lunedì 14 novembre 2011

L'inverno intorno e dentro

Quando il lunedì mattina ti tiri su dal letto vorresti solo una cosa: che fosse già martedì.
Poi stancamente ti trascini in bagno dove eviti lo sguardo riflesso dallo specchio. Ti togli alla meno peggio il sonno di dosso e provi a coprirne l’odore stantio con qualche spruzzata generalizzata di Breeze. Prendi la prima cosa meno stropicciata che trovi sulla poltroncina accanto al letto e, sconsolato, ti raccomandi a Brando di fare il bravo.
“Almeno piscia nella ghiaietta, per favore.”
Trascini il tuo stanco corpo sul pianerottolo, aggrotti un sopracciglio cercando uno sguardo severo alla volta di Brando e trascini la porta fino a far scattare la serratura, poi dai un paio di mandate di facciata e scendi nel traffico caotico di inizio settimana.
Clacson, saluti, gomme che slittano sull’asfalto, foglie che cadono, vecchiette leggere che ammoniscono conducenti di tram, piccioni che fanno colazione, donne si fanno trascinare da cani entusiasti che non capiscono il dramma del lunedì.
Una nuvoletta di vapore ti esce dalla bocca e un brivido ti percorre la schiena. Cerchi l’inesistente bavero della giacca e desidereresti tanto trovarlo. Spifferi d’aria gelida ti penetrano da ogni parte e ti paralizzano i movimenti facendoti assumere un’andatura a scatti tristemente ridicola. Te ne fotti perchè prima di garantirti l’apparenza oggi vuoi assicurarti la sopravvivenza. Oggi è lunedì per tutti ma per te è anche peggio.
Senti ancora la bocca foderata dal sapore delle patatine alla cipolla e formaggio con retrogusto amarognolo di birra. I sensi si rincorrono, si prendono e si perdono rimandandoti alla memoria singoli flash della serata trascorsa ieri. L’odore di legno bagnato, fermentazione, muffa persistente e umanità sudata fanno da sfondo alla circostanza. Saluti, aneddoti, abbracci e birra, anche rovesciata sono la sostanza. E’ tanta roba dopo tanto tempo.
Ti vedi riflesso nella vetrina di una banca e ritorni d’un tratto al quì ed ora. Hai nuovamente freddo e pensieri nefasti t’ingombrano la testa. Il bavero della giacca non l’hai ancora trovato e ci rinunci.
Il palazzo dove lavori ti si staglia davanti sfoggiando la quotidiana prova di virilità, ormai trita e ritrita: i suoi ventitre piani più antenna quasi scompaiono nel grigio dell’inverno.
La tentazione di tirare dritto e gridare a pieni polmoni un “fanculo a tutti voi, poveri illusi gonfi di niente” è forte ma senza pensarci ti trovi già nella hall diretto all’ascensore 4.
Speri inutilmente che non salga nessuno con te invece si riempie. L’aria si scalda in un attimo e viene rapidamente assorbito tutto l’ossigeno. Ti senti il sangue pulsare nella testa e i piedi informicolarsi. Rispondi ai saluti più che altro con gesti e alle domande con monosillabi. Centellini l’aria carica di dopobarba, detergente intimo e ormoni fino al settimo piano quando esci strisciando alle pareti silenziosamente.
Prendi un caffè al volo al distributore di morte e, ustionandoti la lingua, vai verso l’ufficio, quello in fondo. Lo chiamano con diversi nomi ma la sostanza è la stessa: il mattatoio o la stanza dei sogni interrotti.
Il corridoio bianco con le sterili luci al neon tremanti ti sembra infinito. O forse è solo quello che vorresti, non arrivare mai. Ma come sempre succede quando desideri ardentemente qualcosa, il corridoio finisce e la porta che non vorresti aprire ti tocca la punta delle scarpe. Bussi senza nemmeno più sperare che non ci sia nessuno. Sapere qualcosa è un conto ma sentirselo dire è molto peggio.
“Avanti, prego” è quello che una voce decisa ma soffocata ti risponde da dentro la stanza.
Spingi la porta e un fresco profumo di resina di Larice rosso ti inebria le narici. Entri fissando lo sguardo a mezzo metro nel vuoto mentre strizzi gli occhi e ritiri le dita dei piedi continuando a ripeterti cose inutili.

Un romantico aperitivo (colonna sonora di Gianluca Grignani)

