Passo casualmente davanti al calendario fermo a qualche mese
fa. Lo guardo con gli occhi stupiti dei fuochi d’artificio di ferragosto, a
cinque anni. Quando è speciale trovarsi in spiaggia dopo che il sole è
tramontato. C’è l’odore dei gamberetti che si bruciano e del vino bianco
dimenticato aperto, e basta guardare il cielo per immaginarsi tutto ed essere
felici. Così, come se esistesse solo quell’istante. E fosse tutto perfetto.
E sorridere.
E dire: “guarda quello!”.
E applaudire mentre tra i tuoi genitori c’è un silenzio
imbarazzato che nemmeno la eco delle esplosioni riesce a riempire. Ed il mare
nemmeno ci prova. Calmo e inutile come può essere l’Adriatico. Quei giorni sono
lontani che quasi non ci sono mai stati. Più lontani dei mesi che mi sono
lasciato indietro senza girare le pagine poco originali del calendario regalato
dal supermercato. Me lo ricordo ancora quel giorno.
Era passato Natale e non era ancora capodanno. Il negozio
aveva tutta l’aria di voler rimanere chiuso ma di non potere. Come quando ci si
sforza di alzarsi presto la domenica mattina. Gli scaffali erano stati lasciati,
forse volutamente, ingombri di scatoloni svuotati a metà dallo shopping
compulsivo dei giorni precedenti. Una tragica rappresentazione del nostro
irrisolto bisogno di empatia. Il pavimento era stato pulito con lo stesso
disinfettante degli ospedali. Alle casse c’era una sola commessa che non si
impegnava nemmeno per sembrare annoiata con i suoi 25 anni ed i capelli sporchi
raccolti in una treccia stretta e lunga. Poteva essere bella se solo fosse
stata un’altra situazione senza quell’uniforme e quell’espressione palindroma.
Al mio ingresso era rimasta impassibile. La musica in filodiffusione intanto si
interrompeva senza soluzione di continuità lasciando spazio agli annunci delle
offerte del giorno. Occasioni su cui non riuscivo a concentrarmi. Ci provavo un
istante e la canzone ripartiva lasciandomi lì con la parola che cercavo sulla
punta della lingua.
Deglutivo.
Mi avevano invitato troppo tardi ad una cena, per quello ero
lì. Avevo girato tra le corsie con la stessa sensazione di quando si rientra
dopo un lungo viaggio. Incerto su tutto. Alla fine ero uscito con un panettone
scontato ed un calendario omaggio. Mentre si chiudeva la ghigliottina alle mie
spalle avevo realizzato che la mia presenza a quella cena era qualcosa di
dovuto più che voluto. Come le trattenute sullo stipendio.
Ma lasciamo perdere le amicizie indotte da una questione di
latitudine. Succede, è così, ed alla fine ci va pure bene. Non volevo parlare
dello schifo di un supermercato il 27 dicembre e tantomeno della riviera
romagnola il 15 di agosto. Il proposito era di fare una introduzione pomposa
per finire a scrivere delle solite storie a sfondo labilmente sessuale.
Racconti che mi fanno sentire meglio e, soprattutto, mi danno una ragione per
non alzarmi e girare le pagine del calendario. Un appiglio per non ammettere
che il tempo passa e fondamentalmente qua non succede un cazzo. E non tirate
sempre in ballo la crisi! Quella parola la dovevo brevettare qualche anno fa. E
invece quel giorno non mi sono svegliato.
Perché ero morto.
Ero affondato col Titanic.
Peccato non passasse Shackleton da quelle parti, l’avrei
salutato molto volentieri.
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