lunedì 23 maggio 2011

Un compleanno in un giorno di maggio

Maggio è un mese difficile. Dove tutto succede nel momento sbagliato. Un po’ come quando a metà pranzo non si può fare a meno di alzarsi per andare in bagno. E che tutti lo notano. E chissà cosa pensano? Certo, bisogna sceglierseli bene i commensali. Specie a maggio. Quando vorresti proprio invitare quella ragazza che hai conosciuto per caso con una determinazione novecentesca solo che lei non risponde. O meglio magari ha cambiato numero. Ma tu collezioni in rubrica tutti i numeri vecchi. Conservi anche gelosamente quelli di chi esplicitamente ti ha detto “non cercarmi” e speri sempre di sbagliarti quando invii un messaggio. Per avere un argomento di conversazione, riallacciare i contatti. Pomiciare scomodo.
Quel giorno c’era stato il sole ma tutto quello che rimaneva erano i pantaloni sigillati alle gambe ed un paio di calzini da lavare. Troppo poco anche per imbastire una lavatrice. Abbastanza per creare disordine in quella stanza arredata con quel gusto minimale che si sposava con un giardino zen.
C’era l’odore del detersivo per i piatti che si asciugava nel secchiaio che ti dava la consapevolezza di esistere per davvero.
E lei aveva detto che sareste potuti uscire per bere qualcosa.
E tu avevi risposto che sapevi dove portarla.
E aveva quel vestito bianco che per ricordarlo devi rivedere quelle foto di qualche anno fa che cerchi sempre di evitare.
E vi guardavate come se non importasse niente. Come se tutto non fosse così sfasato e incongruente. Come uscito da un racconto scritto troppo di fretta. Insipido.
Vi amavate che sembrava il finale di un film. E giuravi che vi sarebbe bastato, che non c’era bisogno di altro. L’esplosione del mondo in quel momento sarebbe stata una valida opzione.
C’era solo da scegliere il carattere dei titoli di coda.
E la colonna sonora.
Così avevate passato il tempo appoggiati di schiena l’uno all’altra come si fa per leggere nei parchi. Guardandovi attorno. Immaginandovi in questo splendido finale.
Solo che era la fine del primo tempo e non è che quel film fosse poi così interessante. In una notte di maggio avevi provato a chiamarla, volevi farle gli auguri di compleanno.
E lei ti aveva risposto felice di sapere che avevi pensato a lei. Tutto quello che riuscivi a sentire era il sapore del dentifricio che ti si sciacquava nello stomaco. Con quel rumore di mare placido. Ciononostante avevi sorriso mentre aspettavi l’autobus per tornare a casa in quella notte in una latitudine sbagliata.
Poi quel numero è rimasto incastrato come gli altri nella rubrica del tuo telefono ed ora è troppo tardi anche per farle gli auguri, era ieri il suo compleanno.

