mercoledì 25 aprile 2007

espirare

23.56 Via del Pratello, Bologna. Una moneta da cinquanta centesimi tintinna lungo il condotto del distributore automatico. Si perde nel suo esofago rimbalzando ferro. Marco rimedia una scatola di Camel Light e ne accende una infilando veloce pacchetto ed accendino in tasca. La sua figura passa veloce sotto le luci gialle che quasi non lo vedono. Il rapido attraversamento sonnolento di una galleria illuminata considerando dettagli insignificanti. Ripetitivi. Persone, facce, ragazzi e ragazze e nuovi modi di dire. Vociare concentrico, brindisi. Scalpiccio confuso di gruppi che, nel loro avanti ed indietro, confondono fini e mezzi arrivando, poi, a domandarsi: “ma dov’è che dovevamo andare?”. Storie d’amore, cene tra amici, pizza da asporto. I portoni di legno pesante si alternano radi e veloci come le grandinate estive. Marco Alberti si sofferma davanti ad una porta. Cerca un significato, una ragione per premere il campanello sotto una targhetta scolorita. Suonare la marcia funebre del suo ritorno, dare un senso al tutto con la domanda: “c’è Stefania?”. Il quadrante del suo orologio lo guarda mentre chiude gli occhi e si riempie la bocca di fumo a spingerne fuori i pensieri. Sputati dagli occhi sottili ed appuntiti nell’osservare i dettagli cancellati dall’avvicendarsi giorno/notte. Quasi riesce a vederne confuse sovrapposizioni di impronte digitali circolari stampate con più o meno forza. Per una qualche ragione. Probabilmente ci sono anche le sue esili dita slanciate a ripetere nervose un ritmo irregolare e troncato, sollecitando qualcuno ad aprire per recuperare le chiavi. Magari lasciate proprio sul mobiletto nero accanto al divano. Certo, se esiste ancora un mobiletto nero accanto al divano. Supposizioni e ricordi. Una treccia di passato e presente avvinghiati lungo il filo arancione del caso. Il tempo. La mano destra premuta nella tasca dei jeans rigira nel palmo il cellulare.
Non sei più a Milano, sei a casa adesso.
Una nostalgia forte accompagna il lento allontanarsi della mano sinistra dal fuoco dell’attenzione. Inspira il fumo grigio lasciandone uscire un filo più bianco dalla bocca ad accarezzargli le narici.
Potresti essere con Mara.
Espira.
Avresti potuto noleggiare un film e gustare sofisticati abbinamenti vino formaggio salumi e carne. Un mezzo bicchiere di Courvoisier.

mercoledì 18 aprile 2007

Chi ha notizie di Carlo...

"Chi ha notizie di Carlo è pregato di comunicarcelo al più presto! Grazie per la collaborazione" per qualche mese, messaggi come questo hanno tappezzato i pali verdi della luce, i muri scrostati della città ed il bancone dei locali che era solito frequentare.

Fosforo e teste fluttuanti intrecciano nelle strade traiettorie impossibili da seguire. Mendicanti si accasciano agli angoli delle vie come piccioni unti e malati, febbricitanti e tremanti. L’indifferenza come la prima neve di dicembre copre con un velo la città.

"Auguri"
"Pronto... chi parla?"
"Tanti auguri!"
"Ah, grazie..."
"Mille di questi giorni"
"Ma... scusa, chi parla? Non riesco a riconoscerti..."
"... già... è quello che mi sono detto per la prima volta tre anni fa..."
Tuuuuu Tuuuu
"Pronto... pronto"
Nessuno risponde. Ha riagganciato.

Alle spalle ho una laurea in geologia marina, quattro lavori diversi ma ugualmente inutili ed una relazione seria finita male proprio quando credevo di iniziare una nuova vita. Sulle spalle ho poco più di un quarto di secolo che pesa e puzza come una balla di fieno umida.
Ora cammino serenamente a testa alta per Milano, calpesto grate traballanti ed insicure che mi separano di metri dal baratro con la naturalezza di un parto felino e non mi riconosco nell'immagine che le vetrine dei negozi riflettono. Da ieri ho anche una denuncia per violenza nei confronti di una ragazza. Le ho mollato uno schiaffo, succede. Dopo tutto era stata proprio lei a confidarmi che il suo ex la picchiava e che aveva sopportato per anni i suoi soprusi perchè lo amava. Poi arrivo io ed ingenuamente le credo quando mi sussurra un dolce “ti amo”. D’istinto le mollo un ceffone e questa mi denuncia subito. Al giorno d'oggi serve più coerenza.

"Pronto"
"Come va?"
"Pronto... chi parla?"
"Tutto bene?"
"Scusa, ma chi sta parlando?"
"Hai visto che sole oggi?"
"Non capisco... penso che tu abbia sbagliato numero..."
"Non riagganc..."
Tuuuu Tuuuu.
Troppo tardi, come sempre.

