domenica 4 marzo 2012

Birra, poesia e sigarette

Io non me ne intendo molto di poesia e nemmeno di donne però sia la poesia che le donne mi piacciono e mi commuovono. E parecchio. Anche la birra a dire il vero mi appassiona ma, per fortuna, questa mi conforta.
Stasera Viola se ne è tornata in camera presto, molto prima del solito chiudendo tutte le porte ad ogni mio desiderio. E se la bocca può tacere, lo sguardo non può nascondere. Ho capito ma cerco di fare come se niente fosse. Non so perchè ma è come se non volessi accelerare i tempi. Ho salutato e me ne sono stato tutta la notte a contare le stelle filtrate dal vetro del bicchiere improvvisando poesie. Roba adolescenziale a cui, certe volte, non so resistere ma che mi guardo bene dal fare agli occhi della gente. Non tanto per una reputazione da difendere quanto piuttosto per il mio forte senso del pudore. Intendo dire che potrei tranquillamente girare nudo per la città ma non potrei mai pisciare per strada.
Butto giù l’ultimo sorso di calda birra sgasata aspettando che l’alba stanca mi bussi alla finestra per mettermi a letto ma, come tutte le donne che si rispettino, anche lei ama farsi desiderare e io francamente mi sono rotto le palle.
Le attese mi snervano, mi lasciano troppo tempo per pensare. E quando penso, il più delle volte lo faccio cercando di capire cosa avrei potuto fare di meglio e che invece puntualmente non ho fatto. Ecco: l’attesa mi genera senso di colpa che è forse l’unica cosa che non mi serve ora come ora. Ho già un sacco di problemi molto più concreti su cui sbattere la testa.
Il silenzio della città alle cinque del mattino è surreale, ha un che di giapponese. Niente sushi, sashimi o tempura. Parlo di quel genere di silenzio totalizzante, quel silenzio anestetizzato che mi fa pensare al Giappone. All’alba di Fukushima il 12 marzo, di Hiroshima il 7 agosto, Nagasaki due giorni dopo o comunque di un negozio di Muji a Milano nel giorno di chiusura. Fatto sta che alle cinque del mattino la città sembra un presepe evacuato. Ha un suo fascino, un suo perchè.
Mi asciugo le labbra lasciando una scia scura sul polso del maglione e mi soffermo cercando il più possibile di non pensare. Alla fine non ci riesco del tutto e quello che rimedio è una riflessione: il silenzio è un ottimo compagno di bevute anche se non ti dice mai quando è ora di smettere.
Schiaccio e la fiamma mi accende la faccia. Un brivido alla schiena accompagna il primo tiro mentre mi svuoto i polmoni di grigio denso fumo attraverso il quale cerco le luci del mattino. Sono sul balcone e domino la strada deserta. Mi aspetto odore di pane fresco appena sfornato, il primo tram, un vecchio che alza la tapparella o una mignotta che se ne torna a casa sfinita. Invece niente, nulla di tutto questo. Sono immerso in un acquario vuoto Sono in vacanza in un campeggio abbandonato. Presidio disarmato l’avamposto dismesso reduce della mia guerra fredda.
Sotto di me l’insegna incerta del finto ristorante giapponese lancia lampi intermittenti sul palazzo di fronte. Io so distinguere i cinesi dai giapponesi come so anche riconoscere un norvegese da uno svedese guardandogli solo i polsi. E so per certo che quelli sotto di me non hanno un solo atomo di giapponese. Un pò di cenere si stacca dalla brace e un alito di vento la fa volteggiare leggera verso l’alto. La seguo per un pò fino a che non si perde svanendo nell’aria e mi ritrovo con lo sguardo perso nel cielo. Un cielo pieno di stelle.
Non è vero che in città non si vedono le stelle. E’ una stronzata da Baci Perugina per improvvisati romantici o per latin lover da due soldi fuori stagione. Roba da Celentano che cerca di intortarsi le tipe raccontando che ora gli hanno asfaltato il prato dove è cresciuto. Basta buttare gli occhi in alto e soffermarsi qualche secondo persi nel buio per accorgersi che pian piano, come lampadine a risparmio energetico, anche le stelle si accendono fioche, delicate.
C’è chi nelle stelle ci vede il destino, chi le usa come confessore o chi ci legge le previsioni del tempo, chi ci disegna leoni, tori o arieti. Io non ho fantasia e nelle stelle non ci vedo niente di speciale, solo illuminarie non soggette ad alcuna stagionalità. A dirla tutta, non mi ci sforzo nemmeno troppo per trovarci qualcosa ma mi limito a guardarle e questo mi basta.
Poi finisco la sigaretta e con il fumo svanisce anche il mio interesse per il firmamento. Tutta la mia poesia d’un tratto implode come un vecchio palazzetto dello sport lasciando dentro la mia testa solo macerie e rimpianti. L’unica cosa che stoicamente persiste come una macchia di unto è la voglia di stapparmi un’altra birra mentre Viola, composta e discreta anche nel sonno, continua a percorrere la sua strada alla ricerca del modo migliore per non farmi soffrire.

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