mercoledì 4 maggio 2011

L'iperico, l'infiorescenza del pioppo e altre storie

Stamattina mi sono svegliato con la sensazione di avere la pelle secca. Poi mi sono guardato nello specchio e ne ho avuto la conferma. Cazzo, ho la pelle che mi si squama.
Dev'essere il cambio di stagione, dopo l'allergia alle graminacee ora comincio a far la muta come i serpenti. Cheppalle, sono arrivato a trent'anni senza un acciacco e ora... Penso che dovrò cominciare a mettermi la crema dopo la doccia come faceva mia zia. Ricordo quando ero piccolo che appena uscita dalla doccia cominciava per mezz'ora a cospargersi il corpo di crema. Lo faceva in bagno ma non chiudeva quasi mai la porta. La accostava un poco, in casa non c'era nessuno tranne mia nonna e io. Io avevo dodici o tredici anni e spesso, quando mia nonna non se ne accorgeva, andavo alla porta e spiavo mia zia massaggiarsi tutto il corpo di crema con una sensualità che mi faceva fare pensieri incestuosi. Mia zia era una bellissima trentenne. Dico "era" perchè è morta. Già, purtroppo è morta. Un paio d'anni fa l'hanno trovata stecchita in bagno a casa sua. Quando l'hanno trovata era già fredda e i capelli erano già asciutti. Dicono che sia morta per colpa della crema. Pare che, finita la doccia, si stesse spalmando la crema sulle gambe quando, il piede d'appoggio unto le è scivolato e lei è andata a sbattere la testa contro la tazza del cesso. Povera zia Tania.
Comunque, penso proprio che dovrò cominciare a spalmarmi la crema dopo la doccia. Almeno su faccia e mani. Certo, ci starò attento, ci puoi giurare. Ma il fatto è che odio sentirmi la faccia unta. E pure le mani.
Stendo la pelle della faccia con le dita e tante piccole crepe si aprono tra una scaglia di pelle bianca e morta e l'altra. Mi guardo più da vicino riflesso nello specchio e mi sembra di vedere la terra arida dell'Arizona. Non ci sono mai stato negli Stati Uniti e non so nemmeno dove cazzo sia l'Arizona ma me l'immagino così. Un pò come la mia pelle. Secca, caldissima, senza un pioppo. Senza anima viva in giro durante le ore più calde. Ma un momento, cos'è quella cosa che si sta avvicinando? Sembra qualcuno a cavallo che alza un gran polverone. Che mi venisse un colpo se quella non è una ragazza vestita da cowboy con la fronte sudata che smonta da cavallo e viene verso di me. Ha due occhi castani bellissimi, i capelli lunghi biondo scuro che le spuntano da un cappellaccio cattivo e vissuto a tese larghe ma non troppo e le scendono sulle spalle. Si muove come al rallentatore e i capelli rimangono a lungo sospesi al vento prima di ricadere. E' sudata come avesse fatto da Partinico a Erice di corsa a mezzogiorno in agosto. Invece no, è arrivata a cavallo. Indossa cortissimi pantaloncini in jeans che lasciano poco all'immaginazione, almeno alla mia. Ha uno sguardo penetrante e il passo sicuro, deciso. Sa dove deve andare. Viene verso di me, quindi è me che vuole. Ad ogni passo si toglie un indumento. Il primo a cadere è un gilè in pelle chiara, il secondo un pesante cinturone con fondina e pistolona a tamburo. Conto velocemente quanti passi ci separano e se non sbaglio, dovrebbe arrivare al massimo con reggiseno e mutande. Forse anche con gli stivali ma non è che mi dispiacerebbe più di tanto. Procede con passo spedito ed ecco che anche la camicia a quadretti con tinte rosso mattone e blu petrolio si adagia a terra. Ora è la volta dei pantaloncini in jeans. Ecco, l'Arizona me l'immagino così.
Novalgina, Cibalgina, Aspirina, Tachipirina, Fluoxetina, Sertralina, Venlafaxina, Duloxetina, Cetirizina, Ebastina. Tutto il mondo in uno scaffale e manco una cazzo di crema. Sono depresso, soffro di allergia per sei mesi all'anno e ora, porcaputtana, anche con la pelle secca.
Richiudo con grande delusione l'anta sbilenca laccata di bianco come le mattonelle alle pereti del cesso. La molla cigola e la mia faccia distrutta dalla sofferenza viene nuovamente riflessa nello specchio maculato da un'infinità di puntini bruni lentigginosi che ccontrastano col colore verde del latte andato a male della faccia. Un'occhiata basta per capire che, da oggi, oltre allo psichiatra e l'allergologo, avrò bisogno anche di un cazzo di dermatologo.
L'unghia del mignolo basta per rimuovere un residuo di basilico della sera prima dagli incisivi ma non trovo niente per impedire che mi si aprano crepe nella faccia. Incredibile. Dalla disperazione prendo due pasticche a caso di quelle che prendevo mesi fa per attenuare il desiderio di morire tipico del risveglio. Mi giuro davanti allo specchio che non ne prenderò mai più e come risposta appare una smorfia di sorriso sul mio viso. Ho perso un sacco di credibilità e negli ultimi anni anche nei miei confronti. Non riesco ormai più a ingannarmi. E' sempre più difficile e spesso finisco col rinunciarci.
Il bianco è un colore che trovo inadatto per un bagno. Il mio bagno ideale sarebbe grigio. O al massimo blu di Prussia ma sicuramente non bianco. Certo, anche la vita non è mai come la vorresti ma almeno le mattonelle del bagno potrò sceglierle? checcazzo... Mi affaccio con una dolce disperazione alla finestra e, mentre mi stacco pezzetti di pelle morta dalle guance lasciandoli cadere dolcemente sul davanzale, butto l'occhio di sotto. C'è una ragazza bruna con un bel seno pronunciato che sta facendo pisciare il suo cagnolino sulla ruota di un'utilitaria grigia. Mi convingo sempre più che le mattonelle del cesso grigie starebbero bene. Molto bene. Poi loro se ne vanno per la loro strada e io guardo il cielo. E' sereno. Mi riempio i polmoni con una boccata d'aria fresca piena di pollini bianchi dei pioppi e starnutisco.