martedì 24 marzo 2009

poco prima di alzarmi

È come respirare creme caramel. Come a Pasqua le uova sode al mattino. Ed uno sfondo dall’odore terso. L’intensità dell’inconsistenza. Si accavallano pensieri allacciati male, bollette in scadenza, email salvate in un angolo del cervello foderato di parole non dette.
Ed eccomi: con la camicia non stirata nascosta da un maglione leggero ed insignificante, gli stessi jeans sopravvissuti alla lavatrice del sabato pomeriggio e le scarpe con la suola stinta e porosa che assorbe l’umido della strada. Annoiato come una birra scura. Con la soddisfazione e la grinta di un impiegato dell’ufficio anagrafe. Io davanti alla mia grande opera incompiuta. Io dietro una scrivania ridicola. Utile ad appoggiarci i gomiti. I denti sono ancora incapsulati dal sapore del pranzo: un recalcitrante panino al tonno e pomodoro. L’orologio è ancora troppo indietro per alzarmi da questa sedia. Attorno ci sono le solite facce ed una autistica disposizione delle scrivanie. Il fascino dell’open space. Mi accorgo di non essere il solo a far rimbalzare le dita sulla tastiera affascinato dall’apparire di nuove lettere sullo schermo. Il tappeto musicale è una singhiozzante opera post-classica in poliuretano espanso, plastica e schermi LCD. Ritorno a fissare la casella di posta aperta. Niente di nuovo. Tutto di vecchio.

