martedì 21 ottobre 2014

...e a culo tutto il resto

È successo tutto quando hai smesso di considerare il lavoro un semplice mezzo per sopravvivere. Quando hai chiuso con le ripetizioni e le frasi criptiche. Quando hai puntato tutto sull’immagine disprezzando il libero arbitrio degli altri sensi. Hai comprato una confezione grande di profumo pubblicizzata con foto in un bianco e nero evocativo e hai iniziato a camminare più veloce. Crogiolandoti nell’urgenza. Leggendo solo le recensioni dei libri, citando i ricordi degli altri. Recuperando citazioni da pranzi di lavoro.
E non sorridi.
Vorresti ammazzarti col vino stasera ma pensi che domani devi svegliarti presto.
Controlli la mail direttamente dal telefono.
Fai i risciacqui con il Listerine.
Ti sorridi tangenziale allo specchio.
E non ti manca niente.
Manchi solo a me.
Alle serate improvvisate con troppi pochi soldi per ubriacarsi per bene. Con la convinzione che i jeans si pulissero da soli. Usando l’acqua di cottura al posto dell’olio per il soffritto che finiva sempre nei momenti sbagliati. Collezionando le prime pagine del Manifesto con l’idea di farci qualcosa di grande. E le porte di casa tua tappezzate delle cartoline più improbabili. C’era pure quella di Bologna che avevi comprato nell’edicola sotto le due torri. Su cui avevamo scritto una dedica appoggiati alle panchine di Piazza Ravegnana.

C’era scritto: “…e a culo tutto il resto”

domenica 5 ottobre 2014

España

Hai detto a tutti che andavi a Barcellona. Sinceramente ti sei vantato inserendo l’argomento appena c’era uno spazio nella discussione. Tutti dimostravano quell’invidia di circostanza tipica degli sconosciuti. Quei commenti fatti sull’onda di un entusiasmo sociale. E mani appoggiate sulle spalle quando ci si stringe la mano.

Eccoti quindi ad aggiornare la tua pagina di Facebook, con fotografie che sembrano rubate da momenti intensi ma che in realtà hai scelto con criterio. La foto di una birra in quel pub che sembra uscito da un film di Terry Gilliam, una fermata della metropolitana, la funicolare per il Montjuïc, una cena ad un ristorante giapponese dove si mangia al bancone. E sorridi oroglioso dei tuoi risultati mandando giù un’altra bottiglia di quella scatola da 15 San Miguel che hai fatto arrampicare fino a camera tua. Ti guardi allo specchio confrontandoti col protagonista del film che passano su Telecinco. Rimani atterrito dalla stiratura approssimativa della tua camicia in confronto alla sua. E ti guardi di profilo per considerare i benefici di un abbonamento esclusivo ad una palestra che frequenti con l’ostinazione di chi ha un frigorifero vuoto di vita e pieno di vizi con una impellente data di scadenza. E provi a sorridere ma è plastica con l’odore del wasabi che non sei ancora riuscito a lavarti via. E ti inventi qualche storia che racconterai al tuo ritorno, qualche particolare che non era così ma che in qualche modo renderai interessante. E tutte le canzoni che hai ascoltato tra un incontro e un altro per sentirti meno inadatto. È la vita che tutti vogliamo. E poi in Spagna la birra costa veramente poco.

mercoledì 1 ottobre 2014

Leicester Square e Listerine

Leicester Square non si pronuncia come immagini. O per lo meno non come me lo immaginavo io. Guardavo l’indicazione al titolo della piazza, facevo lo spelling in quell’aria satura di odore di fast food, schiamazzi e facce a cui non sarei mai riuscito a rivolgere una parola. E proprio non capivo. Masticavo le consonanti in bocca ma proprio non riuscivo a mandarle giù. Quel posto non era come me lo avevano raccontato e assolutamente non suonava uguale. Londra sa essere un paio di scarpe in piombo nel cuore della notte. Quando cerchi il calore in una coperta troppo corta. E nei ricordi di un mondo che appartiene ormai solo ai film in replica a Natale e a quei maglioni cuciti a mano da tua nonna. Che ti pizzicavano le braccia nude.

Ed è in una di queste giornate fredde cemento che non volevo tornare a casa. Ma evaporare è difficile d’inverno e quindi mi ero attaccato alle certezze che avevo rileggendo i soliti libri con un tono troppo basso e riflessivo. Omettendo le bestemmie come se fossero semplici refusi e non un grido di aiuto. Tondelli avrebbe avuto compassione di me. Ed io non ne avrei avuta di lui con il mio sarcasmo sigillato in porzioni monodose. Come fossero tante intercambiabili merendine del Mulino Bianco. E ora non psiconalizziamoci che mica voglio fatturarvi il prezzo di favore di €75 / ora per appoggiarvi con i cazzi vostri su una poltrona Ikea foderata in pelle per darle un senso compiuto. Non ho la partita iva e nemmeno quei dispenser da fazzoletti a doppio velo appoggiati giusto alla vostra sinistra su un tavolino di vetro. Ci ho messo un po’ di raffreddori a capire che quei fazzoletti sono per le lacrime, per questo costano poco. E si sfilacciano lasciando segni della nostra disperazione sparpagliati come i vestiti lasciati in giro da ubriachi e che ci rifiutiamo di raccogliere per almeno un paio di giorni. Che tanto non c’è nessuno che viene qua a spiegarci che il disordine casa nostra non è nemmeno la metà di quello che abbiamo in testa. Disordine che ci ostiniamo a sbrogliare ammazzandoci i neuroni nell’inseguire una generazione sacrificata per poche pagine di gloria. Probabilmente sintetizzate in qualche blog. Tipo questo, pieno di parole masticate, denti lavati e risciacqui con il Listerine.