giovedì 14 aprile 2011

Patognomico

È come essere rimasto il solo su una cazzo di barca diretta con ostinazione oltre le colonne d’Ercole. È come se Ulisse non si fosse fatto legare ma fosse finito in mezzo alle sirene col cazzo in mano gridando a squarciagola il jingle del tonno marchio Nostromo(1). È come se la testa non mi girasse ma fossero semplicemente gli occhi a spostarsi veloci da destra a sinistra. E poi da capo. È come se trovassi ancora un senso a trovarmi a questa festa in questa casa d’altri e con implicazioni di altri tempi. È come se questo sorriso che so di ostentare fosse qualcosa di più che una reazione nervosa ma un atto di cortesia per mettere tutti a loro agio. Quasi come quando si chiede come va incontrando qualcuno.

“come va”
“bene e a te?”
“bene, grazie”
Silenzio.
Ci si guarda freddi come in una partita poker di quelle che danno in TV a notte inoltrata. C’è da ammettere che Stefania non è cambiata molto, che è sempre un piacere inciamparci.
E si cerca sempre di evitare di guardarle tette e culo.
E si riavvolge la cassetta C90 in cui si spera di recuperare qualche argomento comune senza finire a parlare ancora del tempo. Si prova a rendersi interessati ripescando dalla scatola in cartone da trasloco lasciata aperta l’ultima volta che ci si è visti. Ci vuole una dannata memoria ci vuole. Di più che quella necessaria per memorizzare il Cinque Maggio o il nome vero di Lenin. È poi sempre una cazzo di questione politica che se tutto va bene finisce in uno splendido amplesso. Se va male ci si ripromette di non perdersi di vista.
“bè, a presto allora”
“certo, ora scappo”
E ci si allontana veloci, con i passi che fanno eco nel portico e sembrano piovere dall’alto. Ipocritamente impegnati con la propria autostima da rinvigorire a colpi di cocktail e Sudoku poco sfidanti.

A questo punto Francesca mi guarda. E la musica ripete ancora “I know you like it” sopra i decibel che sono disposto a sopportare. Con questo sguardo espressivo mi sembra un omino della lego corretto col fondotinta. Le dico che è veramente una bella festa.
“già, non male” dice sollevando il bicchiere pieno di colore.
Butta giù quello scolo di piatti tutto d’un colpo con lo sguardo che non si leva dalla mia stempiatura.
Io considero il vestito bianco che la trattiene e quel neo tra la base del collo e la spalla destra.
Le musica continua ritmicamente a darmi di gomito come un noioso amico troppo avanti con i cocktail.
Devo trovare qualcosa di intelligente da dire quanto basta per allontanarla o avvicinarla.
Dico: “patognomico”.
E lei non si muove. Sembra uno di quei manichini in posizione ammiccante che popolano i sexy shop e Pimkie.
Sorride, suggerendomi una marea di implicazioni.
Faccio allora seguito a quelli che sono i cazzi miei parlando di fondotinta. E di quanto l’ostentazione del trucco finisca per rispecchiare in modo veritiero il più profondo io della persona che lo interpreta. Penso a Carla che copre i solchi dell’acne con un correttore dalle tinte accese che quasi mi distraggono dalla contemplazione del suo fisico perfetto. Strati spessi di tinta che vogliono attirare e difenderla dal mondo. Un trucco che collude con i suoi modi affettuosi prefigurando chissà quali incredibili risvolti puramente sessuali. Forse è questo che cerco nella faccia di Francesca: un invito a letto senza passare dalla pomiciata scomoda tra la gente che balla avviluppata con l’angolo di una colonna che mi taglia la schiena in due.
Con quei denti troppo bianchi per dimostrare i loro 27 anni Francesca ha iniziato ad esporre la sua teoria sulla cosmetica. Lo fa muovendosi appena a ritmo da spostare la composizione di capelli biondi che le baciano la guancia sinistra.
“Il problema” sussurra guardando in basso che quasi nota lo sporco sulle mie scarpe “è che anche la Collistar ha iniziato a testare i prodotti sugli animali(2) ”
Usando il suo tono dimesso dichiaro apertamente il mio sprezzante utilizzo della schiuma da barba Coop.
“Dici che va bene o la usano per rasarci la lana merinox delle trapunte Eminflex?” le faccio con l’unico sorriso orizzontale di cui sono capace.
Lei mi guarda un attimo seria e poi scoppia a ridere come Barbie Malibù tra le sue allegre amiche. Lo fa chiaramente tirando indietro la testa e con una mano sulle tette che spinge infuori.
Rispondo con un sorriso postorgasmico. Di quelli che abbracciano il mondo. Roba da San Francesco di Assisi.
Ora mi sento in quel momento in cui nei film la musica di sottofondo diventa dominante, dove non si capisce il dialogo ma si intuisce sia divertente(3). Dannatamente divertente. Quelle percezioni dovute al non verbale. Il fenomeno del copying tanto caro ai consulenti che tengono quei corsi di formazioni in asettiche sale conferenze di hotel a 4 stelle o giù di lì. Molti convenzionati con l’Accor Service, quello dei buoni pasto.
Allora parlo liberamente convinto che non mi stia proprio ascoltando, che senta quello che vuole sentire.
Ed infatti allegra si fa più vicina che quasi le sfioro il vestito con le nocche della mano che reggono in bicchiere da cocktail pieno di birra.
Francesca dice che sono proprio simpatico.
Io le rispondo che è lei ad essere veramente ricettiva.
Lei mi risponde: “eh?”
Lo fa venendomi così vicino che quasi ci baciamo. Sento il suo profumo appena fruttato. Diverso da quell’odore intenso che portano le signore concentrate nella scelta del pomodoro perfetto nel banco frutta dei supermercati. Un profumo che sicuramente ha una descrizione che ti vien voglia di un maglione bianco e caldo e di biancheria sexy Victoria’s Secret.
Io la sento così vicina che quasi ci spero in un futuro assieme fino al caffè di domani mattina.
Eccoci quindi al dunque. Quando inizio a raccontarle la barzelletta di questo malato terminale di cancro e lei si allontana lasciandomi la sensazione di aver detto qualcosa che non avrei dovuto.
A questo punto direi che la musica può anche scemare.
Titoli di coda.

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(1) Qui ci si riferisce allo spot Nostromo realizzato nel 1994 in cui una improbabile casalinga veniva convinta dal Capitan Nostromo in persona all’acquisto della sua scatoletta di tonno. La canzone veniva facilmente ricordata più che per la melodia in stile lirico, per le prime parole del testo: “se lei sapesse com’è questo, vorrebbe il mio…”.
Ad oggi tale performance risulta quasi completamente cancellata dalla memoria collettiva. Unico documento rintracciabile online è all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=4PoATvwjk7U
(2) Questa affermazione rispecchia unicamente l’opinione di Francesca e non rappresenta in alcun modo la mia convinzione o la verità delle cose poiché è un problema che non mi sono mai posto e non ho nessuna intenzione di approfondire.
(3) Vorrei precisare che questi particolari momenti nei film hanno il sapore realistico delle caramelle alla frutta che vendono al discount.

2 commenti:

EMMA ha detto...

fino al caffè...e non oltre!!! non sia mai!

comune ha detto...

capperi! ma è geniale.
è solo che avrei voluto scriverlo io sto pezzo...
come direbbe un francese: cappello!