martedì 18 gennaio 2011

Un dolce racconto d'amore con canditi e zucchero a velo

"Prendo un caffè e arrivo", ho mentito uscendo dalla porta. Solentemente mento, come del resto in questa situazione.
Stasera mi rado è il proposito più frequente che mi sono fatto negli ultimi due mesi. Così come cercare un lavoro che non implichi la mia presenza costante ed assidua in ufficio. I luoghi chiusi determinano la mia incapacità di concentrarmi, un pò come gli alcolici e le belle ragazze, non necessariamente in quest’ordine. Poi esco per strada, guardo le facce della gente che incontro, scruto le targhe delle automobili che incontro, leggo le pubblicità mastodontiche affisse sulle facciate dei palazzi che incontro e spero che qualcuno mi chiami al cellulare. Anche se so che appena qualcuno lo dovesse fare, guarderei il nome sul display, sbufferei platealmente come per dire alle persone che mi guardano, “ma ragazzi, basta! non ce la faccio più a sentirti sempre”, e dunque non risponderei, lasciando squillare a vuoto per interi minuti e magari per richiamare in seguito, con un'altra platea adducendo a scuse assurde del tipo, “scusa ma ero troppo preso per rispondere”, oppure, “ero a cena con il mio team manager”, e dunque intavolare una normale conversazione ripiena di futilità sulla quotidianità, sull'imprevedibilità delle condizioni atmosferiche, sulle attività consuntive del fine settimana appena trascorso e preventive per quello a venire, sui lavori di miglioramento che stanno apportando alla fermata della metro di Loreto e, così facendo, finirei sistematicamente con lo scordarmi di radermi e di cercare lavoro. Non me ne dispiaccio mai più di tanto, anzi al contrario, spesso me ne faccio una ragione. Tra poco sarà Pasqua e come mia consuetudine mi proporrò alcune buone azioni o fioretti da mettere in pratica. Sarà senz'altro l'occasione buona per inserire anche la mia rasatura e la ricerca di un nuovo impiego. Le auto come prima entrano in centro senza alcuna remora per i cinque euro di pedaggio. Penso al modo per totalizzare cinque euro con il maggior numero di monete diverse. Comincio:
- un pezzo da due euro,
- uno da un euro,
- uno da cinquanta centesimi,
- uno da venti centesimi,
- una da dieci centesimi,
- una da cinque,
- una da due,
- una da uno
...cazzo, è impossibile andare oltre. Otto monete diverse per totalizzare tre euro ed ottantotto centesimi.
Marco, quando eravamo più giovani, era il ragazzo più famoso della mia zona. Gli dicevi una parola e lui, senza pensarci riusciva a dirti di quante parole si componeva. Poi riusciva a percorrere tutta la via principale del paese (anche se il paese è piccolo, la via è abbastanza lunga) impennando la sua bmx bianca e blu. La ricordo ancora quella scritta in corsivo inclinata sfuggente e veloce. Era un ragazzo pieno di vita, molto più matto di quanto lo può essere un giovanotto di 16 anni. Poi è morto mangiando una conserva paradossalmente conservata male. Ma io lo ricordo anncora matto come un cavallo.
E' quasi buio e, come sempre accade, se fossi solo in casa e fuori cominciasse ad imbrunire, i palazzi sui quali mi affaccio comincerebbero ad accendersi, gradualmente. Tanti occhi che stancamente si aprirebbero su di me. Mi affaccerei e guarderei la terza finestra da sinistra, quella al quarto piano dello stabile giallo col quale condividiamo la stessa vista sul cortile. Il motivo che mi spinge a farlo ogni volta risale più o meno a sette mesi fa quando faceva caldo e le giornate erano più lunghe. Una sera come tante altre in seguito, non prendendo sonno per l'afa mi ero alzato intenzionato a spalancare ulteriormente la finestra per non morire soffocato quando l'unica finestra accesa nel buio della notte sul mio cortile era proprio la terza da sinistra al quarto piano del palazzo giallo. Fu un'esperienza talmente emozionante che ancora oggi solo ripensandoci mi si contorcono le budella in un gelido brivido di libido. Quella notte dalla mia finestra ho assistito alla mia prima e, per ora unica, scena lesbo dal vivo della mia vita. A soli, che ne so, 50 metri di distanza! Quell'evento si consumò nella notte incendiata come un cubetto di ghiaccio sul tavolo della cucina. Mai più si ripetè quello spettacolo. Ma non ci voglio pensare ora.
