giovedì 22 febbraio 2007

san valentino

Spesso penso “se vivessi solo probabilmente scriverei di più”, poi un attimo dopo ci ripenso e aggiungo “no, probabilmente berrei solo di più!”.
Stamattina ho schivato d’un pelo il 20 mentre distrattamente attraversavo via Irnerio e, oggi pomeriggio, l’idea di andare a tagliarmi i capelli; per la seconda ho avuto meno successo. In testa mi ritrovo ancor meno capelli del solito e quando incrocio la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi tendo a voltarmi per vedere se rispecchia qualcuno alle mie spalle. Non mi accetto con questo taglio, ma so anche che, fortunatamente, si tratta del fisiologico periodo di adattamente alla mia nuova acconciatura: di solito mi bastano solo tre giorni per dimenticare la mia vecchia fisionomia ed abituarmi alla nuova. Il fatto è che probabilmente questo nuovo look evidenzia le forme del mio naso. Ora, sembra sporgersi ancora più pericolosamente di quanto già non facesse ieri e la fronte scoperta mette in bella mostra, come fanno i reduci con le medaglie e le mostrine, le due cicatrici che la distinguono dalle altre.
Il caffè del bar all’angolo stamattina era disgustoso e per il resto della giornata non sono riuscito a fare altro se non continuare a ripensarci. Per parecchio tempo, ho continuato mentalmente a cercare il motivo di quel terribile gusto. “L’orario era lo stesso di tutti i giorni, circa le otto e quaranta”, mi dicevo. “Il barista era Franco”, che da qualche tempo, a forza di vedermi, appena metto piedo nel bar, mi prepara il caffè senza che gli debba dire nulla. Forse è convinto che questo mi possa far piacere. La settimana scorsa avrei bevuto volentieri una spremuta ma non ho fatto in tempo ad ordinarla. “Lo zucchero era il solito, quello di canna, mezza bustina”. “L’ho mescolato con i soliti quattro ampi giri di cucchiaino”. “Ho atteso il tempo necessario perchè lo zucchero si sciogliesse”, dunque “l’ho bevuto in un unico lungo sorso”. Risultato: stamattina quel caffè faceva schifo.
Ormai è primavera anche se siamo solo al 15 di febbraio. I ciliegi sono in fiore, le rondini sono già tornate e cominciano le manifestazioni nelle piazze. Siamo a pieno titolo in primavera.
Ieri era San Valentino e l’ho festeggiato come si deve. Sono passato a prenderla e fortunatamente c’era ancora. L’ho portata a cena e le ho dato le rose, tre, rosse. Poi, dopo due passi in centro, siamo saliti a casa mia dove abbiamo dato sfogo alle nostre voglie; probabilmente più mie, ma non fa differenza. Lei mi ha chiesto se gentilmente potevo riaccompagnarla. “Tutto sommato te lo sei meritata!”, le ho detto con un mezzo sorriso stampato sulla bocca e, allungandole un foglio da 50€, l’ho riportata sui viali.
Non sono un tipo molto sentimentale, anche se alle volte lo posso sembrare, e soprattutto non sopporto tanto le osservazioni quanto i rifiuti. I rifiuti puzzano.
Le tende che ho comprato la settimana scorsa, gialle di misto lino, da mettere alla porta a vetri che da sul corridoio, non le ho ancora appese. Gli specchi dell’Ikea invece, a fatica, hanno già conquistato il loro pezzo di parete. Li volevo sopra il letto e li ho attaccati di fianco all’armadio. L’armadio è lontano dal letto. Spesso mi succede di volere qualcosa e di finire per farne un’altra. Era dicembre e volevo farmi una scrivania in legno. Sono andato a fare ripetuti sopralluoghi in negozi di arredo per studiarne i vari modelli. Amo il bricolage ed il fai da te, soprattutto quando fuori fa freddo e da quando ho finito il puzzle de "la casa gialla" di Van Gogh. Ho individuato il modello che credevo facesse al caso mio, mi sono fatto uno schizzo e sono andato a prendere il legno di abete, qualche squadretta e viti a volontà al Briko Center. Con quel carico di legno nel baule del mio Doblò rosso, sono tornato a casa soddisfatto come Wellington dopo Waterloo o come lo sarebbe stato l'ammiraglio Nelson dopo Trafalgar, se solo ne avesse avuto il tempo. Napoleone invece, mi è sempre stato un pò sulle palle!
Lungo la strada del ritorno ho visto, in un bel giardino, una fantastica cuccia per cani in legno. Il tetto spiovente con scaglie di arenaria sopra, i decori all’ingresso, i paraspigoli e tutto il resto. Una volta arrivato a casa ho scaricato la ex foresta dal baule ed in una settimana ho costruito una bellissima cuccia. Non avevo il cane, così ho dovuto prenderne uno. Chiaramente ho anche dovuto comprarmi la scrivania.
Oggi volevo scrivere un bel pezzo, ero ispirato e mi sembrava di essere sulla buona strada, poi alla fine, mi sono perso, ho ceduto alla tentazione di divagare ed ancora una volta quello che volevo fare non è stato quello che ho fatto.

