mercoledì 31 marzo 2010

La Radiosveglia

Non è un racconto. Anzi: sto cucinando. Questo nel mondo reale, quello di una attualità troppo schiacciante ed interessante da sintetizzare in poche righe. Troppo evidente per declinarlo in aggettivi tutto sommati insipidi. Come la pasta che si scalda sul fuoco. Nell’acqua che bolle. Una scena da film. Ci vorrebbe solo una sigaretta accesa che si consuma dimenticata in un posacenere ricercatamente sponsorizzante qualche marca di tonno non più in commercio.
E certo anche un buon odore di vino d’annata non guasterebbe.
Sono abbastanza sicuro che Sabrina non tornerà nemmeno stasera. Ciononostante cucino per due.
C’è da dire che cucino molto bene anche se ultimamente non ho molti ospiti. La responsabilità è tale che non ho un attimo di vita libera per organizzarmi oltre gli aperitivi con i colleghi in cui parliamo di lavoro e della segretaria. Tanto per sentirci uomini. Ogni tanto mi interesso anche al calcio ma se ho ancora qualche difficoltà ad inserire il trofeo Moretti in un discorso prettamente agonistico. Competitivo. Anche per questo continuo a bere birra di importazione. Per quel che importa.
Se a qualcuno importa.
L’importante sarebbe che l’ultima settimana fosse stato un brutto sogno che implode con la radiosveglia del mattino. Ma è come se il tempo finalmente avesse ascoltato le mie preghiere di dilatazione che ripetevo il giorno prima di un esame. È come se domani mattina non mi dovessi svegliare sperando di avere ancora qualche camicia non troppo sporca e non troppo incartapecorita da offuscare la mia proiezione di successo mentre passeggio con gli occhiali da sole di ordinanza fino al mio ufficio.
Per chi se lo chiedesse faccio il consulente assicurativo.
Per chi se lo chiedesse sono iscritto regolarmente nel RUI.
Per chi se lo chiedesse le mie provvigioni sono ragionevolmente alte e frequenti e la mia auto è deducibile all’85%.
Per chi se lo chiedesse questa è la stessa giacca che portavo lunedì e che probabilmente porterò anche venerdì.
Il sabato mattina lavoro. È anche per questo che Sabrina se n’è andata. Perché un venerdì sera le ho detto che non avevo nessunissima voglia di uscire.
A chi interessasse quella sera lei è uscita lo stesso ed è tornata ragionevolmente presto al mattino. 2 ore prima che la mia radiosveglia si allertasse.
A chi interessasse quella sera Sabrina ha conosciuto qualcuno che l’ascoltava veramente. Qualcuno di più economico del suo psicologo. Probabilmente accettava probabilmente anche pagamenti in natura.
Questo a me non lo disse mai. E non lo volli sapere.
E con tutto questo non voglio dire che Sabrina valesse poco a letto.
Anche per questo ho provato a restituire il materasso sfondato all’Ikea e sarebbe andato tutto bene se non ci fossero state tutte quelle bruciature di sigarette.
La sostanza è che anche stasera mi trovo a cucinare con questa giacca addosso sperando che succeda qualcosa.
Almeno fino a che la mia radiosveglia non suona.

