Era palesemente morto davanti al computer. Come un brufolo giallo schiacciato sullo specchio del bagno di un treno. Una mano ancora sulla tastiera, l’altra buttata giù. Pendente come il batacchio della campana. Il braccio si muoveva ogni volta che passava un treno dalla ferrovia. Che non era poi così lontana come aveva raccontato il ragazzo in giacca United Colors of Benetton della agenzia immobiliare. Ammiccando sicuramente e con una intonazione non troppo bassa e non troppo veloce. Ripeteva spesso i loro nomi mentre passeggiava disinvolto per quello che per qualche mese sarebbe stato il loro appartamento. Diceva “qui Dante potrai trovare tutta l’intimità di cui hai bisogno” e “la scrivania la volevano portare via oggi ma dopo la nostra telefonata non mi sono sentito di privartene”. Dietro a quella scrivania era morto Dante. Francesca reagì bene. Rientrò e quando lo vide fece un respiro fondo. E gli occhi sprofondarono in un istante lasciando una scia nera di occhiaie. Non pianse però, aveva solo le pupille lucide come asfalto appena lavato. Si avvicinò lenta e cercando di non fare rumore. Chissàperchè. Poi gli fu accanto vide che il petto non si sollevava. Niente su e niente giù. Non riusciva a toccarlo. Prese il telefono poco lontano e chiamò il numero delle emergenze.
“Il mio ragazzo è morto, venite” si limitò a dire. Arrivò la polizia in 5 minuti. Lei aspettava una ambulanza.
“Che volete?” urlò dietro la porta.
Loro la chiamavano signorina. Erano accomodanti. Dicevano che tutto si sarebbe messo a posto.
Aprì.
Entrarono veloci ed a scatti come i militari nei film. La porta sbattè e lei quasi cadde. Avevano le pistole in tinta con i guanti neri. Una la indicò. Lei guardò dentro la canna senza capire. Pianse la prima lacrima. Uno sputo dal 5 piano.
Poi venne fatto quello che c’era da fare. Arrivò anche l’ambulanza. E impacchettarono Dante. Lei salutò i medici dicendo: “Vi prego non dite che è morto con il cazzo in mano”. Loro la guardarono. Quella sera avrebbero avuto qualcosa di interessante da raccontare.
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