lunedì 21 gennaio 2013

Proprio ora su DMAX danno Top Gear mentre su Real Time Alessandro Borghese ammicca alla tua morosa.


È troppo tardi, come sempre del resto. Troppo tardi per fare una lavatrice, pulire il bagno, sognarsi di cercare un altro lavoro o scrivere un libro. Tutto quello che vedi è quello che è avanzato questa sera. Con i noccioli delle olive che hai sputato nel bicchiere dal fondo di vino rosso perché non avevi voglia di alzarti. Incollato ad un pensiero che hai già sentito e che anche questa volta ti ha fatto sorridere. Quando eri geniale. Ed ogni definizione aveva un senso e sapeva di un-milione-di-dollari. Se solo avessi quantificato. Ma Stefano continuava ad avvelenarti con i Bloody Mary ed in fondo è questa la poesia. Ti sbagliavi. La poesia è il detto che non sai più come ripeterlo. Ma che ti fa da eco in testa. E non importano le ricette di Alessandro Borghese che si sforza di solleticare l’appetito di Gianni Morandi. E chiaramente di scoparsi la tua morosa. E non c'entra niente Gianni Morandi, la tua ragazza e Alessandro Borghese, Anche se la visione di “2 Girls One Cup” ti suggerisce qualcosa. Ma sono suggestioni. Illusioni come tutto quanto. Il ripetersi delle pagine dei libri di Ken Follett ed il tuo riempire le pagine di scarabocchi frustrato dalle tue giornate. E dalle frasi che ti trovi a dire. A volte senza neppure pensarci. Ma renditi conto. Al mattino ti guardi allo specchio considerando le tue occhiaie. Cos’è successo? Non te lo spieghi. Sai solo che Stefano ha cambiato lavoro ed ora vive in Spagna, a stento risponde alle tue mail. A volte ti allega qualche foto che ti fa venire solo voglia di distruggere le tua auto in un viaggio incredibile fatto di chilometri solo per il gusto di farli, di sigarette spente sui sedili senza alcuna remora. E di birre stappate e bevute lanciato a centotrenta in autostrada. In un modello qualunque di auto anni sessanta purché sia americana e sovralimentata. Con una stazione radio che non perde mai la frequenza. E fischietti una canzone di Johnny Cash. Anche se non la conosci. Ma hai bene impresso il suo dito medio tozzo alzato ed una chitarra semiacustica che scompare nell’ombra. E quell’odore di una bottiglia di porto dimenticata aperta.
E chiami Stefano. Nonostante siano le 2 di notte, certo che capirà.
Ti risponde dopo appena il sesto squillo.
Dice “che c’è?”.
E ti senti subito meglio.
“Niente. Stavo pensando a quella sera che avevi finito il tabasco e nel bloody mary ci hai messo il peperoncino”
“Eh, già”
Lo senti che si strofina gli occhi. Che ha qualcuno accanto che fa una faccia strana e prova a riaddormentarsi.
E gli dici che dovete rifarlo.
Gli dici della macchina e delle sigarette spente sul sedile.
Lui ti ricorda che non fumi.
Cominceresti, cazzo se cominceresti.
Dici che sono cambiate un po’ di cose e che ora è il momento giusto. Uno di quei momenti da ora o mai più. Quelle decisioni che sanno del primo e dell’ultimo sorso di un orribile liquore all’anice. Sanno di merda ma ti fanno stare bene dentro. Ripensi alla tua morosa e a Gianni Morandi ma è una battuta che non ti fa più ridere. Ci sono atre priorità ora. La genialità è una prerogativa. Ritieni assolutamente necessario un bersaglio per freccette con la faccia di Battiato che succhia il cazzo a Sgarbi in atteggiamento di piena remissione dei peccati, quasi religiosa. Estasi, sindrome di Stendhal. Lo vorresti affrescato dal Caravaggio con quello sguardo ebete che ogni tanto buttava sulle facce di qualche personaggio non rilevante. Ma che ti ha sempre stupito. Come la fine di una bottiglia di vino a metà di una conversazione.
A questo punto Stefano si è acceso una sigaretta e siete ancora al telefono.
E non ti chiede perché lo hai chiamato.
E questo ti fa sembrare ancora tutto possibile.