lunedì 19 febbraio 2007

il tartaruga

tartaruga è un collega. il mio lavoro fa schifo ed il suo esserci mi motiva ogni giorno. prima che venisse assunto passavo il tempo, tra un compito stupido ed uno idiota, giocando con i videogiochi acclusi nel cellulare nei quali avevo iniziato ad eccellere. franchino, peccando di caparbietà, aveva scommesso e perduto euro dieci sfidandomi al bowling. poi, arrivò tartaruga. un sorriso mi si stagliò quando lo vidi varcare la soglia del dipartimento di assistenza tecnica, una sana risata quando cercò di sistemare il suo corpo spropositato sulla claudicante sedia del tavolo 4C. 4C è il codice impresso sul computer, da qui il nome del tavolo prima di diventare quello di tartaruga.
giacomo, secondo il contratto, avrebbe un ruolo di supporto al lavoro del sottoscritto e di maria ma in realtà è più il mio passatempo. maria è sempre troppo impegnata a leggere cosmopolitan e a lamentarsi delle telefonate ricevute dai clienti. maria una volta mi ha fatto un bocchino della madonna.
tartaruga invece obbedisce e, abbassando la piccola e precocemente calva testa, controlla una documentazione noiosissima destinata ai tecnici. è efficiente ed, entro i rigorosi limiti del suo scarso quoziente intellettivo, un genio. io intervallo il mio lavoro a momenti di scherno che lui prende come dimostrazioni di amicizia. gli tiro fogli appallottolati, mi complimento per una inesistente rinascita dei bulbi piliferi ed indotti capelli e gli dò sempre un sacco di lavoro da fare. a volte mi pulisce l'auto. un giorno gli ho messo anche un paio di puntine da ingegniere sulla sedia e lui è schizzato in piedi. regolarmente gli sputo nel caffè ed ho accumulato un debito di centossessantatrè euro che non restituirò. a volte mi sento in colpa, almeno due volte al giorno credo potrei morire di fame. come poco fa quando ho mandato il tartaruga da pino a comprarmi una caprese con aggiunta di rucola. ora gli devo centossessantasei euro e cinquanta cents.

mercoledì 14 febbraio 2007

fiat seicento gialla come nuova

non ho mai viaggiato molto. ho paura di volare, di navigare e di guidare. ho una fiat seicento gialla come nuova, causa inutilizzo. mi caratterizza però una grandissima passione per le cucine etniche. frequento infatti spesso, assieme a sabrina, ristoranti delle più varie derivazioni. abbiamo molti amici in comune che alle volte ci accompagnano. altri lavorano in banca e pochi insegnano. tra gli insegnanti c'è ernesto, registrato all'anagrafe come gerardo e ribattezzato in un tempo immemorabile dai sigari che gli albergano perennemente la bocca. ernesto non condivide la mia passione: lui ama viaggiare e le donne basse. stefania non è più alta di un metro e cinquantacinque ed ogni volta che la vedo mi torna alla mente "papaveri e papere" e mi riprometto di farla conoscere ad ernesto.

