mercoledì 7 marzo 2012

Catacrési

Ho le palpebre che mi pesano come borse della spesa piene. Ho sonno. Ma è un sonno strano. Un sonno che la metà basterebbe per farmi dormire una settimana. E invece niente, dormo quasi niente. Non capisco perchè ma nelle ultime settimane non sono mai riuscito a dormire, non dico bene -troppa grazia-, ma almeno decentemente. Non sono mai riuscito a fare una sola notte tutta una tirata: sette ore filate di sonno come dio comanda, quello in cui cadi stremato appena appoggi la testa al cuscino e dal quale ti riprendi solo al mattino, con la prima luce del giorno che ti accarezza la fronte. Quel sonno ristoratore che uno sbadiglio basta per smaterializzare e restituirti la forza necessaria per riprendere il ruolo che ti appartiene nella vita. Invece, cazzo, no. Continuo a svegliarmi la notte. Ogni mezzora, ogni ora mi sveglio, vuoi per pisciare, per trovare una posizione più comoda, per il caldo, per i rumori, per qualsiasi dannata scusa. E anche in quei pochi momenti in cui riesco a prender sonno, il sonno si mantiene fragile, leggero. E' un sonno sottile come una foglia secca che ad ogni colpo di vento viene spinta via e volteggia per ore nell'aria prima di riposarsi.
E la mattina? Meglio non parlarne. La mattina sono in uno stato catatonico dal qualle non riesco a riprendermi. Confido inutilmente prima in una boccata d'aria frizzante poi nel caffè scuro e forte. Niente. Il torpore mi rimane addosso come un'ombra per tutto il giorno. Un sacco che mi porto cucito addosso. Una zavorra che mi rende più faticoso ogni passo, ogni attesa, ogni ragionamento, qualsiasi cosa abbia da fare. Il mio livello di attenzione, la mattina, è assimilabile a quello di una goccia d'acqua che distratta finisce per perdersi in mare. L'unica cosa in cui mi sento di confidare è che la sera arrivi galoppante e mi conduca in groppa fino al sonno più profondo. Ma la mattina è lunga.
La sera, finito il lavoro, arriva lenta e con passo pesante mi accompagna al treno. In stazione, in mezzo alla gente piena di un'energia a me sconosciuta mi sento emarginato. Per tutto il viaggio appartengo alla tappezzeria del vagone. Bene mi mimetizzo con l'arredo spoglio e triste della carrozza. Non conosco nessuno di quelli che mi circondano ma so con precisione la stazione in cui ciascuno di loro è salito e quella in cui a breve scenderà. So con certezza come ognuno di loro vestiva ieri e quali progetti aveva per la serata passata. Provo a chiudere gli occhi ma in quella notte artificiale il sonno non arriva. Non mi sfiora nemmeno. Le stazioni intanto passano, i compagni di viaggio si alternano: salgono, parlano, si salutano e scendono. Io, da dietro gli occhi chiusi, vigilo su tutto e tutti come un dio ficcanaso che c'è anche se non se ne percepisce la presenza. La mia fermata arriva solo quando la carrozza si è ormai vuotata. Scendo stancamente portandomi appresso stanchezza e malumore maturati in una giornata intera di desideri inappagati.
Nel tragitto verso casa le luci delle auto mi abbagliano i pensieri, i cani delle signore avvertono il mio disappunto e mi girano alla larga. Le persone che incontro mi leggono negli occhi la stanchezza tramutarsi in rabbia e distolgono lo sguardo. Sento che qualcosa sta succedendo. Ad ogni passo la stanchezza lascia il posto ad un sentimento strano, ad una sorta di insofferenza indifferenziata verso tutto quello che mi circonda. Il palazzo dove abito si materializza dietro l'angolo, oltre il semaforo, quello che non diventa mai verde.
Le chiavi del portone faticano a girare nella serratura. La buchetta della posta trabocca di pubblicità. Rigurgita carta nuova che finirà dritta nel bidone della differenziata senza essere stata degnata di un solo sguardo. Carta che mi indispone anzichè lasciarmi indifferente. Carta che senza resitenza si arrende alla forza della mia mano e si lascia appallottolare lasciandosi dietro solo un flebile lamento che non mi soddisfa. Salgo le scale con in testa un ronzio insopportabile. Varco la soglia chiudendomi veloce alle spalle il mondo con i suoi colori, le sue luci, i suoi rumori, ritmi e odori. Bum.
Un sorriso dolce mi accoglie nella penombra. Due braccia leggere mi cingono il collo e alle orecchie mi arriva un delicato bentornato. Gesti inaspettati che prendono forma in una sostanza che sa di sogno. Il suo profumo, le sue parole, la sua presenza mi confortano e il tutto che d’un tratto si concentra, sovrasta e riempie il niente. Forse una preghiera ascoltata o un desiderio esaudito? Non fa differenza. Tutto inaspettatamente comincia a recuperare un senso, a riconquistare un significato.
Un silenzio leggero e voluto ci circonda come una melodia opportunamente creata per l'occasione.
Dimmi che non andrai più via da me.
Quando me ne andrò, tu sarai con me.

1 commento:

tenebrae ha detto...

Io in questo periodo ho la fobìa di non sentire la sveglia. Dai 30 ai 60 minuti prima apro gli occhi e cerco di capire da quello che filtra dalle persiane se ciò è vero o no...


Anni fa avevo pure io problemi con il sonno, nonostante una certa stanchezza: penniche serali mostruose sul divano davanti alla tv...che si trasformavano in sonni leggerissimi sdraiato nel letto.
E chilometri e chilometri venivano percorsi sotto le lenzuola a furia di girarsi di qui/di lì per trovare l'introvabile posizione.

Tenebrae