lunedì 24 ottobre 2011

La boccia dei pesci

“non capisco quello che ci sta succedendo, è come se vivessimo in una palla per i pesci” “però non ci piove dall’alto il mangime” “cerca di essere serio, per una volta” A questo punto l’unica cosa da fare è pensare al Sudan e mettere una faccia grave che va bene con quel vestito nero che tengo pulito nell’armadio per matrimoni, funerali e per andare alle convention del lavoro. Quel vestito che avrà si e no una settimana di vita vissuta, appena sopra l’aspettativa di vita di un moscerino che gioca a cavallo dell’autostrada del Brennero. Lei mi guarda prima di continuare e prende un sorso dal bicchiere da pinta riempito di acqua del rubinetto. Quel bicchiere è mio, l’ho infilato nella tasca del mio capiente cappotto una sera fredda in cui mi sentivo incredibilmente solo. Di quelle sere in cui ci si accorge che tutti hanno trovato il proprio incastro perfetto e che l’unica lineetta del Tetris che non si completa per passare al prossimo schema è la tua. Serate in cui vorresti solo annusare l’aria delle caldarroste che si fanno e vedere tutto da una prospettiva lontana. Color seppia. Quella sera era qualche anno fa che ora sembrano secoli, faceva più o meno il freddo che anticipa le vacanze di Natale e la birra era una scusa per ridere di niente. Ed il progetto era aspettare ancora un altro giro e un altro ancora. C’era il tavolo di legno che rifletteva storta la luce di un lampadario recuperato ad un mercato dell’usato, il sapore delle noccioline che rotolavano in giro. Stefania parlava della sua casa in montagna ma io capivo solo il suo sorriso. Mentre la ascoltavo mi chiedevo se anche io ero capace di qualcosa di simile, se quell’espressione se l’era studiata o le veniva così. E perché colludeva così esplicitamente col suo profumo proprio mentre le stavo davanti? Ero tornato a sette anni quando passavo davanti ad una vetrina di giocattoli che esponeva il galeone dei Lego e non ci credevo esistesse un gioco così bello. Una sensazione che potrebbe centrarci qualcosa con la sindrome di Stendhal. Sì, quella sera Stefania era decisamente un’opera d’arte di quelle che non puoi toccare e nemmeno guardare per troppo tempo che ci hai la fila dietro. Che ti vorresti portare a casa e ti accontenteresti anche di una stampa economica o di un souvenir. Dev’essere per questo che mi ero infilato in tasca il bicchiere che ora Chiara appoggia sul nostro tavolo come non avesse niente di speciale. E non sorride come Stefania. “a te non sembra? Perché non dici mai niente? Cosa vuol dire che è solo una mia idea?” Prendo il bicchiere e lo rigiro nelle mani. Rivedo quella cazzo di lineetta del Tetris che non si completa e penso che i pesci in una boccia di vetro non se la passano poi male semplicemente perché non parlano.

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