C’è una nebbia umida quasi piovosa, le tinte incerte da accenno di miopia e odore caldo di castagne.
C’è quella sensazione di eternità che spinge sulle ginocchia e che vomita pensieri che non ricordavo. Ci sono degli studenti che si lanciano delle patatine davanti ad un McDonald’s. Da quanto questa città è diventata così scontata? Da quanto Carlo non fa più una festa alla quale posso infilarmi a bere gratis dispensando le mie peggio battute? Da quant’è che ho questa sensazione di suicidio in concomitanza con la suoneria in crescendo della sveglia incastrata nel mio Nokia?
Mi guardo ancora un po’ attorno, le mani infilate in tasca più per moda che per effettiva necessità termica.
Poi, alla fine, mi ritrovo ancora una volta a bere una birra.
mercoledì 18 novembre 2009
venerdì 13 novembre 2009
Una discussione
L’altra sera ho avuto una discussione. Strano per me che cerco sempre di evitare queste situazioni. Mi vesto non eccessivamente fuori moda da farmi notare, prediligo i colori scuri così che non si riesca bene a ricordare se mi ero o non mi ero messo effettivamente quel maglione scuro. Che poi non me lo ricordo nemmeno io. E succede che a volte finisco a vestire sempre gli stessi vestiti per settimane senza rendermi conto che sarebbero anche sporchi. Comunque ripescando il filo del discorso ed i suoi piombini fissati coi denti l’altra sera c’è stata questa sorta di battibecco. Insomma ero in quel locale che mi piace un mondo. Abbastanza trasgressivo per avere sia un numero di decibel che i prezzi ragionevolmente bassi. È un posto praticamente sconosciuto dove giuro una volta hanno pure appeso un quadro che io avevo dipinto. Ci sono le sedie deliberatamente spaiate e ciondolanti ed io sono parecchio amico col barista. Ci diamo del tu e barattiamo soldi con birre. Si chiama Stefano e non ho ancora trovato un diminutivo o un soprannome che gli possa calzare. Che in quel posto tutto è talmente creativo che mi sento annientato. C’è una sorta di luce galleggiante che illumina tutto e anche la più grossa stronzata puzzolente sembra una trovata geniale. Roba tipo merda d’autore ma in aria più indierock da occhiali spessi e camicia in flanella. Quelle cose di moda e notevoli loro malgrado. Quelle che ci faranno sorridere quando saremo vecchi, impotenti ed in aria di demenza senile. Bè insomma ieri sera ero ancora una volta al bancone e c’è stato questo scambio di battute. E ribadisco che io non volevo proprio. Ci siamo detti due cose io e Franco. Ma non è che poi abbia tanto importanza. Mi era sembrato quand’ero là.
lunedì 2 novembre 2009
Il mio amico Giulio è andato ad abitare in un posto sperduto nell’Appennino Tosco-Emiliano
Siamo in un paese di vecchi e bambini, diciamo Vedegheto. È una frazione di un comune che non è poi così comodo da raggiungere. Il supermercato è uno sgangherato camion frigo una volta ammiraglio della flotta BoFrost. Passa in paese alle 11 e si ferma nel parcheggio dell’unico ristorante per un’ora circa. Dalle 10 ci sono già nonne e nipoti ad aspettarlo. È l’evento della giornata e nell’attesa ci si intrattiene come nella sala di attesa del medico: raccontandosi disgrazie.
Quando il camion ripart svuotato bene bene è verso mezzogiorno e le strade si fanno presto deserte. Si disegnano timidi percorsi di fumo bianco fosforescente nel cielo cristallino che passano le ultime vette delle colline.
A questo punto i bambini guarderanno sicuramente uno dei pochi canali che la televisione qui riesce a sintonizzare mentre le vecchie si danno da fare sui fornelli. Immagino una di quelle pentole da brodo in alluminio ammaccate dagli anni.
Noi passiamo con la nostra 206 verde diretti verso una strada sbagliata, ostinando fiducia nelle improbabili scorciatoie proposte dal navigatore.
Il rumore dell’auto non coinvolge nessuno. Tutti troppo interessati alla loro quotidianità.
“Mi sa che stiamo andando a fanculo” dice Piero parafrasando gli 883.
“Già” gli rispondo con gli occhi fuori dal finestrino, lontano in un campo lucido che probabilmente sa di gelo.
Continuiamo avanti parlando poco sulla colonna sonora dell’unico cd che si ripete. Abbiamo pochi argomenti. È quasi sempre così quando siamo sobri. Ci perdiamo in ragionamenti banali da vergognarsi che preferiamo tenere per noi. Tipo tutto questo pensare alle montagne ed alla vita agreste. E a domandarsi se agreste è l’aggettivo adatto o suona solo giusto. Se con questi pensieri posso imbastire un sentimento da raccontare in qualche occasione accompagnato da un tavolo traballante, bicchieri di vino di vetro spesso ed una ragazza qualsiasi dei miei sogni. Magari Antonella che è partita per chissadove con le responsabilità che possono avere 5 anni in meno dei miei. E poi che responsabilità? Probabilmente non mi è ancora passata la sbornia di ieri. E perché questo maglione Benetton e la giacca con le toppe ai gomiti? Ah sì, perché erano gli ultimi vestiti ancora puliti. Cazzo, dovevo fare la lavatrice. Mi sollevo un attimo dal torpore del sedile avvolgente e sportivo.
