazione in frigo trovi il latte e nella dispensa i biscotti. se non chiedo troppo, cerca almeno di non sbriciolare”.
Annuisco, mi metto i calzoni e una maglietta e scendo al bar per fare colazione. Da quel momento esatto ho capito che le cose tra me e Lara sono ben oltre un semplice “scricchiolare”. Dopo aver consumato alla facciazza di Lara una goduriosa colazione, me ne sono stato tutto il pomeriggio seduto sulla panchina del parco sotto casa di Lara a pensare alla mia situazione sentimentale. Tra un pensiero e un altro, osservavo gli uccellini rincorrersi felici tra i pollini dei pioppi e cani cacare allegramente sulle aiuole fiorite. Chissà cosa ci troveranno di bello quegli esseri tristemente piumati di marroncino e grigio nello svolazzare da un ramo all’altro tutto il giorno mentre sotto di loro macchine generatrici di escrementi incredibilmente grandi sorgono quà e là... Comunque sia, dato che un consiglio gli uccellini non potevamo darmelo, ho deciso di raggiungere Silvano dove, come fossi un aruspice etrusco, l'avrei sicuramente trovato nei fondi delle pinte di birra. Confesso che leggere i fondi lasciati dalla birra sul fondo dei bicchieri non è per nulla cosa semplice e immediata come qualche sprovveduto potrebbe pensare. Fatto sta che ieri pomeriggio penso di aver impiegato quasi sette o otto ore prima di rendermi conto, tra l’altro, che dalle undici pinte consultate avevo ottenuto ben undici pareri discordanti. Più le pinte aumentavano di numero, più il problema di Lara si assottiliava e si allontanava magicamente da me. Lara diventava una presenza evanescente che man mano che la birra scorreva lasciava spazio nella mia mente ad altro. Lara era un palloncino d'elio a cui hanno tagliato il filo. Ricordo perfettamente che dopo la sesta pinta già la mente aveva sfrattato definitivamente Lara per lasciar posto alla moretta che si era accomodata sullo sgabello accanto al mio. All’ottava avevo già scoperto che Loretta, questo il nome della moretta, aveva molti interessi comuni ai miei: anche lei detestava il calcio, preferiva il circo Medrano al circo di Russia e le birre doppio malto le davano molta più soddisfazione delle sciacquette lager. Alla decima pinta Silvano mi raggiunge mentre giulivo sto amabilmente conversando con la mia amica Loretta sul problema della ricerca universitaria italiana e mi dice “Anselmo al telefono c’è una certa Lara che ti vuole parlare... mi sembra alquanto irritata”. Silvano è sempre troppo gentile a dispetto di quello che ci si aspetterebbe da un barista sessantacinquenne con un occhio solo peraltro opaco e le braccia scarabocchiate da tatuaggi scoloriti color inchiostro galera. “Lara? chi è Lara? Non vedi, caro il mio Silvano, che sto chiacchiarando con questa adorabile signorina...” gli faccio io forse un pò troppo ad alta voce mentre Silvano teneva il ripetitore proteso verso di me. Ma come tutti sanno, non si possono bere birre in numero pari quindi, io e Loretta non perdemmo l'occasione di ordinare altre due pinte.
Verso le due di questa mattina, una volta che Silvano ha abbassato le serrande del bar, in qualche modo mi sono trascinato stancamente e malvolentieri a casa. Dopo aver lungamente litigato con la serratura, dopo aver incespicato nello zerbino che mi accoglieva con un sarcastico “WELCOME” e dopo aver cercato di convincere il mio stomaco a trattenere ancora per un momento il suo contenuto, mi sono diretto verso il bagno. Quei quattro metri di corridoio che separano la porta d’ingresso da quella del bagno mi sono sembrati in assoluto i più lunghi e faticosi che abbia mai percorso in tutta la mia vita. Inspiegabilmente era come se la forza di gravità si fosse spostata d’un tratto da sotto il pavimento a dietro la parete di destra. Ad ogni passo immancabilmente andavo a sbatterci violentemente contro prima con la testa, poi con le braccia, infine con le gambe e il bacino. Se non mi sono fratturato nulla è un miracolo. Il fatto è che lo stomaco non ha pazientato abbastanza e ho fatto appena in tempo ad affacciarmi nel bagno che un conato di vomito, talmente copioso da esser degno dell’”Esorcista”, ha riempito fino all’orlo il lavandino intasandolo per la seconda volta. Non ho mai capito perchè gli scarichi non li facciano più larghi, santo cielo... mica tutti riescono ad arrivare sempre alla tazza.

