domenica 30 ottobre 2011

Espressione standard


Era tutto sospeso. Quasi non fosse successo niente. Un silenzio da esame di maturità. E tutto era lento. Fuori pioveva, certo deve piovere sempre in questi momenti. Sembrava tutto preparato da arte come quegli scherzi in televisione che proprio non ci credi all’autenticità. Ed io ero lì che cercavo di collegare tutti i punti degli ultimi tempi. Che mi riuscivo solo a chiedere: “e adesso?”. E mi sentivo in colpa perché quel momento mi faceva male come aver finito l’università e trovarmi davanti ad un mondo inesplorato. Sarà che non ci credevo. Forse era successo troppo in fretta. Come quando dimentichi la pasta un minuto di troppo sul fuoco ed è da buttare. Insomma la mia faccia era incerta e non riuscivo a piangere. Ed ero convinto che tutti giudicassero. Volevo scomparissero in un istante ed invece continuavano ad arrivare e a darmi un colpo sulla spalla. Mi abbracciavano ed io dicevo: “grazie”. E quel vestito nero non era quello giusto per l’occasione. E credo nessuno ne abbia uno, a parte i dipendenti delle pompe funebri.
Tenevo il telefono spento e guardavo la sua faccia, lo specchio di me tra pochi anni ancora. Provavo a collocarlo nelle foto in bianco e nero che avevo in quei tre album rilegati in pelle nera. Non era rimasta una grande somiglianza. Solo i capelli portava pettinati ancora allo stesso modo che non sembrava nemmeno troppo fuori dal tempo. Il resto era una maschera con una espressione standard. Una espressione che provavo ad imitare nel mio aspettare in piedi irritato dalle voci troppo alte che sentivo parlavano di altro. Quell’espressione è tutto quello che mi è rimasto di quel giorno. In quella stanza fatta di divisori in plastica di pessimo gusto mi rassicurava che io non ero lì e che era tutto finto. Che aspettavamo tutti il lieto fine dopo la pubblicità.

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