venerdì 19 marzo 2010

Maria la tettona

Stanotte sono rientrato tardi. A notte fonda. Sbronzo quanto basta dopo un aperitivo lungo di quelli che ti fanno dimenticare alcune condizioni necessarie ma non sufficienti per tenere uno stile di vita sano od un discorso in pubblico. Ho lottato valorosamente con la forza centrifuga del mio cervello e sono sceso a patti con il mio stomaco: ora tu tieni tutto dentro e mi lasci addormentare, io domattina ti rimpinzo con una bella colazione ricca di fibre. Ho cercato di leggere qualche pagina de "I segreti erotici dei grandi chef". Mi sono stupito del fatto che leggevo le parole senza assimilarne alcun significato e che a Edimburgo ci fosse, non solo il mare, ma anche un porto. Io ci sono andato in aereo e credevo fosse in collina. D'ora in avanti dirò che sono stato al mare ad Edimburgo. Poi penso di essere svenuto per un pò.
Stamane ho fatto tutto di soppiatto: ho spento subito la sveglia dopo il primo trillo, non ho chiuso la porta del bagno per non far rumore, ho pisciato da seduto ed ho persino evitato di mettermi le scarpe in casa. Ho resistito alla tentazione di manifestare al mondo intero il mio malessere fisico e la mia sofferenza interiore per mezzo di una bestemmia originale ed ho lasciato le tapparelle abbassate. Ho abbeverato i cactus silenziosamente.
Bè, si sono rivelate tutte precauzioni inutili: Maurì, mi ha atteso al varco. E' stata una scena molto cinematografica che provo a riproporre. In pigiama rosso cardinale con caravelle color marrone fumo pakistano sparse su tutto il petto, con gli occhi cisposi traboccanti sonno e scarmigliato quanto basta dopo otto/nove ore di sonno, con le braccia conserte e appoggiato con una spalla allo stipite di camera sua, mi biascica in un accento misto calbro-siculo naturalizzato milanese:
ti sei ricordato delle due spugnette?
L'ho guardato senza vederlo ed ho smorzato in gola un rutto acido che sapeva ancora di birra. Già, Tennent's Super. Ero indeciso se rispondere o meno oppure chiudergli la testa in mezzo alla porta fino a vederlo render l'anima, dunque pisciargli addosso. Ho chiesto l'aiuto del pubblico ed ho fatto l'esatto contrario di quello che mi ha suggerito. Non ho risposto e non gli ho nemmeno fracassato la testa ma solo perchè non sarei riuscito a pisciargli sopra avendo svuotato la vescica poco prima. Mi sono limitato a roteare gli occhi in senso orario riempiendomi i polmoni di mezzo metro cubo d'aria marcia. Dunque sono uscito di casa con le scarpe in mano e col peso della vita sulle spalle.
Ho fatto le quattro rampe di scale con la carta da parati verde acido alle pareti ed ho respinto un primo conato di vomito mentre salutavo la donna delle pulizie, poi ho ritenuto opportuno infilarmi le scarpe e l'ho immediatamente fatto. Ho perso il bus per una manciata di effimeri secondi e non ho nemmeno avuto la froza di inveire contro l'autista, il governo e lo Zio Sam. Con gli occhi rivolti al cielo ho apprezzato il pallido sole che mi salutava con un sorriso sornione e mi sono rassegnato ad andare a piedi sino alla stazione della metro cercando qualcosa di positivo cui pensare. Non ci sono ruscito e come da mesi mi succede ho ripensato sempre alla stessa cosa. No, non a Clara, ormai mi sono rassegnato. Sono mesi, forse anni che cerco di scrivere il libro della mia vita. Tutto è pronto nella mia testa per essere tirato fuori. Ma, al momento niente da fare... non mi resta che aspettare, mi dico cercando di convincermi che prima o poi dovrà succedere.
Nel frattempo, giro come una trottola, conosco gente nuova che di nuovo ha solo il nome, scatto foto brutte che poi cancello o dimentico di aver scattato, bevo birra, leggo qualunque cosa mi capiti a tiro e arrivo sempre più tardi al lavoro. Poi c'è sempre quella vecchia storia su Maria la tettona ma, se ne avrò voglia, ve lo racconterò un'altra volta.

martedì 2 marzo 2010

Cielo

Non capita spesso di guardare in alto. Di solito succede quando si sta sdraiati o appena saliti su una macchina decappottabile. Raramente succede passeggiando. Mai per il centro. Il cielo è una cosa scontata quasi quanto le strade che portano da una località ad un’altra. Il cielo è funzionale a parlare di tramonti e di albe, di sole e di luna. Qualche volta delle nuvole. Cielo è una delle parole che sbagliavo sempre a scrivere a scuola. Il cielo per me è sempre stato corretto a penna rossa e sottolineato due volte. È diventata una parola su cui inevitabilmente mi soffermo. Prescindendo magari dal significato. Cielo spesso identifica Dio od il paradiso.
Oggi stavo passeggiando ponendomi qualche assurda domanda che c’entrava con le otto ore che avevo passato seduto dietro alla scrivania bianca e computer nero che definiscono la mia postazione di lavoro. Guardavo avanti cercando di identificare qualche persona che avrei avuto piacere di incontrare. C’era questa inattesa aria primaverile che sa di birra in lattina bevuta seduti su qualche gradino di una piazza. I miei passi erano semplicemente un modo per prolungare il limbo tra il lavoro e la vita domestica. E non importava che le scarpe mi facessero un po’ male dietro il tallone destro, andavo avanti. Non c’era chiaramente nessuno che conoscessi ma ogni faccia che incrociavo sembrava famigliare e quasi piacevole. C’era una ragazza bionda che inequivocabilmente me ne ricordava un’altra, un ragazzo allampanato che dovevo aver già visto se non qui in qualche viaggio. C’era pure uno che avrei potuto essere io. Anni fa certo. Quando avevo ancora una giacca di pelle. Forse era il brano casuale che suonava dalle cuffie ma tutto sembrava galleggiante. E non importava più nemmeno quella domanda che ostinatamente ripetevo a labbra sottili da quando avevo timbrato il cartellino col mio numero di matricola 761. Sembrava bastasse quello. Mi sorpresi a guardare in alto. Un frangente. Subito sopra ad un lampione lucido con stile retrò c’era un cielo che sceglieva i vestiti per la serata con l’indecisione di una ragazza di diciassette anni. Ed io mi sentivo semplicemente trascinato avanti come si fa quando il cane marchia un territorio che non è suo ma della ruota anteriore della vostra Volkswagen. E come tale ero un po’ indeciso tra l’essere o il diventare. Avrei potuto fare qualsiasi cosa in quel momento. E così sono tornato a casa dopo essermi inciampato su un cartello di cartone che comunicava l’assenza di: lavoro, famiglia, cibo e soldi del proprietario che sedeva poco lontano con una cappello sformato basso sugli occhi.