Quando mi stappo una birra il venerdì sera mi resta solo una certezza: che la birra finirà sicuramente prima della mia sete.
Lo
ammetto senza vergogna: sono più abitudinario di un cane. Anch’io
piscio sempre sullo stesso cerchione, mi spavento quando mi vedo
riflesso e ululo a squarciagola nelle serate di plenilunio.
Ma non
capisco dove stia il problema. Eppure per lei era inaccettabile stare
con qualcuno che voleva andare solo alla pizzeria dell’angolo dove non ha bisogno nemmeno di ordinare che già gli arriva la sua pizza
preferita con salsiccia, cipolla e gorgonzola ed una bella media rossa.
Io lo trovo semplicemente comodo e rilassante. Lei lo trovava monotono
ed irritante. Semplicemente gusti diversi. Tutto quì, pensavo. D’altra
parte io me ne sono sempre guardato bene dal dirle che se per il suo
compleanno ho sempre sbagliato regalo, era solo ed esclusivamente per colpa
del suo continuo cambiar gusti.
Faccio un esempio giusto per fervi
capire: se un sabato per strada si fermava incantata davanti ad un paio
di scarpe, io il martedì, cascasse il mondo, ero già in quel negozio con
la carta di credito in mano pronto per comprarle quel paio di scarpe.
Poi, una volta impacchettate, le nascondevo in attesa di riesumarle il
giorno del suo compleanno certo di sorprenderla. Invece no. Nemmeno
quello andava bene. Sembrava fosse colpa mia se il suo compleanno era ad
agosto e le scarpe che aveva guardato a dicembre avevano il pelo. Robe
da matti.
Comunque
sia, fortunatamente, un mesetto fa lei se ne è andata di casa ed io di
testa. Dico fortunatamente perchè l’ho letto su una rivista di
psicologia, una di quelle serie. Una semplice ed efficace tecnica di
auto aiuto suggeriva di inserire l’avverbio “fortunatamente” in una
preposizione in cui mi trovo a rimpiangere la sua mancanza. L’articolo mi garantiva
che nel giro di poche settimane tutto si sarebbe sistemato e la mia vita
sarebbe tornata ad essere quella di sempre. Forse per poche settimane
l’autore intendeva più di quattro. In ogni caso, io continuo speranzoso a
seguire il consiglio.
Dicevo
che da quando, fortunatamente, se ne è andata ho capito quanto anche i
piccoli oggetti allora insignificanti sparsi nella mia vita avessero in realtà un ruolo
determinante nel mio equilibrio psicologico. Ora, quando mi sveglio la
mattina e non corro più il rischio di sbagliare spazzolino, un morso mi
stacca un pezzo di cuore, il primo di tutta la giornata. Oppure quando
tutte le volte che vado a pisciare e trovo già la tavoletta alzata,
nella mia mente si fa largo la certezza di averla persa. Sono milioni di
piccoli oggetti, cose e situazioni che si susseguono quotidianamente ad
avvelenarmi il fegato. Perchè dietro alla sua partenza si cela, nemmeno
troppo, il mio senso di colpa. Questo seme che da un mese a questa
parte ha trovato terreno fertile nei miei sentimenti è cresciuto a vista
d’occhio e ormai stento a trattenerlo.
Ho fatto di tutto. Sono arrivato
quasi a pensare di cambiare casa. Oppure di cambiare città o di farmi
una plastica facciale ma forse, per i sentimenti, sarebbe più efficace
un trapianto di cuore e da quando ho letto che ora ti impiantano quello
di un maiale, bè, preferisco tenermi il rimorso. E la città con la casa.
Poi,
penso che quando ti capita di star male per queste cose, il male ce l’hai dentro di
te, non intorno. Non so se mi spiego. Voglio dire che se sto male perchè
la mia ragazza mi ha lasciato, non c’è città o casa o faccia che possa
togliermela di torno perchè lei sarà sempre, fortunatamente, con me.
E come se non bastasse,
certo la mia resistenza al cambiamento non mi aiuta per un cazzo. Anzi,
la sola idea di alzarmi per andare a pisciare nel buio pesto della
notte senza accendere la luce e non trovare la via del cesso, a dir
poco, mi intimorisce. Per non parlare poi della pizzeria dell’angolo:
potrebbero anche cavarmi gli occhi come a Santa Lucia e adesso riuscirei
comunque ad andare a mangiare la mia pizza preferita senza problemi particolari.
Ah,
povero me. E’ sempre la stessa storia da quando, fortunatamente, se ne è
andata. Non fai in tempo a chiederti che giorno è che ti ritrovi
immerso nel solito venerdì con la solita prospettiva di un fine
settimana da solo, con la solita birra finita tra le mani e la sete che
ti brucia la gola più di quanto le lacrime ti bruciano gli occhi.
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4 commenti:
Ma come fai a scrivere così bene, accidenti a te?
non è 'comune' il suo modo di scrivere... hehe.
tenebrae
Ho trovato ironico in maniera dolorosa, quando dici che ogni mattina trovando già la tavoletta alzata, capisci ancora di più che ormai è finita.
Edificante leggere come stanno le cose dalla "vostra" parte della staccionata.
ottimo.
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