anche quel mattino si era svegliato presto. il “click” della ciotola del gatto che ruotava automaticamente alle sette preparando la colazione. la televisione accesa a ripetere le stesse notizie: “picco di ascolti per l’ultima serata del festival, sfiorata tragedia per fuga di gas nel triestino”. i calzini dimenticati ai piedi la notte precedente. una bottiglia di acqua accanto al letto, naufraga nel disordine diffuso. vestiti ammassati in un angolo, scogliere striate di alghe di felpa verde. nel monitor del computer era ancora aperta la casella email. odore precario di niente presto da sostituirsi col caffè.
Francesca ama il verde, ha 23 anni ed ancora non sa che fare della sua vita. i suoi sogni si sovrappongono a ripetute proiezioni di Pretty Woman.
Dante rientrò nel campo visivo accompagnando con la zampa un foglio di alluminio appallottolato. recuperato chissàdove. la cucina era relativamente pulita. i piatti ordinati ed ormai asciutti accanto al secchiaio, il pavimento piastrellato in freddi quadrati bianchi. l’orologio alla parete anonimamente tondo batteva, con un flebile e rassegnato “tic”, i secondi dopo le sette e otto minuti. la caffettiera ancora taceva.
presi quel treno senza controllare la destinazione. dal primo binario alle 19 e 16 parte sempre un eurostar per Milano.
recuperò un libro dimenticato aperto per una ragione che non ricordava. probabilmente introdotto tra dialoghi con Marco poche sere prima e poi dimenticato. avanzato assieme alla mezza bottiglia di chardonnay in frigorifero, presto destinata ad un arrosto. conosceva quelle pagine vissute di angoli ripiegati a tenere il segno. a ricordare qualcosa: impegnative digressioni mediche, frasi a cui sarebbe ricorso in qualche conversazione. adatte ad una specifica situazione, persona. non sottolineava, con la matita che pur apparecchiava la tavola, per non creare aspettative su periodi che a volte, in seconda analisi, non erano poi così brillanti. definitivi.
vivere non è facile quando respirare dev’essere un atto volontario. quando l’aria viene da una mascherina plastica attaccata ad un tubo plastico e trasparente che termina in una bombola più alta e sottile di quella del gas. probabilmente una miscela di ossigeno.
il gorgogliare sui fornelli lo distrasse. il caffè l’aveva sempre bevuto senza zucchero e non fece diversamente quella mattina. il sapore forte lo teneva sveglio, attivo pur senza senza mettergli le ali. il liquido scendendo bruciava piacevolmente la gola lasciando un retrogusto che non poteva che suggerire una sigaretta. la prima della giornata. fumata in mutande, come nei film. e non è importante ciò che pensasse in quel preciso frangente, l’inutile accavallarsi di realtà e fantasia che non riusciva a linearizzare. l’ossessivo domandarsi “come?” e “cosa?”. la punta della Marlboro si illuminò accorciando visibilmente la distanza con la bocca gonfiata di fumo, con la sua fine. respirò. anche quel giorno non riuscì a scrivere niente di sensato.
dalla camera la televisione ripeteva atona: “picco di ascolti per l’ultima serata del festival, sfiorata tragedia per fuga di gas nel triestino”.
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1 commento:
Un suono non puo essere atono, ma monotono si.
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