Allora, scacciati pensieri lubrichi sono andato da Silvano per bere un goccio prima di rientrare a casa dove mi aspetta la mia dolce Sofia. Quella che dovrebbe essere la madre dei miei figli: cucina, lava, sitra e usa correttamente i congiuntivi. Se solo me la desse un pò più di frequente potrei amarla. Al bancone ho conosciuto una ragazza. Una tizia tanto affascinante quanto allo stesso tempo strana. Aveva un volto molto dolce con capelli d'angelo e mani da fata. Bestemmiava e beveva come un portuale armeno. Rideva e tirava forti pugni sul bancone ogni qualvolta ingurgitava un lungo sorso di Martini e Vodka. Che spettacolo. Che lavorasse per un'agenzia di pubblicità è stata l'unica cosa che ho ascoltato della sua lunga presentazione. Non ricordo il suo nome ne tanto meno da dove venisse; probabilmente risiedeva a metà strada tra paradiso ed inferno, ma era presto per definirlo. Ci siamo scolati un discreto numero di drink e calcolando che io ero arrivato dopo, lei deve aver seccato in totale qualche bottiglia di qualcosa. Quasi sicuramente una intera di Martini ed una buona metà di Vodka. Che stomaco doveva nascondere è quello che mi sono limitato a pensare annusandole le parole sotto spirito che mi soffiava a tono deciso in faccia. Ben presto siamo passati a parlare di cose molto più serie ed interessanti. Le piaceva molto il sesso. Anzi, ricordo con precisione che mi ha detto “ho bisogno del sesso come dell'aria e dei soldi”. Già, senza sesso, soldi ed aria lei sosteneva di non riuscire proprio a vivere. Io mi sono limitato ad obiettare che è solo questione di abitudine e per rendere più credibile la mia affermazione le ho fatto presente che io, personalmente da quasi trent'anni non vedo il becco d'un quattrino, sopporto stoicamente le carenze sessuali con rimedi tanto genuini quanto ancestrali e per quanto riguarda l'aria, se fosse stato necessario avrei probabilmente imparato a farne a meno. Niente, insiteva con sempre rinnovata energia che era assolutamente impossibile. Era come cercare di vincere le elezioni avendo dall'altra parte un tizio con televisioni, giornali, aziende, miliardi e mignotte. Soprattutto mignotte. Impossibile ribattere. Aveva le idee talmente chiare al riguardo che era irremovibile. Dunque ho capitolato, mi sono arreso e le ho dato ragione. Dopo tutto era solo l'ennesima mia rinuncia ai sogni di gloria, al mio amor proprio, alla mia reputazione. Non mi è stato difficile. Lei ha continuato a spiegarmi cosa provava quando era in astinenza da sesso e che avrebbe fatto di tutto pur di soddisfare il proprio bisogno, la propria “fame”. Gesticolava con le mani come un allibratore ed articolava suoni sensualissimi con le labbra e la lingua. La cosa più semplice è stata convincermi che quella ragazza a letto sarebbe stata sicuramente un fuoco, una belva, una vera e propria macchina da sesso senza remore e senza alcuna pietà. Una volta convintomi della potenzialità di quel corpo, ho buttato l'occhio all'orologio grande alle spalle del bancone. Diceva che erano le 2,30. Ho pagato, non ho salutato e mi sono rimesso in cammino verso casa. L'aria mi prudeva nelle narici e sentiva di stantio, di chiuso. Ho trattenuto il respiro ed ho scoperto che andava molto meglio. Ho salutato Lola, ho rifiutato le avances della splendida Meddi adducendo a un fastidioso mal di testa e scansato il femminilissimo Saimon di un pelo. Pochi altri per strada forse per via della crisi finanziaria mondiale o della fitta nebbia che avvolgeva la città. Ho deciso che quello sarebbe stato il momento più opportuno per bestemmiare ad alta voce e non ci ho pensato molto prima di farlo cercando però di non cadere nelle solite banalità. La chiave ha riempito perfettamente la carenza della toppa e sono entrato senza problemi particolari se non un lieve capogiro. Mi sono tolto le scarpe in corridoio, mi sono schiacciato un pò di dentrificio in bocca e ho sputato nella tazza. Poi mi sono sdraiato sul letto accanto a Sofia. Ha allungato la mano toccandomi un braccio e mi ha chiesto che ore fossero. Poi, con la testa sgombra come un appartamento sfitto, ho riflettuto sulla mia situazione. Avevo una lucidità tale da aver ben chiaro cosa sarebbe servito per migliorare la mia vita: una Saab 900 cabrio dell'89 di quell'inconfondibile rosso mattone di derivazione svedese. Nient'altro.

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