È quel sapore degli avanzi solo in una casa non tua. È
l’inizio della pioggia sopra una canzone portata avanti da una sottile linea
vocale. È l’autobus che ferma sotto casa per un attimo e poi riparte senza
comunicarti nessun ricordo. È sentire il bisogno di riempire lo stomaco di
sentimenti in una città che non è francese. Dove il massimo del romanticismo lo
trovi in una zuppa pronta da scaldare al microonde che odora di un mondo che ti
illudi di ricordare.
È questo sentimento quello che non riesco a raccontarti. È
questo sentimento che mi ha affogato.
E non posso rimandare il lavaggio dei piatti con la stessa
facilità con cui posso saltare un pasto. Così mi guardo attorno e vedo una stanza
che ho già raccontato troppe volte. Che finisco sempre a parlarti di quella
piastrella rotta. Dell’unico rumore che induce il mio passaggio. E mi fa
sorridere come succede osservando il proprio gatto che si sveglia e allunga una
zampa. Si muove con quel modo morbido che non sembra neanche vero e che sa
della tua crema idratante.
E sorrido masticando tutta la solitudine di una mattinata di
pioggia sottile in un mercato dell’usato improvvisato nella prima periferia.
Tra i vestiti militari dismessi e l’incertezza delle lampadine ad incandescenza.
Con in tasca quello che basta per un caffè che vendono nel retro di un furgone
in piccoli bicchieri di polistirolo. Cercando il tuo profilo nella ragazza che
raccoglie i soldi nei suoi guanti senza dita. Annusando l’aria lavata dall’ipocrisia
dei motori a scoppio.
E mi fermo un attimo. Mi fermo a ricordare com’è finita
anche quella giornata col treno che mi riportava al punto di partenza tra
perfetti sconosciuti. Solo per dimostrarmi che la perfezione esiste.
Ed è tutto qui quello che vorrei farti capire.
Ma tu non mi ascolti nemmeno.
E a me non importa.
Mi basta saperti.
E sapermi.
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