Piacevolmente considerai che mi rimaneva ancora più di un’ora di tempo da dormire prima della sveglia. La clemenza dell’estate pareva più una avvisaglia d’autunno. Il vento soffiava sempre da sud. Dritto sulla finestra del bagno che si muoveva sui cardini incerti, ballando come su un vinile rovinato. Sopra di me c’era ancora il rassicurante soffitto appena imbiancato da Rocco. Le pale del lampadario ferme, le coperte disordinate come i petali di una rosa blu sfiorita. L’aria aveva lo stesso odore inconsistente e finto.
Passò un minuto. Si spense una luce rossa nella sveglia e se ne accesero altre. Come nel conto alla rovescia a capodanno. Solo senza vischio e spumante.
Mi rigirai sul materasso troppo economico per essere comodo.
Fuori scorreva qualche auto. Tesi l’orecchio. Capace che passava anche la raccolta dei rifiuti col suo gracchiare robotico.
“Mica male” mi dissi.
Stefania si mosse.
Trattenni il respiro.
Lei mi guardò attraverso per un secondo. Poi distese la fronte.
Il petto le si muoveva in alto ed in basso come se qualcuno le avesse infilato una pompa in culo e soffiasse ed aspirasse.
Controllai.
“Piantala!” disse girandosi di spalle.
Ascoltai un po’ il mio respirare sghembo poi riaddormentai.
Sognai di essere rapito dagli alieni.
Poi suonò la sveglia.
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