giovedì 12 marzo 2009

Alcolico

Stamattina è troppo presto, il cielo è ancora nero ed ho la faccia da assassino, da maniaco, da sfattone, una di quelle facce comuni, da fototessera della stazione scattata un lunedi di buon ora, alle 6 e mezza, mentre fissi il punto sullo schermo con sotto scritto guarda qui. Ho la fretta del tempo che mi riga le guance e la fronte, gli occhi spiritati, elettrici con quel barlume di follia a rete di capillari rotti o almeno indolenziti. Una cospirazione di serpenti terrestri e mostri marini ad ornarmi la testa e coprirmi i pensieri e le preoccupazioni di arrivare a trent'anni come sono arrivato a 29, con la schiena dolorante e la pelle masticata, graffiata, il vuoto esistenziale mai colmato che come una voragine mangia buchi neri univerali, con i vestiti buttati addosso e le scarpe smangiate dai granelli d'asfalto e le arterie che cominceranno a saturarsi di colesterolo, apparentemente senza una valida motivazione. Il cielo asfaltato ed il marmo brillante delle soglie dei condomini con portineria, i pomelli d'ottone lucidi, gli zerbini immacolati ed i numeri al posto dei nomi sui campanelli, quando mi ricordo che una volta era tutto diverso e non avevamo bisogno di ridicoli espedienti per proteggere la nostra privacy. Il sole sostituito da un lampione in ghisa alogeno diffonde luce naturale e dentro ai supermercati affollati non riesci a renderti conto del tempo che passa, sfreccia furtivo anche quando non te ne accorgi e meno te l'aspetti. Esci rapinato di prezioso tempo, manciate di mezz'ora dimenticate tra gli scaffali asettici dei prodotti in offerta speciale, tra le chiacchiere delle cassiere insoddisfatte e scazzate con l'allergia al nichel che rovina le mani ed il turno del sabato pomeriggio, le vene varicose in anticipo sulla tabella di marcia... anche Giovanni Lindo Ferretti sarà stato felice, forse. Ti chiedi quante persone moriranno quella notte e quante nasceranno giusto per farti un'idea, un bilancio sulla crescita demografica espresso in numeri reali. Ti sfoghi con il cielo e ti ordini tre birre per volta perchè è inutile aspettare di finirne una ad una quando sai che la sete nel mondo non si placherà e che il tre rimane l'unico numero perfetto nonostante la tua religiosa convinzione ti porti a pensare che tutte le cose belle ed utili al mondo siano sempre due e vadano sempre in coppia, come le tette della ragazza del tuo amico frocio o le chiavi della tua macchina per la quale ti sei impegnato a pagarne un poco per volta per tutta la vita sperando che nel frattempo non finisca il petrolio e dunque la benzina oppure che non ti venga data alle fiamme durante qualche sommossa popolare, qualche guerra civile o guerriglia urbana magari un assalto al forno. La notte porta consiglio. Probabilmente non conosce il mio indirizzo e continuo ad aspettarlo giorno dopo giorno con un barlume di speranza. Una candela fioca che libera una luce tremante come la voce di un vecchio asmatico, pesantissima e sofferta. Mi ripeto continuamente che non ha senso e concordo con il mio amico, quello che sostiene sempre che è tutta una trufffa, solo una grande truffa e tu lo sai bene, mi dice. E' vero, lo so bene e lui la sa lunga. Tutti lo sappiamo, chi più chi meno, che il sudoku è solo un palliativo per la nostra autostima. E quando ce ne rendiamo conto vorremmo lanciarci come un treno per le strada male acciottolate del centro passando sopra tutti i cattivi pensieri e le calunnie, la malvagità della gente, gli abiti su misura di giovani rampanti della KPMG che tornano dal lavoro solo dopo le 21 stanchi morti, i sorrisi al fosforo degli incravattati ed i capelli impomatati dei consiglieri senza scrupoli. Non permettere ai semafori di regolare il nostro pensiero ed alle ordinanze comunali di regolamentare il nostro spirito. Ci regaliamo un venerdi-sabato-domenica con cadenza settimanale ma ci rendiamo conto che solo il mercoledì vale la pena. Gli alcolizzati dribblano ostacoli che non riusciamo a vedere, i tossici si contorcono per resistere alla forza del vento stellare e le ragazze seguono intontite lezioni di GAG per ridurre l'adipe in eccesso dai glutei, dagli addominali e dalle gambe mentre uno strato di polvere si deposita sulla loro corteccia cerebrale e si trovano ad invidiare la forma smaliante delle loro coetanee che popolano qualche remota regione occidentale del Sudan; io guardo gli uni e gli altri dal mio treno lanciato a tutta velocità senza fermate intermedie per i viali male acciottolati della città. La notte si risolve in un grido di dolore, a volte in un gutturale rutto, uno schianto od un gemito, a volte invece non si risolve per niente e dura, persiste nel continuare a pesare sulle spalle di chi non riesce a scrollarsela di dosso, di chi ha sonno ma non iresce ad addormentarsi, di chi è a Milano e vorrebbe semplicemente non esserci. I poliziotti che mangiano un kebab alle 4 del mattino mentre i travestiti imparruccati con la barba di due giorni litigano con le battone che sconfinano. Preservativi stanchi vengono furtivamente abbandonati dalle auto condensate pargheggiate in strade senza uscita e giacciono sul freddo asfalto in attesa del lavaggio stradale del martedi. Le camere d'albergo a debito di stelle, melanconicamente piene, con gli occhi sempre accesi sulla via accanto agli appartamenti sfitti, con le colate d'umidità alle pareti e la carta da parati che si scolla tra la puzza di muffe, muschi e licheni. I cani, col fiato che gli si fa corto e greve, devono tenersi la pisciata per otto ore consecutive in silenzio senza conoscerne il motivo magari solo perchè il padrone obeso sprofondato nella sua poltrona massagggiante comprata a comode rate in qualche televendita dialoga con il suo uccello stanco bombardato di tette strabordanti lanciate a flash dal tubo catodico. I calcinacci si staccano dalle pareti dei condomini dell'Aler mentre i venditori ambulanti dai sorrisi d'avorio allestiscono il banco delle borse griffate taroccate, i luridi dai loro camioncini illuminati come i luna park di Coney Island o Santa Cruz friggono pancetta ed arrostiscono salamelle da accompagnare con peperoni e cipolle, salsa BBQ e morettone in vetro da 66 per attentare alla salute degli irriducibili delle 4 e mezza. L'orologio è fermo ed il cielo ancora buio, si respira aria meno pesante ma i rumori sono infinitamente più nitidi ed amplificati dal vuoto. Cadono spiccioli sul marciapiede che sembrano detonazioni, passa la circolare e ti ritrovi a Cape Canaveral mentre le scintille del filobus sono stelle comete laiche, blu.