Ora sono quì, che cerco di alzarmi dal divano dove, per tutta la notte, ho cercato di riposare le mie ossa indolenzite. Dolorante in ogni parte del corpo, con la testa che mi pulsa più forte del cuore e una discarica di rifiuti speciali in bocca cerco tra tutte le carte attaccate al frigorifero un pezzo di carta su cui scrivere le parole adatte per scusarmi con Lara prima di "levare le tende". Niente da fare. Possibile che in una casa non ci sia mai uno straccio d'un pezzetto di carta su cui scrivere? Mah. Mi frugo istintivamente in tasca e trovo un foglietto a quadretti dove una mano incerta o molto più probabilmente sbronza ha scritto una serie di numeri: 3384409963. Stacco la cornetta dal telefono a muro e compongo il numero.
“Loretta, oh mia dolce Loretta, come va? ...che serata ieri... pensavo... cosa ne dici se tra un’oretta...”

domenica 17 ottobre 2010

Sesto piano

Sorride dal sesto piano di una insignificante serata. La chiamiamo festa per il via del numero considerevole di persone insaccate in quel budello in affitto. In fondo è vero: non tutti abitano qui anche se molti si fermeranno addormentati in qualche precario giaciglio recuperato tra i mobili montati storti e quelli recuperati dai cassonetti. Col sapore del vino che rimane incollato sulle labbra saluteranno il giorno e si allontaneranno mesti nel cortile interno troppo grande contando le sigarette rimaste.
Ora però sotto le luci gialle e patinate, e musica alta, nugoli di persone si alternano a recuperare salatini dal discount. Ci sono anche ricercati piatti preparati in cucine rustiche da genitori o parenti di questo o quest’altro ospite. Roba di prim’ordine che va presto finita assieme all’innata timidezza per una situazione incastrata tra ruoli sociali ed egosimo innato. Superego. Ed il via vai di risposte convenzionali e discorsi galleggianti si fa più irriflesso. Quasi naturale e sincero.
E lei non mi ricorda mia madre, non ha assolutamente niente di lei. Forse la psicologia spicciola si sbagliava. in fondo il nostro tentativo di spiegare la realtà ci ha portato all’illuminismo ed alla rivoluzione industriale. Alle camicie ed alle cravatte col nodo finto. Al deodorante che dura 48 ore. Al cellulare e agli sms. Agli asili nido cui destiniamo il nostro stipendio in nome del progresso industriale. All’uomo sulla luna che agita una bandiera felice come un cane che piscia contro una staccionata in campagna. A questa festa in cui l’unica cosa di cui avrei bisogno sono un po’ di socialità in meno.
Siamo vicini. Lei ha questo suo modo di mettermi a mio agio, il sorriso e guarda giù. Io ho le mani in tasca e le possibilità di conversazione vertono sulle posizioni preferite per fare sesso. Proprio per questo aspetto che sia lei ad aprire bocca. Ma non lo fa, rimane accanto a me e guardiamo in basso assieme. Da qui il cortile interno sembra piccolo ed insignificante. Questione di prospettive.
È tutto quello che mi importa. La sola immagine che ho. E le birre mi passano di mano senza che il mio cervello si smuova dallo standby in cui l’ho confinato. Fermo su di lei. Al punto che ricordo tutti i suoi movimenti al rallentatore come quando in televisione fanno vedere il battito delle ali di una mosca.
E succedono varie cose intanto.
Poi finalmente le infilo la lingua in bocca.
E vissero tutti felici e contenti.

