Hai pensato bene di metterci una data. È stato strano
scriverla. Aveva il sapore delle scuole superiori, di compito in classe. Quando
non avevi voglia di copiare e confidavi in una fervida immaginazione. Un po’
come ora che cerchi di inventarti lontano da questa cena abbozzata ripetendo il
ritornello blasfemo di una canzone che ti si è appiccicata in testa. Con la
stessa sensazione dei fili di grasso del prosciutto che si incastrano tra i
tuoi denti troppo distanziati. Anche per questo non sorridi. Anche per questo
ti immagini diverso da quello che sei. Ed è tutta colpa di Bruce Willis e degli
Stati Uniti. Dell’incondizionata attrazione che provi nonostante una laurea in Scienze
Politiche e ripetuti tentativi di boicottaggio di Nike e McDonald’s. Ma ci
ricadi regolarmente. Potrebbe essere il retaggio dei racconti di tuo nonno sulla
liberazione. Di quando gli regalavano le sigarette ed il latte condensato nei
tubetti. E per strada c’era un odore che non aveva mai sentito. E lui seguiva
quelle processioni come facevi tu a San Giovanni in Persicieto con i carri che
lanciavano le caramelle dure come sassi e coriandoli, e pidocchi. Finivi sempre
a passare la quaresima con i capelli tagliati corti e scampi all’aceto di vino.
Che ti pizzicavano la cute e puzzavano di quando tua mamma metteva via i
carciofini in tavernetta. Quando ancora c’era tuo padre. Quando Natale
significava un noioso pranzo con i parenti. Quei momenti orribilmente lunghi
che oggi ti mancano e per sentirti meno solo farcisci con tutte queste storie
che ti inventi. Con questa morale che sembra ripescata nelle patatine fritte
assieme alle soprese unte che ci infilavano. Che poi erano quasi sempre le
stesse pistole ad acqua. Od al massimo quelle manine appiccicose con cui avevi
sporcato tutti i muri di quell’appartamento in affitto a Lido di Savio. Ma non
volevi parlare di questo.
Concentrati.
Avevi pure preso qualche appunto. Ma alla fine che cosa
importa? Ti rendi conto che le cose succedono e non sei veramente tu che
controlli gli eventi, puoi limitarti ad esistere per il tempo utile in cui sei
utile a qualcuno e poi lasciarti trasportare a valle. Galleggiando incerto come
un tronco affogato che proprio non ce la fa a non bere. Finendo in maniera
certo meno poetica di Jeff Buckley o di Li Po. Ma qui stiamo parlando del Reno.
Un fiume che non ha nemmeno la dignità per avere un nome proprio, che l’ha
dovuto copiare per sentirsi importante. E qui stiamo parlando di te che ti
muovi come ti spostasse uno giocatore di scacchi ubriaco ed interessato più al
suo bicchiere che ad una strategia. Ed è così che ti trascini. Ed è così che ti
accompagno sotto ai portici, passando davanti ad uno dei pochi muri che ci
ricorda che Bologna ha ancora una storia. E c’è ancora qualcuno che ci porta dei
fiori in via Mascarella. Certo, non noi. Noi in quella via ci passiamo per bere
una birra.
Perché la rivoluzione fa schifo.
E gli ideali sono stronzate buone solo per un film di Bruce
Willis.
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