mercoledì 11 marzo 2009

Cristina teneva nascosti 125 euro in un barattolo in cucina

Anche questa mattina mi sono svegliato troppo presto per la rivoluzione. Un sole krumiro emaciato mi tiene compagnia assieme all’oroscopo ed al caffè caldo. Il solito vestito. La solita faccia nello specchio e Cristina ancora sul divano che prova a tenere un occhio aperto. Seguire i miei movimenti come interpretare il volo di una mosca. Desiste. Mi piace la sua posizione scomposta, le gambe troppo bianche, la coperta improvvisata, l’effetto che ha sui suoi capelli il computer dimenticato acceso.
Raccolgo il nostro amore monodose sigillato dal nodo al preservativo e lo getto via.
Sparsi ci sono dei libri aperti che mi ricordano le nostre conversazioni. Che ieri significavano tutto ed oggi sono una imbarazzante eredità. Il retaggio della maturità. Della abitudine ad una vita di merda. Contraddittoria.
Mi guardo attorno come fosse l’ultima volta. Gli occhi spinti in fuori. Il naso a ricercare l’odore del vino rosso lasciato in appello nella bottiglia. Deglutisco saporaccio misto saliva. Non so se svegliarla, rubare un ricordo o lasciare un biglietto. Indecisione da suicida. Poi recupero 125 euro da un barattolo in cucina. Il prezzo della mia dignità.
Ed esco.
Cristina intanto continua a dormire.

Napalm beach

E' stata dura ma è passata.
Ieri, concerto degli Odp. Gratis e con 4 birre trafugate portate da casa. La crisi si fa sentire ovunque, anche in Giappone. Bello, mi hanno detto del concerto. Dopo aver con fatica conquistato una buona posizione, puntuale come una battuta scontata, alla seconda canzone, la vescica si è fatta viva. Abbiamo tristemente rotto le file e siamo andati al cesso, deserto. Mi è venuto in mente Prevert mentre pensavo a Buzzati, Dino. Pisciare con la porta aperta in un bagno pubblico infonde un senso di sicurezza e mi rilassa. Non mi sono lavato le mani. Non ritengo necessario lavarmi le mani dopo essermi grattato un braccio, non vedo dunque perchè farlo dopo essermi toccato l'uccello, il mio oltretutto. Da quel momento, il volto della serata è cambiato in un turbinìo di facce sfocate, denti irregolari, occhi e voci, birre finite, chiacchiere inutili, negroni, un paio di tentativi di copulazione falliti su tre e martini bianco scadente. Così poco è bastato per farci dimenticare del concerto, della svolta della Bolognina, del conferimento della laurea ad honorem ad Alexander Dubcek a Scienze Politiche, del pericolo scampato della crisi dei missili di Cuba, del fallimento dello sbarco nella Baia dei Porci, del doverci svegliare presto l'indomani per andare al lavoro. La serata è terminata verso le due e mezzo quando ho incontrato Anna, per puro caso. Era sbronza anche lei ma a differenza mia, lei aveva la macchina e mi ha accompagnato a casa. Avevo la bicicletta legata davanti alla stazione e là è rimasta fino a stamattina. Penso di aver mandato qualche messaggio forse sconveniente, sicuramente poco decente, stanotte. Probabilmente ho sbagliato anche i congiuntivi ma non mi va di controllare. Penso che non ha senso preoccuparsi della grammatica quando non si ha niente da dire. Mi sento un pò di tosse, avverto il solito rassicurante pulsare alle meningi e l'amico crampo addominale post-miscuglio mi tiene sveglio. E' già mercoledì.