domenica 17 ottobre 2010

Sesto piano

Sorride dal sesto piano di una insignificante serata. La chiamiamo festa per il via del numero considerevole di persone insaccate in quel budello in affitto. In fondo è vero: non tutti abitano qui anche se molti si fermeranno addormentati in qualche precario giaciglio recuperato tra i mobili montati storti e quelli recuperati dai cassonetti. Col sapore del vino che rimane incollato sulle labbra saluteranno il giorno e si allontaneranno mesti nel cortile interno troppo grande contando le sigarette rimaste.
Ora però sotto le luci gialle e patinate, e musica alta, nugoli di persone si alternano a recuperare salatini dal discount. Ci sono anche ricercati piatti preparati in cucine rustiche da genitori o parenti di questo o quest’altro ospite. Roba di prim’ordine che va presto finita assieme all’innata timidezza per una situazione incastrata tra ruoli sociali ed egosimo innato. Superego. Ed il via vai di risposte convenzionali e discorsi galleggianti si fa più irriflesso. Quasi naturale e sincero.
E lei non mi ricorda mia madre, non ha assolutamente niente di lei. Forse la psicologia spicciola si sbagliava. in fondo il nostro tentativo di spiegare la realtà ci ha portato all’illuminismo ed alla rivoluzione industriale. Alle camicie ed alle cravatte col nodo finto. Al deodorante che dura 48 ore. Al cellulare e agli sms. Agli asili nido cui destiniamo il nostro stipendio in nome del progresso industriale. All’uomo sulla luna che agita una bandiera felice come un cane che piscia contro una staccionata in campagna. A questa festa in cui l’unica cosa di cui avrei bisogno sono un po’ di socialità in meno.
Siamo vicini. Lei ha questo suo modo di mettermi a mio agio, il sorriso e guarda giù. Io ho le mani in tasca e le possibilità di conversazione vertono sulle posizioni preferite per fare sesso. Proprio per questo aspetto che sia lei ad aprire bocca. Ma non lo fa, rimane accanto a me e guardiamo in basso assieme. Da qui il cortile interno sembra piccolo ed insignificante. Questione di prospettive.
È tutto quello che mi importa. La sola immagine che ho. E le birre mi passano di mano senza che il mio cervello si smuova dallo standby in cui l’ho confinato. Fermo su di lei. Al punto che ricordo tutti i suoi movimenti al rallentatore come quando in televisione fanno vedere il battito delle ali di una mosca.
E succedono varie cose intanto.
Poi finalmente le infilo la lingua in bocca.
E vissero tutti felici e contenti.

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