Hanno tolto le impalcature dalla facciata del mio palazzo. Finalmente riesco a vedere, oltre alla facciata prima di entrare, anche il piazzale al quale si affaccia la mia finestra. Al mattino entrano i primi raggi del sole ed alla sera assisto silenziosamente al lento calare delle tenebre. Solo quando c'è buio accendo la luce. Quando gli occhi si sforzano per vedere quello che mi sta intorno, allora, accendo la luce. Immediatamente avverto una sorta di dolore localizzabile alle pupille, due o tre secondi, poi passa e la stanza assume quelle tonalità artificiali di un finto tramonto caldo primaverile.

“Pronto”
“Hai sentito che botto?”
“Pronto? Come dici?”
“Stavolta è stata grande”
“Scusa chi parla?”
“Dico che mi hanno tremato persino i vetri di casa”
“Ma cosa stai dicendo? Ma con chi vuoi parlare?”
“Volevo condividere con te ques...”
Tuuuu Tuuuu
Andata. Del resto, è sempre stata così.

Fari tracciano rette rosse e bianche per quasi tutta la notte. Meteore incendiate sfrecciano veloci sotto casa mia. Il semaforo alle 24.30 comincia a lampeggiare. Sirene di ambulanze e polizia rompono quegli sporadici momenti di silenzio affermandosi prepotentemente. Gomme si consumano sull'asfalto disegnando scure semirette che spesso si accompagnano con secchi tonfi.

“Pronto”
“Va un pò meglio oggi?”
“Pronto... non ho capito... chi parla?
“Niente chiedevo come va oggi?”
“... come dici?, ma chi sei?”
“Hai visto che belli i pruni selvatici in fio...”
Tuuuu Tuuuu
La primavera chiude l’inverno ed apre le porte all’estate. I rami secchi e scuri prendono vita colorandosi. Ma probabilmente non tutti se ne rendono conto.

Pollini e granelli di polvere, controluce, piroettano e danzano leggiadri sospesi nell’aria come bolle di sapone. Macchie di rosa e di bianco mescolate ad azzurri fanno da sfondo a vite grigie ed a sferraglianti tram arancioni. Ormai è tempo di trascorrere lunghi pomeriggi distesi sull’erba guardando tra le chiome verdi degli alti alberi del parco l’azzurro del cielo terso. Le ragazze si svestono dell’inverno. Le biciclette affollano i marciapiedi e le strade. La vita esce di casa dopo il letargo.

“Pronto”
“Ciao!”
“Ancora tu!”
“Già!”
“Ma cosa vuoi dalla mia vita? È da settimane che mi assilli chiamandomi a tutte le ore del giorno! Mi hai rotto le scatole con stà storia delle tue dannate chiamate senza senso! Cominci a farmi preoccupare... se non la smetti avverto la polizia e mi faccio mettere sotto controllo il telefono... Poi insomma cosa vuoi da me?”
“Volevo solo che mi riconoscessi”
“...”
“...”
“Ma... aspetta un secondo... no, non è possibile!, non ci posso credere... ma sei Car...”
Tuuuu Tuuuu
Ancora una volta troppo tardi.

lunedì 9 aprile 2007

un concorso da 10€

avevo fatto un lavoro stupendo. ero convinto mi avrebbero pubblicato. avevo partecipato ad un concorso con quei periodi perfettamente calibrati. con una struttura triangolare. precisa. e dovevo solo aspettare. attendere quel mese di consultazioni per poi ricevere una telefonata. bevvi una birra sorseggiandola lentamente dalla bottiglia. “congratulazioni” mi avrebbe detto meccanicamente una voce femminile e fredda “il suo racconto è stato ammesso tra i finalisti del concorso ..., pertanto ci allieterebbe la sua presenza durante la cerimonia di premiazione”. ed io avrei risposto accomodante e per nulla sorpreso “ok”. e lei si sarebbe incuriosita ed avrebbe dato una scorsa alla mia cartella. alla mia storia. si sarebbe mordicchiata il labbro inferiore con gli occhi attaccati alla pagina. ci avrebbe visto Gli Amanti, annusato menta selvatica e salvia, ascoltato le arie calme di un cristallino lago piatto di montagna. avrebbe assunto un contegno imbarazzato quando ci saremmo trovati faccia a faccia. probabilmente bionda come Maria, la protagonista del racconto.
fumai una postorgasmica sigaretta rilassante. dovevo solo aspettare. dissimulare come i neomiliardari vincitori alla Lotteria Italia. e così feci. ottenni un lavoro da McDonald’s ed ogni volta che mi toccava di pulire i cessi. coi guanti gialli fino ai gomiti ed il carrello degli attrezzi, lanciando verdi e chimicamente profumate compresse nei pisciatoi, ripetevo i miei versi.

