domenica 30 settembre 2012

Il mio capolavoro


Ho iniziato a scrivere questo racconto pensando a lei. Mi ci sono messo con tutto l’impegno e la determinazione di cui ero capace sforzandomi di immaginare qualcosa di imprescindibile e perfetto. Ero pronto a scrivere il mio capolavoro. Glielo dovevo. Sarebbe stato l’unico modo per rimanere assieme.
Sorrisi ed annusai l’aria stupida di quella cucina pavimentata di piastrelle rotte.
Quella mattina mi sono seduto in quella tavola stretta di legno vivo col computer acceso, un caffè bruciato e dei biscotti secchi. Era presto e nell’alba cercavo quei momenti in cui rincasavamo tardi passando a comprare i cornetti caldi dal fornaio. Camminavamo affianco e lei rideva come in qualche foto che ho ancora. Il cielo sapeva di pioggia e di sole.
L’alba di quella mattina a casa non era la stessa. Mi colpiva come lo stomaco vuoto. Era una merda. Per questo stavo scrivendo. Ero convinto fosse l’unica soluzione. Mi illudevo che ci fosse ancora, una soluzione. Non so perché ma mi sentivo uno di quei personaggi di Nick Hornby e volevo solo rimettermi a dormire. Annullare tutto e cancellare l’ultimo anno e mezzo. Solo che in certi momenti la razionalità cede il posto all’ostinazione che si accompagna con una visione egocentrica del mondo. Quindi mi costringevo ad iniziare questo racconto. Chiudevo gli occhi e li riaprivo di scatto quasi folgorato. E guardavo i tasti del computer che non osavo premere. E la pagina che non mi azzardavo a violentare. La prima pagina del mio capolavoro.
Rimasi a fissare lo schermo per qualche ora disperandomi, affascinandomi, innalzandomi, illudendomi. Poi la batteria si era scaricata annerendo lo schermo. Mi era dispiaciuto come un brutto voto a scuola. Ed era diventato chiaro che non ci sarebbero state altre albe assieme a mangiare cornetti caldi con i vestiti della sera prima. Né il suo sorriso.
Oggi ma non avendo niente più da perdere ho ripreso quella pagina e qualche riga la sono riuscita a scrivere.
E poi mi è venuta la voglia incredibile di andare a comprare uno di quei bagel che sfornano continuamente in Brick Lane. Con questa pioggia fine che immagino appena dal vetro appannato della finestra.
Torno subito.

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