venerdì 8 ottobre 2010

Discount delle opportunità

E ti ritrovi alla mia età con la sveglia che ripete che è tardi. Con il cuscino che non ha fatto in tempo a lasciarti i segni sul volto da tanto poco che ci stai appoggiato. Con addosso solo mutande e la tua ragazza che tra un po’ si lamenterà che lei non deve mica alzarsi. Che quindi spegnessi questa cazzo di sveglia.
“Che amore Lidia al mattino” pensi ed allunghi una mano che inevitabilmente inciampa sull’anarchia del tuo comodino. Cadono occhiali, portafogli, accendino, libri e polvere. Il cellulare che suona invece non si muove, non lo raggiungi tanto l’hai messo scomodo. Eri già sicuro di non volerti alzare. Sei prevedibile anche da te stesso ubriaco.
Quindi apri gli occhi e trovi lo schermo illuminato. Ti siedi sul letto e lo spegni mentre ti guardi la pancia.
Ti rendi conto che è sabato solo quando accendi la televisione. Ed a quel punto sei sveglio. Troppo sveglio e vestito da lunedì.
Quindi rallenti, prendi dell’altro caffè e mastichi un altro paio biscotti con pezzi di cioccolato. Roba da discount.
Fuori c’è un generico rumore di attesa: poche auto ed un padrone che chiama il suo cane “Pippo”. Sembra di stare in uno di quei paesaggi suburbani di Topolino.
Da un momento all’altro immagini passare Paperino sulla 313 ammaccata.
Invece niente, solo il ripetersi delle televendite alla televisione. Venditrici e venditori impeccabili capitanati da Mastrota che prosegue la sua parabola discendente con quel sorriso sanguinante sul viso perfettamente rasato ed imbrunito. Ha il tono di chi ha studiato controvoglia tecniche di marketing al solo scopo della sopravvivenza. Mentre gli scopavano la morosa in multipli di cinque. Ti sale un rantolo di tristezza da renderti felice nonostante il tuo risveglio troppo presto e l’inevitabile discussione con Lidia sui programmi per la giornata.
Puzzi di fumo.

sabato 2 ottobre 2010

Digressione sui fagottini alla mela

Non ho voglia di scrivere una racconto. Tantomeno parlarvi di Gloria. È sempre il ripetersi degli stessi eventi sotto un cielo più o meno estivo. Oggi ad esempio il sole schiaffeggia il tetto della casa del mio dirimpettaio colpendomi in faccia troppo presto per un sabato mattina. Ho questo sapore insoddisfatto in bocca che sa di dentifricio alla menta masticato. Gli occhi sono pesanti terra bagnata. E mi costringo ad alzarmi ad essere più produttivo. Ad interfacciarmi col mondo dei quotidiani e colazione al bar.
Il mio barista si chiama Mario. Ognuno ha il suo ed il mio è un personaggio rubicondo e non troppo amichevole nei miei confronti. Parla sempre con una ragazza che lavora poco lontano ad arriva sempre in anticipo passando una buona mezz’ora seduta ad uno sgabello acciaio ed ecopelle a commentare le notizie da rotocalco riportate dal Resto del Carlino. Mi pare si chiami Nina e questa mattina difende a spada tratta l’immagine di Fabrizio Corona. Che altro può fare? Mario le da ragione ed io domando se è rimasto un fagottino alla mela vedendo la teca della colazione ripiena solo di crema e cioccolata che cola dalle improbabili lievitazioni naturali del Forno d’Asolo.
E così mi sono costretto a mangiare un Krapfen alla crema allungato con un caffè secco. Mentre Mario continua a chiacchierare piacevolmente. Mentre sottolineo la mia incapacità a stringere una sincera amicizia con un barista da sobrio.
Ma questa è cronaca e l’interesse è per i gossip.
Non ho ancora capito quale fosse la divertentissima barzelletta raccontata da Berlusconi sugli ebrei. Perché a me piacciono le barzellette, mi mettono di buon umore. È uno dei pochi modi che ho per ridere sinceramente. Ma niente, nessuno mi ascolta. E sentendomi ignorato vado via senza salutare. Lasciando i soldi sul tavolo come si fa con le puttane.
E Mario nemmeno si gira.
Ora tutto quello che mi resta da fare è rimettermi a dormire. In fondo quel sapore disgustoso che mi ha lasciato la scorsa notte è passato.
Nonostante i fagottini alla mela li avesse finiti Nina.