"sarebbero proprio una bella coppia" suggerisce sabrina dietro un moussaka ancora fumante.
"già" asserisco, convinto del contrario.

stefania va ogni estate in vacanza a milano marittima ed una volta è stata a lisbona in gita scolastica. probabilmente comprerà la mia macchina. in fondo le faccio un ottimo prezzo.

lunedì 12 febbraio 2007

Carlo

Spesso gli capitava di vedere le cose più strane di quanto in realtà non fossero.Nel cielo le nuvole non erano più semplici filamenti di bianco sparsi nelle varie tonalità di blu ma messaggi, forme e moniti.
Trascorreva le giornate seduto accanto alla finestra con lo sguardo schiacciato e perso che rimbalzava dai tetti rossi al cielo turchese all’asfalto grigio tracciando secche immaginarie rette di congiunzione. Gli occhiali ormai erano diventati troppo deboli per supplire alla miopia arrembante che col trascorrere del tempo si mescolava a quel pizzico di astigmatismo fastidiosamente incorreggibile. Il letto non cigolava più da tempo, tanto tempo ormai. Difficile trovare una data precisa cui ricondurre l’inizio di quel doloroso silenzio. La circostanza però, per ironia della sorte, ancora si ripeteva chiara nella sua mente come i fotogrammi del momento in cui, all’aeroporto di Casablanca, Humphrey Bogart, avvolto nel suo impermeabile, sulle note di As time goes by cantata da Dooley Wilson, affronta con la sigaretta in bocca la fumosa notte sfidando lo sgardo di Ingrid Bergman.Era una serata di fine estate che già stava entrando a pieno titolo nell’autunno. La mattina l’erba del giardino cominciava a risvegliarsi umida e fresca, le rondini si allineavano ordinatamente sui cavi crepitanti dell’elettricità in attesa del via ed i tramonti si smorzavano con colori intensi ed accesi lasciando le nubi delicatamente rosee. I benzinai erano in sciopero da quattro giorni ed in città regnava un insolito fastidioso atavico silenzio. Carlo aveva smesso di fumare e spesso, per calmare gli stati di agitazione, era solito masticare radici di liquirizia ruotandole tra pollice ed indice ben stretta tra gli incisivi. Una mattina, non molto diversa dalle altre che l’avevano preceduta, Patty lo raggiunse in cucina mentre era impegnato nel difficile tentativo di svitare la caffettiera incrostata dal calcare. Ferma sulla soglia della porta, dando le spalle al corridoio, Patty esordì con un semi interrogativo “Carlo...” cui fece seguire un momento di pesante silenzio prima di continuare “...perchè non mi dici niente?”.Carlo, con la luce che filtrando dalla finestra alla sua destra ne disegnava il profilo ingigantito curvo sulla caffettiera alla parete opposta, accennò con un filo di voce che faceva quasi impressione a vederne l’ombra “... e cosa dovrei dirti che già non sai... o non puoi immaginare?”.Come un sasso lanciato nell’acqua dello stagno, il tonfo di quelle parole lasciò un’increspatura che risuonò scemando lentamente tra le pareti, una volta bianche, di quella cucina.“... allora, se questo è tutto quello che hai da dirmi,... io vado” e, dopo qualche istante, “ciao, abbi cura di te. Sei uno in gamba, sono sicura che ce la farai!”. Il tono della sua voce non lasciava trasparire molto dei suoi sentimenti. Le parole di una frase troppo di circostanza si consumarono immediatamente lasciando spazio al monotono ronzio del frigorifero.Patty indossava un paio di pantacollant color carta da zucchero che fasciavano delicatamente le curve dei suoi fianchi e le torniture delle sue cosce ed una canottierina nera da palestra che evidenziava le forme del suo composto seno. Patty aveva quattro anni più di Carlo e la prima cosa che gli aveva detto quando si erano incontrati suonava pressapoco così: “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”. Ma nel momento in cui, quella sera, Patty gli aveva pronunciato quelle parole, Carlo non le aveva prestato molta importanza.Qualche istante dopo, Carlo, senza staccare gli occhi dalla caffettiera, sentì la porta d’ingresso chiudersi, i passi di Patty allontanarsi sino a consumarsi nella tromba delle scale ed avvertì il calore di una lacrima solcargli il viso. Nell’attimo che seguì il rumore della porta richiudersi, gli tornarono alla mente con la stessa monotonia del ritornello della canzone dell’estate le parole che Patty gli pronunciò a casa di Sergio
“... la vita è come un puzzle, i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”, “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”, “... la vita è come un puzzle; i tasselli prima o poi trovano il loro posto. Per sopravvivere noi possiamo metterci solo pazienza e coraggio ma..., il resto lo fanno il momento e la fortuna!”...
Con la testa vuota e queste parole che gli riecheggiavano insistentemente, estrapolate dal contesto originario in cui vennero pronunciate, la caffettiera cedette alla sua pressione e si svitò. Con la caffettiera aperta, la parte superiore nella sua mano destra e l’altra nella sinistra, anche i suoi pensieri si sbloccarono. Con il corpo immobile, ruotò solo il capo lentamente verso la finestra alla sua destra e, con la luce negli occhi, fissò lo sguardo sul rosso delle tegole del tetto di fronte. Nella sua testa, un pensiero si sintetizzò in forma di dubbio e “forse avrei dovuto chiederle di non andarsene subito!?” fu la domanda che mentalmente si concretizzò. Con lo sguardo fisso sul tetto, lasciò scivolare nel lavello le due metà della caffettiera e, dall’espressione che gli si spalmò sul viso, sembrò attendere una risposta.
Un aereo, in un attimo, disegnò silenziosamente una retta bianca nell’azzurro del cielo.

