È troppo tardi, come sempre del resto. Troppo tardi per fare
una lavatrice, pulire il bagno, sognarsi di cercare un altro lavoro o scrivere
un libro. Tutto quello che vedi è quello che è avanzato questa sera. Con i
noccioli delle olive che hai sputato nel bicchiere dal fondo di vino rosso
perché non avevi voglia di alzarti. Incollato ad un pensiero che hai già
sentito e che anche questa volta ti ha fatto sorridere. Quando eri geniale. Ed
ogni definizione aveva un senso e sapeva di un-milione-di-dollari. Se solo
avessi quantificato. Ma Stefano continuava ad avvelenarti con i Bloody Mary ed
in fondo è questa la poesia. Ti sbagliavi. La poesia è il detto che non sai più
come ripeterlo. Ma che ti fa da eco in testa. E non importano le ricette di
Alessandro Borghese che si sforza di solleticare l’appetito di Gianni Morandi.
E chiaramente di scoparsi la tua morosa. E non c'entra niente Gianni Morandi, la tua ragazza e Alessandro Borghese, Anche se la
visione di “2 Girls One Cup” ti suggerisce qualcosa. Ma sono
suggestioni. Illusioni come tutto quanto. Il ripetersi delle pagine dei libri
di Ken Follett ed il tuo riempire le pagine di scarabocchi frustrato dalle tue
giornate. E dalle frasi che ti trovi a dire. A volte senza neppure pensarci. Ma
renditi conto. Al mattino ti guardi allo specchio considerando le tue occhiaie.
Cos’è successo? Non te lo spieghi. Sai solo che Stefano ha cambiato lavoro ed
ora vive in Spagna, a stento risponde alle tue mail. A volte ti allega qualche
foto che ti fa venire solo voglia di distruggere le tua auto in un viaggio
incredibile fatto di chilometri solo per il gusto di farli, di sigarette spente
sui sedili senza alcuna remora. E di birre stappate e bevute lanciato a
centotrenta in autostrada. In un modello qualunque di auto anni sessanta purché
sia americana e sovralimentata. Con una stazione radio che non perde mai la
frequenza. E fischietti una canzone di Johnny Cash. Anche se non la conosci. Ma
hai bene impresso il suo dito medio tozzo alzato ed una chitarra semiacustica
che scompare nell’ombra. E quell’odore di una bottiglia di porto dimenticata
aperta.
E chiami Stefano. Nonostante siano le 2 di notte, certo che
capirà.
Ti risponde dopo appena il sesto squillo.
Dice “che c’è?”.
E ti senti subito meglio.
“Niente. Stavo pensando a quella sera che avevi finito il
tabasco e nel bloody mary ci hai messo il peperoncino”
“Eh, già”
Lo senti che si strofina gli occhi. Che ha qualcuno accanto
che fa una faccia strana e prova a riaddormentarsi.
E gli dici che dovete rifarlo.
Gli dici della macchina e delle sigarette spente sul sedile.
Lui ti ricorda che non fumi.
Cominceresti, cazzo se cominceresti.
Dici che sono cambiate un po’ di cose e che ora è il momento
giusto. Uno di quei momenti da ora o mai più. Quelle decisioni che sanno del
primo e dell’ultimo sorso di un orribile liquore all’anice. Sanno di merda ma
ti fanno stare bene dentro. Ripensi alla tua morosa e a Gianni Morandi ma è una
battuta che non ti fa più ridere. Ci sono atre priorità ora. La genialità è una
prerogativa. Ritieni assolutamente necessario un bersaglio per freccette con la
faccia di Battiato che succhia il cazzo a Sgarbi in atteggiamento di piena
remissione dei peccati, quasi religiosa. Estasi, sindrome di Stendhal. Lo
vorresti affrescato dal Caravaggio con quello sguardo ebete che ogni tanto
buttava sulle facce di qualche personaggio non rilevante. Ma che ti ha sempre
stupito. Come la fine di una bottiglia di vino a metà di una conversazione.
A questo punto Stefano si è acceso una sigaretta e siete
ancora al telefono.
E non ti chiede perché lo hai chiamato.
E questo ti fa sembrare ancora tutto possibile.
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