Succede che la gente ci incrocia per un periodo che va
dall’attesa davanti al bagno affollato di un pub dove allungano troppo la birra
ed arriva fino a parecchi anni. Succede che i momenti che rimangono impressi
non sempre ricalcano il tempo investito. Succede che ho dei buchi di troppe
notti in cui mi ricordo a conversare con qualcuno ma non riesco a ripetere una
sola frase. Ripeto solo il suo nome. E provo a ricordarla per l’effetto che mi
lascia in bocca il movimento della mia lingua. Quel nome troppo lungo per non
essere abbreviato. Quella storia troppo lunga per continuare. E, ad onor del
vero, non è nemmeno una storia molto interessante. Rivedo le poche foto che ci
ritraggono assieme e tutto quello che vedo sono due comparse in un film vestiti
alla meno peggio con vestiti non proprio di misura.
C’era il sapore della brace che non ci è ancora fatta ed il
vento soffiava via l’odore dell’autunno. Che è molto simile all’odore di merda
di mucca.
Il periodo che ci frequentavamo era quello delle possibilità,
quello in cui potevamo ancora cambiare le definizioni del mondo. Sapevo che non
l’avremmo mai fatto però mi accontentavo dell’idea della possibilità. E facevo
sempre colazione con un caffè da € 0,25 alla macchinetta automatica anche se
non mi piaceva. Mi guardavo attorno e mi sentivo parte di qualcosa. Facevo
esattamente quello che ci si aspettava da uno studente universitario a Bologna.
Ero in ritardo di 5 esami ed ero convinto, come tutti, che nonostante ciò mi
sarei laureato in tempo. Intanto discutevo spesso del più e del meno usandolo
come pretesto per una bevuta. Era bello vedere come i più alti discorsi di
fantapolitica si trasformassero nel giro di qualche birra in accurate analisi
degli attributi più o meno celati delle nostre compagne di corso. Anche allora
la cosa ci faceva ridere e brindare nuovamente.
Lei in quei pomeriggi non c’era.
Lei abitava dall’altra parte di Bologna e di giorno non ci
vedevamo mai, e forse anche per questo non abbiamo mai discusso. Arrivavo
spesso dopo cena e me ne andavo alle 2 o alle 3. Mi sembra che in quel periodo
ci fosse ancora il Maurizio Costanzo Show alla televisione con i suoi
interminabili ospiti che continuavano ad entrare accompagnati da Demo Morselli
al piano.
Quando la salutavo spesso era avvolta nel suo bozzolo di
vestaglia consumata ed aveva uno sguardo che due su tre mi faceva sentire
fortunato. La baciavo con la lingua impastata di quei discorsi che non ricordo
e di quel vino troppo secco. Poi rubavo un respiro da appartamento condiviso e
mi chiudevo la porta alle spalle. Una porta pesante e dipinta di marrone alla
meno peggio. Spesso dovevo tirare con entrambe le mani per richiudermela alle
spalle quasi avesse qualcosa da dirmi e non mi volesse lasciare andare. Poi
correvo veloce giù per le scale con gli occhi semichiusi, cercando di essere al
più presto fuori di lì. Mi fermavo sotto al portico deluso dalla mia mancanza
di opzioni a quell’ora della notte.
Il portico pavimentato con un finto mosaico rifletteva la
luce gialla sospesa.
I suoni della città erano quelli di una superstrada timida
ed affacciata su uno splendido paesaggio.
Avrei parlato ancora di fantapolitica, ma tutto quello che
potevo fare era tornare a casa con il mio motorino che mi accompagnava
affettuoso come un braccio sulla spalla.
Oggi ho la sensazione che lei non sia mai esistita.
Il motorino però ce l’ho ancora.
3 commenti:
mi piace.
non so perchè ma ha un che di non so che che mi garba un sacco.
è come un dito su per il naso dei ricordi.
poi, bene o male, nella vita ciascuno di noi ha avuto a che fare con la propria porta pesante e dipinta di marrone alla meno peggio.
ora, non vorrei essere pedante, ma lo sarò.
demo morselli è un trombettista, e al costanzo show dirigeva la sua band.
a suonare il piano, per oltre 20anni, c'è stato quel gran figo di franco bracardi, fratello di giorgio (quello delle pernacchie, per intenderci).
pez, il professorone
e cmq complimenti! :)
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