Quasi non mi ricordavo più di lei. Era in quella parte di
ricordi che via via si sovrappongono come i vestiti da lavare. E fanno delle
palle multicolori quasi indistricabili. La palla multicolore in questione contiene
una serie di serate passati seduti al bancone ordinandole da bere. Valutando
che lei era sempre più bella ogni bicchiere che svuotavamo. Non ne abbiamo mai
svuotati abbastanza da iniziare una conversazione. Ci dicevamo sempre: “la
prossima volta”. Ci illudevamo che c’erano questioni più urgenti, spesso
parlavamo di politica ripetendo le illusioni che leggevamo. Interpretando una
parte una volta e una parte un’altra. Senza soluzione di continuità, solo per
sentirci parlare in maniera assoluta. Poi ci salutavamo barcollanti davanti ad
un niente di fatto. Succedeva sempre di domenica. In quel bel periodo dove le
domeniche non finivano inghiottite dall’ombra del Lunedì. Non so se mi spiego.
Ora che ci penso non saprei dire com’è finita la storia. Non
saprei se ci siamo persi di vista prima io e Stefano o se prima se n’è andata
la barista. Succedeva effettivamente troppo tempo fa. Il fatto è che ora mentre
le guardo distratta considerare le potenzialità dei più svariati accessori ho
quella sensazione che il tempo non esista e che potrebbe benissimo essere una
domenica di 7 anni fa. Non fosse che è sabato, chiaramente. E mi domando che
fine ha fatto Stefano ed il nostro piano di cambiare tutto. È strano porsi
queste domande dentro un H&M con i vestiti fluorescenti di sfondo.
Lei si muove lenta e non ha ancora scelto niente, sembra
avere del tempo di troppo da scrollarsi in qualche modo di dosso. Quel neo
sullo zigomo destro che si sollevava quando rideva con gli altri camerieri al
bancone ora è fermo. Sembra malinconico appoggiato a viso bianco su cui il
passaggio del tempo è stato decisamente più clemente che con me. Anche lei non
sembra centrare molto con questo negozio. Il suo cappotto nero si staglia
sottile tra le magliette con qualche leitmotiv abbastanza demenziale da
definire una generazione. E odore dolce che ricorda il lattice dei preservativi
all’aroma di fragola.
La cosa che mi piace di questi negozi è che fa sempre un
caldo spropositato e non c’è nessun commesso che ti squadra chiedendo se mi può
essere utile. C’è solo qualcuno che piega i vestiti abbandonati dentro ai
camerini e qualcuno alla cassa. La sicurezza è affidata ad una società esterna.
C’è una certo contrasto tra l’austerità della sicurezza e l’atteggiamento
forzatamente hipster dei commessi. La sensazione è la stessa dell’autobus
dell’18 e 35 ripieno di studenti e impiegati che si lasciano trascinare nella
stessa direzione.
Fingo di interessarmi ad un maglione abbastanza scuro e
ordinario da sembrare credibile. Calcolo quanti dei maglioni uguali che possiedo
devo sostituire perché ci si vedono i gomiti e non posso indossarli in ufficio.
Mi convinco che lei mi stia guardando, che le ricordo qualcosa che ha sulla
punta della lingua ma non riesce a concettualizzare. Sento i suoi occhi quasi
orientali accarezzarmi la ricrescita della barba e la bocca che non riesco
ancora ad atteggiare con nonchalance.
Mi giro e non la vedo.
Meglio così.
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