giovedì 23 novembre 2006

come un sacco

A bordo ero un peso inutile, una zavorra pesante d'impiccio all'equipaggio! Decisero così, di comune accordo, di destinarmi alle acque torbide e gelide dell'oceano, di affidarmi alle maree come un eretico alle fiamme, in una serata di foschia, di cielo pesante e senza luna, nessun riferimento polare, nessuna destinazione.Il tuffo non durò molto più a lungo del salto nel vuoto che spesso ci apre le porte al sonno, niente più di un piccolo capogiro prima dell'impatto con il mio nuovo destino.La profondità l'avvertii solamente per via della pressione dell'acqua sui miei timpani; potei quindi solo immaginarla. Il senso di disorientamento fu immediato e totale. Non esistevano per me nè più virtù nè tantomeno più punti cardinali. Prudenza a Nord, giustizia ad Est, fortezza a Sud e temperanza ad Ovest si dissolsero alla velocità della luce e svanirono come i sensi dopo un colpo dato col calcio della pistola alla nuca. Manca proprio un pelo perchè anche la vita se ne vada mentre, invece, qualcosa la trattiene, la stringe e la costringe a restare.Fui affidato alle scure, insicure acque dell'oceano con la grazia e la naturalezza con cui l'ostetrica porge l'essere neonato alle sicure braccia amorevoli della madre. Spesso l'inizio e la fine, come nell'arcobaleno completo, si confondono, si mescolano e non si distinguono mantenendo lo stesso mistero che si cela dietro la vita e la morte. Nel buio più totale non si pone più nessun problema di spazio; tutto è e rimane una questione di tempo, di durata prima che qualcosa succeda, abbia il sopravvento.Avvolto dall'acqua e dal sale del mondo sottomarino si perde la cognizione della massa e del peso; ci si alleggerisce e ci si spoglia del peso della vita terrena mantenendo solo l'illusione di avvertire quello dell'anima, della coscienza. Sospeso tra cielo ed abisso, immobile, immutabile, ogni movimento risulta un inutile e vano tentativo di sottrarsi alla volontà, al destino. Senza fiato nei polmoni si avverte sempre più la presenza dell'inesorabile avvicinarsi dell'ignoto, del non conosciuto. E' proprio allora che l'ultimo atomo di razionalità svanisce, si dissolve e ci abbandona lasciandoci in balia dell'istinto e del terrore. E' allora che comincia l'inesorabile perdita di controllo della mente sul corpo; è allora che si delinea la nascita della dualità tra anima e corpo; è allora che la mente arrocca lasciando scoperto e vulnerabile il corpo; è allora che l'anima, in estrema ratio, sacrificando il corpo non sa di immolare tutta se stessa; è allora che il buio dell'abisso lascia il posto al niente della fine.Fu proprio in quell'eterno istante, in quell'interminabile attimo in cui si avverte una lucidità superiore, celestiale, suprema, iper-razionale, che m'avvolse un fascio di luce. L'ebbrezza della fine nessuno può raccontarla, descriverla o farla provare perchè a tutti spetta, ma una sola ultima volta. Quando i miei occhi distinsero quella luce, quando le mie orecchie udirono il ronzio di quella luce, le mie mani tastarono l'inconsistenza di quella luce, il mio naso e la mia bocca gustarono il sapore di quella luce, per me fu la fine. Fu allora che mi resi conto, che presi coscienza di essere stato rifiutato dalla vita, per poi essere rigettato contemporaneamente, od in rapida successione, prima dagli abissi ed in seguito dalla morte.Non esiste solo la contraddizione e l'antagonia tra vita e morte, bensì anche quella tra morte e fine.Solo quando ci avvolge la solitudine e non si riesce a colmare l'incompletezza si assapora l'agrodolce sapore della fine.

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