amare una donna è una notte estiva con la finestra aperta:
la dolce brezza ci accarezza, ci culla;
e le zanzare rompono i coglioni.


attesi il passare di quel mese cancellando i giorni che passavano con una croce nera ed indelebile sul calendario alla parete. ogni mattina cancellavo un quadrato annusando per brevi secondi le esalazioni tossiche ed euforiche dal pennarello. idrocarburi. era la mia droga, ed ogni giorno era migliore.
dopo qualche mese l’inchiostro finì.
realizzai: “quei testedicazzo del concorso si sono fottuti i miei 10 €!”.
o semplicemente avevo sbagliato indirizzo.

e siamo contenti quando riusciamo a beccare una zanzara,
a fargliela pagare, vendicarci, essere cattivi;
ucciderla: finirla.
poi non riusciamo più a prendere sonno.

mercoledì 4 aprile 2007

galline

pensavamo spesso alla rivoluzione ma il più del tempo badavamo a bere. una birra doppio malto come uno spritz. un bloody mary od un cocktail a base di rum. qualche volta ci accompagnavamo con una busta di patatine fritte, altre con pochi grammi di arachidi. raramente con qualche ragazza. ogni tanto poi ci si trovava seduti dietro il banco imbandito per l’aperitivo. allora di solito si attaccavano le olive per passare quindi ai quadrati di pizza. ma non si mangiava comunque molto, non ci interessava. cosiccome la politica che infondo era una passione indotta dal nostro disinteresse per il calcio. e pur conoscevo alcuni attenti al calcio ed alla politica. ma quella era gente che mi curavo di evitare. sapevano di tutto un po’ e cercavano di dimostrarsi la mia ignoranza, che io di per me conoscevo. abbisognavano di me per assurgere a mito, genio, saggio. erano il classico compagno del terzo banco che sputa sicuramente più lontano di tutti. io dal canto mio sapevo di essere un genio e a Matteo glielo dicevo pure e lui mi confermava indietro che “sì, siamo dei geni”. ed in fondo era vero perché, quando solo, stavo zitto. il genere umano era noioso nella misura in cui i bestseller dei soliti autori ricalcano le solite trame avendo il solito successo. come il nero è sempre di moda. o comunque accettabile, mai eccezionale.
mi disse che aveva una idea. “c’ho una idea geniale” mi disse. ed io ero certo fosse una idea rivoluzionaria. fossimo stati in un film avrei risposto “spara” ma, sentendomi poco in arma, mi limitai a fissarlo mentre prendeva l’aria per la spiegazione. un bel respiro, quasi Al Pacino.
“occupiamo Piazza Maggiore”
“io, te e...?”
temevo la sua risposta e temporeggiai una lunga sorsata alla mia birra, trattenendo il liquido un attimo in bocca. il gas mi pizzicava la lingua e mi grattava il palato.
Matteo attese il movimento ascendente e discendente del mio pronunciato pomo di adamo.
“galline”
il nostro anarchismo aveva forti connotazioni anticlericali. oltre la concezione marxiana. per noi la religione era la causa di tutti i mali. i moloch burocratici, gli stati erano la tecnologia cibernetica e la chiesa la ruota, gli ingranaggi primi. fondamentali. la parrocchia aveva un sagrato davanti ed era stata certo una deliberata scelta della curia introdurre i piccioni: animali fastidiosi e cacherecci che si mangiano tutto digerendo in, relativamente grossi, stronzi bianchi. bersagliando teste e vestiti. i piccioni erano certamente un elemento di polizia. nessuno rimaneva a cazzeggiare per le piazze davanti alle chiese più del tempo necessario, minacciato da attacchi aerei.
ora i piccioni albergano Piazza Maggiore a Bologna come Piazza S. Marco a Venezia. sono poi sempre più diffusi anche in ambienti laici. piazze prive di chiese come Trafalgar Square o passeggi dove la sola protezione è dagli assillanti dehors di bar e ristoranti, come lungo Las Ramblas. il risultato è che nessuno si siede più, si trova per necessità a muoversi continuamente.
“e nessun cartello vieta di nutrire i piccioni”, respirò, “e nessuno potrà quindi vietare alle nostre galline di affamare i piccioni, di vincerli, di conquistare la piazza”
la nostra birra numero tre ci fissava dal terzo di bicchiere che ancora riempiva. la ventola appesa al soffitto muoveva stanca l’aria calda con pale lucide e color ciliegio. il canale musicale riproponeva il solito cocktail di musica e culi. non reggevamo il bere, eravamo ubriachi. e, senza dubbio alcuno, dei geni.