lunedì 23 agosto 2010

Carla

C’è quest’aria umida che mi illudo di aver passato 20 minuti a correre. La maglietta appiccicata alla pelle seccamente fusa alle ossa. Senza tanti orpelli. Le sfumature sono tutte sul grigio e sembrano alternarsi le stesse auto. Ancora ed ancora. Con un ritmo digestivo bovino. Provo a memorizzare qualche numero di targa e neanche questo è semplice. Sono disinteressato. Non riesco a concentrarmi come in quei sogni in cui si passa da una ambientazione all’altra. Non necessariamente coerente. Io intanto aspetto vedendo consumarsi il fumo che esce dalla tazza che ho davanti. Ero certo Carla avrebbe tardato e ciononostante sono arrivato in anticipo. Diciamo che inconsciamente volevo familiarizzare con queste sedie in ferro nero e questo tavolino tondo dal piano in finto marmo. Consciamente avevo una voglia incredibile di vederla, un sacco di domande a cui avrei voluto risposte ed il bisogno di respirare il suo profumo contraddittorio.
Io e Carla ci siamo conosciuti per caso mentre due ragazzi litigavano sull’autobus. Non che questo significhi qualcosa è solo che ci pensavo. E quasi sempre quando mi trovo a ricordarla quella è l’immagine che mi viene in mente. Ci siamo noi accidentalmente seduti accanto ed io che mi ostino a non guardarla. A concentrarmi sulla stessa frase del libro che ho aperto davanti. Niente di veramente interessante. Quel giorno Carla aveva quel vestito estivo chiaro con una spessa cintura in cuoio marrone. E aveva quell’odore che mi inganno di sentire anche ora quando ormai è chiaro non arriverà.

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