martedì 15 gennaio 2013

Shiraz australiano


Non so perché stasera mi sono ritrovato a mangiare delle noci. Così, lontano dai pasti. Solo per allungare un po’ la serata. Perché volevo parlare con un amico che era un po’ lontano ma non avevo voglia di riprendere tutti i discorsi sospesi, quegli spaghetti di riso cinesi che non si riescono a sbrogliare. Volevo ricominciare tutto. Lavare il tavolo con tutta la vodka che abbiamo bevuto ed accendere tutte quelle sigarette che ci siamo sempre rifiutati di fumare dietro alla birra. Ed iniziare dalle prime battute inespresse che non sapevamo dove andavano a finire e che iniziavano ad avere senso quando la barista ci sorrideva valutando il nostro potere d’acquisto e la nostra determinata intenzione di acquistare. Cazzo, mi sarei potuto comprare tutti i vitigni di Shiraz australiani per un altro sorriso. Ma ho dovuto vomitare. Chissà come sarebbe finita sennò quella serata.
Ogni tanto quando ci incontriamo per caso io ed il mio amico ci ricordiamo ancora qualcosa di quel momento e ci fermiamo un attimo e non diciamo niente. Lo so che entrambi ci domandiamo che fine ha fatto quella cameriera e perché è così sopravvalutato lo Shiraz australiano. E non può essere tutta una questione di importazione. Ci dev’essere qualcos’altro, qualcosa che non abbiamo capito quella sera e che ci è sfuggito per sempre ed ha acquisito un senso per sforzarsi in un pensiero sbriciolando noci cercando di inventarsi la prossima pagina della nostra vita.

lunedì 14 gennaio 2013

Emma Bonino non crede in Dio da quando ha dimenticato l’atto di dolore


E ti svegli e la cosa più familiare che vedi è una bottiglia di vino ribaltata. È ora di smetterla di camminare sulle mani con i piedi sulle spalle dei giganti che in realtà sono minuscoli pezzi di un tutto in frantumi. Un gioco all’incollaggio. L’equilibrio precario di un puzzle Ravensburger con una bambina piccola in casa di nome Sofia. Che sa di nuovo e pasta del Fissan. Che sai non ti farebbe dormire la notte. Che per fortuna non è più un problema tuo. Ti costa solo una percentuale dello stipendio e la totalità dei tuoi sentimenti. E ciononostante ciondoli e cammini in equilibrio. E ti sembra che non sia passato niente da quando c’era il tutto delle possibilità che hai esplicitamente rifiutato di cogliere. Perché le cose vanno e non abbiamo più il problema di trovare la carta de telex per scrivere, ma il tempo per limitarci a non farlo. Non abusarne. Sì, parlo di Baricco e della repubblica.it che ci mangia il cervello e ci gode ad inserire foto da cerebroleso al margine delle pagine. Che non possiamo fare altro che cliccarci. E poi scorrere la galleria fotografica. Anche se di Lapo Elkann non ce ne frega un cazzo, Nicole Minetti ha senso solo un una particolare posizione con dei particolari vestici che poi non si discostano troppo dalla realtà.
Ma non divaghiamo, parlavamo della tua bottiglia vuota, della figlia che non hai e del lavoro che stai perdendo. E lo sai che non è colpa della concorrenza, è colpa che il lavoro è brutto. Il capitalismo si è spiaggiato come la balena bianca di Moby Dick che ti rifiuti di leggere. Per partito preso, perché Moby è in qualche modo imparentato con Herman Melville e oggettivamente la musica di Moby è trista come Sara Tommasi che simula un orgasmo. E quindi ti bei nella tua ignoranza lambiccandoti col gioco della bottiglia. Pensando a come si sta bene in Cina, pensando al sapore di una mattina con due gradi in mezzo ad una montagna di neve e fumo puro che esce ad ogni respiro. Una pubblicità della vodka con qualche ribelle che non resiste alla voglia di tirarsi fuori le tette per protestare. E protestando la sodomizzi. E siete tutti felici fuori al freddo: tu, le Pussy Riot ed Emma Bonino.