È successo a miliardi di chilometri da qua in un mondo che sembra più una parodia del passato in cui tutto risulta divertente. Anche rompersi una gamba per inseguire un sogno e arrivare di corsa ad aprire la porta al postino. È che non so perché mi viene in mente ora. Forse solo non ho niente da inventare e ancora tempo per qualsiasi decisione di attività. Procrasitiniamo quindi decisioni e un’altra giornata da archiviare. Rimaniamo nel purgatorio del tardo pomeriggio pubblicitario e dai colori decisamente troppo anni ottanta per lasciare sopravvivere la logorroica televisione. Con uno nuovo slang che avanza ricordandoci l’evoluzione della specie al contrario. L’implosione.
Ricordo il pranzo. E Chiara. E che avremo mangiato al massimo una volta assieme in quella sua scalcagnata tavola triangolare appoggiata al muro. E avevamo mangiato qualche pasta condita con un sugo direttamente dal barattolo che aveva raffreddato immediatamente il piatto. Ed io avevo una camicia rosa. La stessa che ora ha i polsini consumati e non va più bene nemmeno sotto ad un qualche maglione. Che aspetta la pena capitale da una gruccia in angolo nell’armadio. Qualcuno direbbe che avrei dovuto fare il cambio di stagione. E non avrei niente da ridire. Niente di cui ridere. E quindi torno a quel’1 e 15 in quella stanza mansardata. O mansarda stanzata dall’impossibilità abitativa che ne suggeriva. Dai mobili in legno a vista. Dal divano letto sempre aperto nel soggiorno. C’era anche un computer lasciato acceso a svuotare di significato la parola videonoleggio per contribuire a modo suo al progresso linguistico del nostro ridondante dizionario. E ci dicemmo buon appetito immaginandomi più grande mentre lei sembrava immaginarmi più interessante. Probabilmente per il piacere di farci false illusioni. Probabilmente per il piacere di confondersi. Immaginarsi in un film che ci guardano da fuori. più o meno interessati. Ma lì con la luce bassa ed una seduta diventata ergonomica dall’abitudine.
E non so cosa volevo dire.
Ma mi sono stancato.
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