La vedo che si costringe a guardare la televisione dopo
l’ennesimo colloquio di lavoro. La vedo con i gomiti sulle ginocchia nude e la
faccia trattenuta dalle mani. Mani che diventano sempre più lunghe mentre la
faccia ci sprofonda dentro.
“non pensarci” si ripete sapendo di peggiorare questo
momento.
Indossa ancora gli stessi abiti che aveva questa mattina uscendo
presto di casa. Adesso le sembrano così grandi, adulti.
Vorrebbe il suo telefono non suonasse ma lo sa che tra poco
sua madre la chiamerà apprensiva. E cercherà di minimizzare quella mezz’ora in
cui un perfetto estraneo con degli occhiali da vista Ray Ban dalla montatura
pesante l’ha fatta sentire inutile. In quella sala dalle pareti nude, solo una
finestra mascherata da una tenda industriale ed un calendario appoggiato sul
tavolo bianco. Si era sentita sezionata in una camera operatoria. Si era
meravigliata dell’assenza di dolore e di quel torpore che l’aveva avvolta. E quell’odore
di muschio chissà da dove veniva.
Il telefono squilla.
Abbassa il volume della televisione.
Cerca di non concentrarsi su se stessa, mantenere
l’attenzione alle persone che si muovono dentro lo schermo. Con una determinazione
palesemente teatrale.
La telefonata si svolge esattamente come aveva previsto e so
conclude con: “tranquilla, la prossima volta andrà meglio”. Riattacca guardando
lo schermo del cellulare spegnersi in modo soffuso.
Ora qualcosa le si muove nello stomaco vuoto.
Ha il suono di una moneta gettata in un pozzo dei desideri.
Un pozzo troppo affollato, con una lista di attesa più lunga
di quella che ci è possibile aspettare. Solo che lo scopriamo troppo tardi e
tutto quello che ci resta da fare è guardare un telefilm alla televisione
sperando che domani le cose cambino.
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