Piero dice “porca puttana” alla strada bianca che ci troviamo davanti. Poi rallenta fino a che ci fermiamo. Io avrei inchiodato sollevando la polvere tipo film west ma tant’è.
Il navigatore è convinto a farci proseguire. La strada che abbiamo davanti è colorata di viola nel display.
Piero gira la macchina ed il navigatore protesta.
“Ricalcolo” dice e poi aggiunge “appena possibile effettuare una inversione a U”. Un atteggiamento testardo da recidere i nervi sottili di Piero che inizia a ripassare ad alta voce le bestemmie che conosce.
Poi spegne il navigatore e lo lancia sui sedili dietro senza curarsene troppo.
Ora scendiamo inerti per l’unica strada possibile col motore in folle. Inchiodiamo in curva e poi riprendiamo a poco a poco velocità.
Al paese in cui ripassiamo intravediamo una televisione accesa in sala da pranzo. Mi viene una fame della madonna.
Ci fermiamo al ristorante, mangiamo come maiali e beviamo come disperati.
Al ritorno siamo molto loquaci e facciamo pure la pace col navigatore.
Tutto questo per dire che domenica scorsa non siamo andati a casa di Giulio perché abita in un posto decisamente irraggiungibile.
Quando il camion ripart svuotato bene bene è verso mezzogiorno e le strade si fanno presto deserte. Si disegnano timidi percorsi di fumo bianco fosforescente nel cielo cristallino che passano le ultime vette delle colline.
A questo punto i bambini guarderanno sicuramente uno dei pochi canali che la televisione qui riesce a sintonizzare mentre le vecchie si danno da fare sui fornelli. Immagino una di quelle pentole da brodo in alluminio ammaccate dagli anni.
Noi passiamo con la nostra 206 verde diretti verso una strada sbagliata, ostinando fiducia nelle improbabili scorciatoie proposte dal navigatore.
Il rumore dell’auto non coinvolge nessuno. Tutti troppo interessati alla loro quotidianità.
“Mi sa che stiamo andando a fanculo” dice Piero parafrasando gli 883.
“Già” gli rispondo con gli occhi fuori dal finestrino, lontano in un campo lucido che probabilmente sa di gelo.
Continuiamo avanti parlando poco sulla colonna sonora dell’unico cd che si ripete. Abbiamo pochi argomenti. È quasi sempre così quando siamo sobri. Ci perdiamo in ragionamenti banali da vergognarsi che preferiamo tenere per noi. Tipo tutto questo pensare alle montagne ed alla vita agreste. E a domandarsi se agreste è l’aggettivo adatto o suona solo giusto. Se con questi pensieri posso imbastire un sentimento da raccontare in qualche occasione accompagnato da un tavolo traballante, bicchieri di vino di vetro spesso ed una ragazza qualsiasi dei miei sogni. Magari Antonella che è partita per chissadove con le responsabilità che possono avere 5 anni in meno dei miei. E poi che responsabilità? Probabilmente non mi è ancora passata la sbornia di ieri. E perché questo maglione Benetton e la giacca con le toppe ai gomiti? Ah sì, perché erano gli ultimi vestiti ancora puliti. Cazzo, dovevo fare la lavatrice. Mi sollevo un attimo dal torpore del sedile avvolgente e sportivo.
Piero dice “porca puttana” alla strada bianca che ci troviamo davanti. Poi rallenta fino a che ci fermiamo. Io avrei inchiodato sollevando la polvere tipo film west ma tant’è.
Il navigatore è convinto a farci proseguire. La strada che abbiamo davanti è colorata di viola nel display.
Piero gira la macchina ed il navigatore protesta.
“Ricalcolo” dice e poi aggiunge “appena possibile effettuare una inversione a U”. Un atteggiamento testardo da recidere i nervi sottili di Piero che inizia a ripassare ad alta voce le bestemmie che conosce.
Poi spegne il navigatore e lo lancia sui sedili dietro senza curarsene troppo.
Ora scendiamo inerti per l’unica strada possibile col motore in folle. Inchiodiamo in curva e poi riprendiamo a poco a poco velocità.
Al paese in cui ripassiamo intravediamo una televisione accesa in sala da pranzo. Mi viene una fame della madonna.
Ci fermiamo al ristorante, mangiamo come maiali e beviamo come disperati.
Al ritorno siamo molto loquaci e facciamo pure la pace col navigatore.
Tutto questo per dire che domenica scorsa non siamo andati a casa di Giulio perché abita in un posto decisamente irraggiungibile.
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