Mentre parlano a lui viene in mente una canzone di Gianluca Grigniani. Una di quelle che in una estate avrà risentito milioni di volte. Masticando una pizza gommosa con la faccia tirata dalla scottatura del sole.
Sorride.
La birra gli suda nella mano sgasandosi.
Lei risponde che in effetti non ha ancora capito bene quello che vuole fare. Si guarda i piedi. I capelli tirati in avanti le scoprono il collo bianco. Dice che per ora vorrebbe mettere da parte quello che basta per un viaggio in sud America.
“e poi chissà” dice rialzando lo sguardo.
Ha quel sorriso che non riesce mai a fare quando la fotografano, nemmeno per sbaglio. Gli occhi sono ancora lucidi dei sogni realizzabili. Sembra immaginarsi il viaggio, lontano da lì. Lontano da lui. Come se quel momento fosse ininfluente. Come se non fosse più lì.
Cosa farebbe Gianluca Grignani lui lo sa: si tirerebbe indietro i capelli e direbbe: “io un amico lo perdono, mentre a te ti amo…”
Intendendo: sesso estremo.
Intendendo: milioni di adolescenti in visibilio.
Intendendo: milioni di copie vendute.
Intendendo che con tutti quei soldi che si è fatto se lo compra tutto il cazzo di sud America che la sembra attrarre tanto. Comprese arepas e dulce de leche.
Lei intanto è tornata al suo Campari. Morde la cannuccia nera e quasi non beve. Emette dei suoni che ricordano i momenti in cui ha appena smesso di piovere in spiaggia.
Sa di un profumo che descrive le giornate di sole in campagna.
Ha due tette gigantesche.
Lui si costringe a guardarla in faccia. Ignorando le canzoni che gli si ripropongono in testa e l’inequivocabile risvolto pornografico.
Esita appoggiandosi allo sgabello nero scrostato che ha alle spalle.
E sorride. E sì che il sud America è un gran bel posto, certo lui lo sa perché per lavoro ci è dovuto andare.
“E per lavoro non è mica come un viaggio di piacere. C’è tutto quel contorno. Quelle cene interminabili e quelle battute da capire al volo. E riderci a crepapelle. E poi mani da stringere, persone da vedere. E così finisce che non ho più nemmeno il tempo per cambiare il mondo.”
 “Forse sto invecchiando” aggiunge con malcelata modestia.
Respira.
Ha questo sorriso che a lei ricorda qualcosa di un calciatore. Non sa bene come si chiama ma qualche tempo fa è stato popolare. Il suo ex ne parlava sempre. Perlopiù gli dava del finocchio. Ogni volta che al telegiornale appariva la sua faccia Michele inevitabilmente diceva: “ma vedi quel finocchio…”. E lei mica l’aveva mai pensato, anzi quel sorriso che le si riproponeva non era affatto male. Ed anche quel profumo che sapeva di dopobarba. Peccato per quel modo di essere comune. Con quella camicia che sarebbe meglio portasse fuori dai jeans. Con quegli occhiali che le ricordano i film con Tom Cruise.
Pazienza, e via con un altro sorso di spritz allungato dal ghiaccio che si è sciolto.
E lui prosegue: “è che ultimamente mi sembra di non riuscire a concludere niente. Cioè, vedo quello che succede in giro ed ho questa sensazione che dovrei trovare il modo di fare qualcosa. Lo dovremmo trovare tutti. Ma quando stiamo 8 ore al lavoro, 1 ora nel traffico ed il resto del tempo a cercare di cucinarci qualcosa di commestibile dove lo troviamo il tempo? C’è da essere ovunque, in ogni momento. C’è da essere multitasking. C’è da diffondersi tipo il cancro in metastasi.”
“nessuna speranza?”
“molto poca.”
“che fare allora?”
“non lo so, un aperitivo in questo bar con una birra sgasata ed uno spritz caldo mi sembra un buon inizio, no?”
“e come va a finire?”
A questo punto non c’è altro da aggiungere.
Il finale è una canzone di Gianluca Grignani.
Milioni di copie vendute.

lunedì 7 novembre 2011

Energy drink


Ho scoperto che gli energy drink sono stati inventati attorno agli anni sessanta in Giappone per aumentare la produttività individuale. L’ho controllato su Wikipedia mentre lavoravo, sotto speed. Insomma ci ho messo una frazione di secondo talmente veloce che non riesco a ricordare bene i contorni, so solo che nella scheda che ho aperto subito dopo c’erano due tette immense. In quella dopo ancora Chiara mi scriveva che stasera sarei dovuto a passare a fare la spesa io, perché lei aveva lezione di pilates. Ho pensato: benissimo. Visualizzando il reparto frigorifero del discount. Di quei discount seri che hanno un sacco di prodotti che non trovi nemmeno nelle botteghe dell’Altromercato. Quelle dove quando entri c’è un odore intenso di vimini che fa molto Licia Colò. Non so bene perché ma è così. Metto piede dentro ed ancora prima che il commesso mi saluti con un “buongiorno” palesemente lisergico mi si piazza davanti l’ingombrante faccia sorridente di Licia Colò. E questo niente di male solo che mi fa pensare a come se la passano male nel resto del mondo. A questo punto investo una quantità spropositata di denaro in cioccolata al guaranà e mi rimangono solo gli spicci per offrire il cappuccino all’avventore con i libri sull’Africa che non mi sono mai azzardato a guardare per più di 5 minuti. Lo so che tutto questo non ha senso. Ma io il sabato pomeriggio lo passo così. Poi rinsavisco, scippo una vecchietta ed ai giardini mi rifornisco di droga pesante per tutta la settimana. Lo faccio perché ho bisogno di una carica un po’ più decisa di quella dei Kindercolazionepiù per costringermi a trascinarmi al lavoro e passare tutto il giorno di iperproduttività a sfogliare pagine inutili internet per passarmi il tempo. Sto arrivando ad un livello di cultura che nemmeno l’intera enciclopedia Treccani. Mi manca solo di capire cosa c’entri Licia Colò in tutto questo. E chiaramente cosa è la taurina, ma rimedio subito.
Taurina: un'ammina con un gruppo funzionale acido solfonico. Questo non vuol dire molto, ma leggendo oltre su Wikipedia scopri che i vegetariani ste robe proprio non le possono bere. Per questo sono destinati all’estinzione. È questione di sopravvivenza della specie. E questa è decisamente l’era di Gianni Morandi. E con questo non voglio dire che sia necessariamente coprofago.

Ah, tutte le persone di cui ho parlato non esistono. Sono solo personaggi che mi sono inventato io perché li ho trovato su internet mentre cercavo della pornografia un po’ estrema. Ed in fondo non avevo niente di meglio da scrivere.