venerdì 8 giugno 2012

Fortunatamente mi ha lasciato

Quando mi stappo una birra il venerdì sera mi resta solo una certezza: che la birra finirà sicuramente prima della mia sete.
Lo ammetto senza vergogna: sono più abitudinario di un cane. Anch’io piscio sempre sullo stesso cerchione, mi spavento quando mi vedo riflesso e ululo a squarciagola nelle serate di plenilunio.
Ma non capisco dove stia il problema. Eppure per lei era inaccettabile stare con qualcuno che voleva andare solo alla pizzeria dell’angolo dove non ha bisogno nemmeno di ordinare che già gli arriva la sua pizza preferita con salsiccia, cipolla e gorgonzola ed una bella media rossa. Io lo trovo semplicemente comodo e rilassante. Lei lo trovava monotono ed irritante. Semplicemente gusti diversi. Tutto quì, pensavo. D’altra parte io me ne sono sempre guardato bene dal dirle che se per il suo compleanno ho sempre sbagliato regalo, era solo ed esclusivamente per colpa del suo continuo cambiar gusti.
Faccio un esempio giusto per fervi capire: se un sabato per strada si fermava incantata davanti ad un paio di scarpe, io il martedì, cascasse il mondo, ero già in quel negozio con la carta di credito in mano pronto per comprarle quel paio di scarpe. Poi, una volta impacchettate, le nascondevo in attesa di riesumarle il giorno del suo compleanno certo di sorprenderla. Invece no. Nemmeno quello andava bene. Sembrava fosse colpa mia se il suo compleanno era ad agosto e le scarpe che aveva guardato a dicembre avevano il pelo. Robe da matti.

Comunque sia, fortunatamente, un mesetto fa lei se ne è andata di casa ed io di testa. Dico fortunatamente perchè l’ho letto su una rivista di psicologia, una di quelle serie. Una semplice ed efficace tecnica di auto aiuto suggeriva di inserire l’avverbio “fortunatamente” in una preposizione in cui mi trovo a rimpiangere la sua mancanza. L’articolo mi garantiva che nel giro di poche settimane tutto si sarebbe sistemato e la mia vita sarebbe tornata ad essere quella di sempre. Forse per poche settimane l’autore intendeva più di quattro. In ogni caso, io continuo speranzoso a seguire il consiglio.
Dicevo che da quando, fortunatamente, se ne è andata ho capito quanto anche i piccoli oggetti allora insignificanti sparsi nella mia vita avessero in realtà un ruolo determinante nel mio equilibrio psicologico. Ora, quando mi sveglio la mattina e non corro più il rischio di sbagliare spazzolino, un morso mi stacca un pezzo di cuore, il primo di tutta la giornata. Oppure quando tutte le volte che vado a pisciare e trovo già la tavoletta alzata, nella mia mente si fa largo la certezza di averla persa. Sono milioni di piccoli oggetti, cose e situazioni che si susseguono quotidianamente ad avvelenarmi il fegato. Perchè dietro alla sua partenza si cela, nemmeno troppo, il mio senso di colpa. Questo seme che da un mese a questa parte ha trovato terreno fertile nei miei sentimenti è cresciuto a vista d’occhio e ormai stento a trattenerlo.
Ho fatto di tutto. Sono arrivato quasi a pensare di cambiare casa. Oppure di cambiare città o di farmi una plastica facciale ma forse, per i sentimenti, sarebbe più efficace un trapianto di cuore e da quando ho letto che ora ti impiantano quello di un maiale, bè, preferisco tenermi il rimorso. E la città con la casa.

Poi, penso che quando ti capita di star male per queste cose, il male ce l’hai dentro di te, non intorno. Non so se mi spiego. Voglio dire che se sto male perchè la mia ragazza mi ha lasciato, non c’è città o casa o faccia che possa togliermela di torno perchè lei sarà sempre, fortunatamente, con me.
E come se non bastasse, certo la mia resistenza al cambiamento non mi aiuta per un cazzo. Anzi, la sola idea di alzarmi per andare a pisciare nel buio pesto della notte senza accendere la luce e non trovare la via del cesso, a dir poco, mi intimorisce. Per non parlare poi della pizzeria dell’angolo: potrebbero anche cavarmi gli occhi come a Santa Lucia e adesso riuscirei comunque ad andare a mangiare la mia pizza preferita senza problemi particolari.
Ah, povero me. E’ sempre la stessa storia da quando, fortunatamente, se ne è andata. Non fai in tempo a chiederti che giorno è che ti ritrovi immerso nel solito venerdì con la solita prospettiva di un fine settimana da solo, con la solita birra finita tra le mani e la sete che ti brucia la gola più di quanto le lacrime ti bruciano gli occhi.

4 commenti:

Unknown ha detto...

Ma come fai a scrivere così bene, accidenti a te?

tenebrae ha detto...

non è 'comune' il suo modo di scrivere... hehe.

tenebrae

Unknown ha detto...

Ho trovato ironico in maniera dolorosa, quando dici che ogni mattina trovando già la tavoletta alzata, capisci ancora di più che ormai è finita.
Edificante leggere come stanno le cose dalla "vostra" parte della staccionata.

Paolo Pezzangora ha detto...

ottimo.