domenica 30 dicembre 2012

Un pomeriggio con i menù di Benedetta


Non c’è molto da aggiungere a questa giornata. A questo sole freddo dicembre che illumina facce di sconosciuti passanti. Senza meta, proprio come te. Ma con convinzione e sorrisi a profusione. Raffiche di profumo nell’olfatto consumato da un raffreddore. E freddo che ti secca i polmoni a respirarci. E questo giallo tendente al rosso ed al blu che non sembra nemmeno vero. Che ti viene da giurare che è primavera, che dietro all’angolo ci sarà quella faccia che cerchi. Ed avrai anche le parole giuste per iniziare un discorso. Battute, sorrisi ed il suo modo di ascoltare troppo vicino che ti scalda. E sa di tè nero. E giri l’angolo e quello dopo ancora. E niente, una ricerca inutile. Una città che ormai non ti appartiene e a cui non puoi fare altro che rassegnarti perché in fondo è tardi. Qualche scelta l’hai fatta ed ora non avrebbe senso ricominciare tutto dall’inizio. Un inizio storto come solo sai fare le cose in questo momento. Inconcludente come tutte le email che hai iniziato e poi abbandonato. Cercando qualcosa di meno impegnativo da fare che guardarti ed ascoltarti. E cercare di esistere, di avere un senso. Hai acceso la televisione e ti sei seduto. E son passati sei anni da allora, Cristo santo! E tu ancora a scioglierti con le stesse sensazioni abbandonando anche qualsiasi sperimentazione. Rinforzando i muscoli con esercizi ripetuti che ti viene da domandarti se sono ancora muscoli o piuttosto calli. Però sorridi e ti tagli spesso i capelli e la barba. Ami il riscaldamento e quella sensazione di torpore che provi sotto la doccia. La tranquillità, l’ovatta e l’odore delle struccante che precede una notte a letto assieme. È un po’ che non assaggi il sapore di sigaretta bruciata nella bocca di qualcun'altra. È troppo che non ti confessi con te stesso. Sapendo di non poterti proprio assolvere. Tutto quello che fai è camminare illudendoti che quel moto fisico esista veramente e che abbia un senso. Lo sai che non è così perché manca di intenzione e non ha nessun significato. È una canzone pop come ce ne sono tante interpretata impeccabilmente e con i cori accompagnati dagli archi. Una splendida canzone, perfetta e inutile. Quindi dove credi di andare con quell’incedere troppo rapido per ingannarti? Speri, speri di incontrarla sapendo benissimo che non hai niente da dirle, niente per cui valga la pena che lei ti incontri. Eccoti quindi aprire stancamente la portiera della tua auto valutando se è il caso di portarla a lavare oppure no. E rincasi rispettando rigorosamente i limiti di velocità.
Alla televisione Benedetta Parodi cucina un arrosto in crosta.

mercoledì 5 dicembre 2012

(Sittin’ on) the Dock of the Bay


C’era il sole. La finestra era stretta e lunga e si apriva ai piedi del letto. Avevo un lenzuolo tirato tra le gambe ed il petto. Guardavo il soffitto. Convinto di trovarci qualcosa. Impegnato a costringermi per sempre in quegli istanti.
Non me ne sarei mai andato di lì. L’avrei aspettata per sempre tornare dal bagno.
Il suo lettore mp3 ripeteva “(Sittin’ on) the Dock of the Bay” e la canzone era passata da colonna sonora a letimotiv. Ora faceva parte della scena al punto che ci sentivo il suo odore nella voce incerta di Otis Redding. Era l’odore chiaro dei fiori sottili che crescono spontanei. Era la ragione per cui ero lì, era proprio come mi volevo sentire. Appoggiato alla vita e trascinato da una corrente morbida che non mi avrebbe portato troppo lontano per non poter tornare indietro per cena.
Era una sensazione strana ed anche oggi, a distanza di anni, non riesco ad inquadrarla del tutto. Wordsworth aveva torto, torto marcio. Ed era noioso. E malinconico, come la canzone che si ripeteva di nuovo.
E lei intanto tornava in camera e mi si sdraiava accanto.
La sua pelle era chiara latte oltre ogni pudore. Mi trasmetteva un senso di immensa gratitudine.
Niente da fare, solo noi.
2 giorni stupendi.

Dopo quei giorni non l’ho più rivista. Siamo rimasti in contatto per qualche tempo ingannandoci con email troppo leziose. E dichiarazioni che purtroppo non sono mai riuscito a rinfacciarle.
Stasera però ho risentito quella canzone e mi è tornata in mente Stefania accanto a me su quel letto. Avrei voluto chiamarla, ma probabilmente non si sarebbe nemmeno ricordata di quel pomeriggio passato ad ascoltare quella canzone.
A lei importava solo il sesso anale.
Per questo l’amavo alla follia.
Capirete quindi che mi manca da morire. Tutto quello che posso fare per consolarmi è leggere su wikipedia la triste storia di Otis Redding e di quanto questa canzone abbia fregato pure lui.