Spesso gli capitava di vedere le cose più strane di quanto in realtà non fossero.Nel cielo le nuvole non erano più semplici filamenti di bianco sparsi nelle varie tonalità di blu ma messaggi, forme e moniti.
Trascorreva le giornate seduto accanto alla finestra con lo sguardo schiacciato e perso che rimbalzava dai tetti rossi al cielo turchese all’asfalto grigio tracciando secche immaginarie rette di congiunzione. Gli occhiali ormai erano diventati troppo deboli per supplire alla miopia arrembante che col trascorrere del tempo si mescolava a quel pizzico di astigmatismo fastidiosamente incorreggibile. Il letto non cigolava più da tempo, tanto tempo ormai. Difficile trovare una data precisa cui ricondurre l’inizio di quel doloroso silenzio. La circostanza però, per ironia della sorte, ancora si ripeteva chiara nella sua mente come i fotogrammi del momento in cui, all’aeroporto di Casablanca, Humphrey Bogart, avvolto nel suo impermeabile, sulle note di As time goes by cantata da Dooley Wilson, affronta con la sigaretta in bocca la fumosa notte sfidando lo sgardo di Ingrid Bergman.Era una serata di fine estate che già stava entrando a pieno titolo nell’autunno. La mattina l’erba del giardino cominciava a risvegliarsi umida e fresca, le rondini si allineavano ordinatamente sui cavi crepitanti dell’elettricità in attesa del via ed i tramonti si smorzavano con colori intensi ed accesi lasciando le nubi delicatamente rosee. I benzinai erano in sciopero da quattro giorni ed in città regnava un insolito fastidioso atavico silenzio. Carlo aveva smesso di fumare e spesso, per calmare gli stati di agitazione, era solito masticare radici di liquirizia ruotandole tra pollice ed indice ben stretta tra gli incisivi. Una mattina, non molto diversa dalle altre che l’avevano preceduta, Patty lo raggiunse in cucina mentre era impegnato nel difficile tentativo di svitare la caffettiera incrostata dal calcare. Ferma sulla soglia della porta, dando le spalle al corridoio, Patty esordì con un semi interrogativo “Carlo...” cui fece seguire un momento di pesante silenzio prima di continuare “...perchè non mi dici niente?”.Carlo, con la luce che filtrando dalla finestra alla sua destra ne disegnava il profilo ingigantito curvo sulla caffettiera alla parete opposta, accennò con un filo di voce che faceva quasi impressione a vederne l’ombra “... e cosa dovrei dirti che già non sai... o non puoi immaginare?”.Come un sasso lanciato nell’acqua dello stagno, il tonfo di quelle parole lasciò un’increspatura che risuonò scemando lentamente tra le pareti, una volta bianche, di quella cucina.“... allora, se questo è tutto quello che hai da dirmi,... io vado” e, dopo qualche istante, “ciao, abbi cura di te. Sei uno in gamba, sono sicura che ce la farai!”. Il tono della sua voce non lasciava trasparire molto dei suoi sentimenti. Le parole di una frase troppo di circostanza si consumarono immediatamente lasciando spazio al monotono ronzio del frigorifero.Patty indossava un paio di pantacollant color carta da zucchero che fasciavano delicatamente le curve dei suoi fianchi e le torniture delle sue cosce ed una canottierina nera da palestra che evidenziava le forme del suo composto seno. Patty aveva quattro anni più di Carlo e la prima cosa che gli aveva detto quando si erano incontrati suonava pressapoco così: “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”. Ma nel momento in cui, quella sera, Patty gli aveva pronunciato quelle parole, Carlo non le aveva prestato molta importanza.Qualche istante dopo, Carlo, senza staccare gli occhi dalla caffettiera, sentì la porta d’ingresso chiudersi, i passi di Patty allontanarsi sino a consumarsi nella tromba delle scale ed avvertì il calore di una lacrima solcargli il viso. Nell’attimo che seguì il rumore della porta richiudersi, gli tornarono alla mente con la stessa monotonia del ritornello della canzone dell’estate le parole che Patty gli pronunciò a casa di Sergio
“... la vita è come un puzzle, i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”, “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”, “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”...
Con la testa vuota e queste parole che gli riecheggiavano insistentemente, estrapolate dal contesto originario in cui vennero pronunciate, la caffettiera cedette alla sua pressione e si svitò. Con la caffettiera aperta, la parte superiore nella sua mano destra e l’altra nella sinistra, anche i suoi pensieri si sbloccarono. Con il corpo immobile, ruotò solo il capo lentamente verso la finestra alla sua destra e, con la luce negli occhi, fissò lo sguardo sul rosso delle tegole del tetto di fronte. Nella sua testa, un pensiero si sintetizzò in forma di dubbio e “forse avrei dovuto chiederle di non andarsene subito!?” fu la domanda che mentalmente si concretizzò. Con lo sguardo fisso sul tetto, lasciò scivolare nel lavello le due metà della caffettiera e, dall’espressione che gli si spalmò sul viso, sembrò attendere una risposta.
Un aereo, in un attimo, disegnò silenziosamente una retta bianca nell’azzurro del cielo.
lunedì 12 febbraio 2007
Carlo
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