lunedì 5 febbraio 2007

tentato da un fagoloso al rosmarino

ordine e perfezione non sono mai stati sullo stesso piano. uno al terzo ed uno al quinto. al quarto ci abita una delle mie due nonne. al secondo ci ho vissuto per qualche anno. ora vivo all'ultimo che credo essere il terzo. non ci ho mai fatto caso data l'assenza condominiale di qualsiasi mezzo di trasporto verticale altro dalle scale. agli amici dico di suonare al citofono con scritto "citofono di casa mia" e salire all'ultimo piano. nessuno si è mai confuso. considero i miei amici particolarmente intelligenti. forse ho semplicemente troppo pochi amici da assurgere a campione attendibile. io aspetto franco che tarda, al solito. è vero poi che non ci siamo dati un'orario ma un fine. ho detto "per pranzo" e lui ha confermato "per pranzo". conosco franco da un po'. filippo da di più. oggi però filippo non viene. lui lavora.

ho un divano ed una televisione, un paio di libri da iniziare ed uno iniziato. ho fame ma aspetto trattenendomi da un grissino fagoloso al rosmarino. non mi voglio rovinare l'appetito e nemmeno imbriciolare il divano sul quale siedo fingendomi annoiato da un libro, effettivamente noioso, che però scorro con intimo disinteresse ma fruendone della compagnia. mi immmagino sempre da fuori mentre leggo. mi figuro come potrei apparire ad un potenziale osservatore. vorrei sembrare intelligente nello scorrere parole che a volte non capisco. escatologico ad esempio. dio mi fulmini se faccio un passo verso il dizionario. non mi muovo e passo impassibile alla parola successiva. che poi non si abbisogna di un vocabolario estremamente vasto per inserire parole difficili nei propri testi. io l'ho appena fatto e senza nemmeno conoscere il significato della parola redarguire.

finalmente franco arriva. si scusa per il ritardo. non sono per niente sorpreso.

venerdì 2 febbraio 2007

avanzi

faccio sempre porzioni abbondanti a tavola ma, a differenza di mia nonna, non lo faccio per strafogarmi passando loquaci ore a tavola. le mie cene durano dai tredici ai diciassette minuti ripartiti da qualche pausa pubblicitaria, più o meno interessante, e supportati da una inconsistente programmazione.

"una volta c'era sarabanda"
"già"

(c'erano pure gli exogini e i pavesi frollis, ma prima ancora)

ho comprato un lettore dvd ma lo tengo in camera e ceno in cucina. veloce, come già detto, per rifugiarmi nei 21 pollici di immaginazione svenduta da chin. il cinese che passa ogni mattina al bar rosa. proprio mentre bevo il mio primo espresso.

"un ottimo espresso"
"ottimo veramente"

ma io non mi intendo di caffè e vado da giancarlo solo perché è vicino all'ufficio.
è stata quindi una coincidenza incidentale l'incontro tra me e chin ed il mio amore, indotto dalla situazione, per i film americani solo nei migliori cinema.

"cinema di una certa caratura"

mia nonna non ha un lettore dvd e va al cinema solo la sera di natale. e dorme.
per un insalubre attaccamento al denaro che mi caratterizza non sono mai riuscito ad addormentarmi durante una proiezione. sbadiglio, ma con gli occhi ben spalancati. ovvio al problema con la mia fornita collezione di dvd.

"masterizzati"
"già"

ho il frigorifero pieno di avanzi. mi piace avere sempre qualcosa pronto da mangiare. per questo cucino piatti abbondanti. adoro gli avanzi di pizza. purtroppo non la so cucinare. la ordino per telefono.