giovedì 22 marzo 2007

il telefono squillò

Il telefono cominciò a squillare poco dopo le tre. Non si prolungò oltre una decina di squilli dopodichè tornò a tacere. Ma non si rassegnò, e dopo una breve attesa, riprese nuovamente a squillare, quasi sapesse che la casa non era vuota. Nessuno rispose vanificando anche questo tentativo.
Il silenzio che tornò a regnare nella casa quando il telefono cessò di squillare conferì una sensazione di irrealtà alla situazione. Dopo essere state esposte per qualche minuto al trapanante rumore metallico della suoneria dei vecchi telefoni a disco, le sue orecchie parvero ritrovare una pace mai conosciuta prima. Gli unici rumori che ora riuscivano a percepire provenivano dall’attrito che l’aria aveva sull’interno delle sue narici ritmato, in sottofondo, dai tonfi del battito cardiaco, solo parzialmente attutiti dal maglione in lana che indossava.

Da un paio di giorni l’inverno era tornato per le strade della città come se avesse dimenticato qualcosa di importante. Era il secondo giorno di primavera. L’azzurro del cielo terso lasciava intravedere all’orizzonte i contorni delle cime innevate delle lontane montagne. I pruni selvatici ed i ciliegi tutti bianchi di fiori lungo i viali erano anacronisticamente accostati a signore nuovamente in pelliccia. Sulle impalcature i muratori sbuffavano nuvolette di condensa sfregandosi le mani nel vano tentativo di ammorbidirle. Di sera, alle sette cominciava a calare il sole lasciando sui muri dei palazzi della città colate di rosso e nelle finestre un caldo ed accecante riflesso.

Gnik... Gnik... Gnik... Gnik...
A passi lenti e pesanti fece scricchiolare il parquet malfermo e vuoto della camera. Nell’aria scura si respirava l’odore della notte precedente. Raggiunse in quattro passi la sua poltrona e ci sprofondò restando in attesa di recuperare fiato. Quando ci si sveglia di soprassalto, la notte, pochi movimenti richiedono grandi sforzi.
Gli occhi spalancati nell’ombra brillavano come ghiaccio nelle notte di luna piena. Un crampo gli stampò sul viso una smorfia di silenzioso ed intimo dolore.
Si sentì vivo.
Attese qualche istante, poi frugò nella tasca sinistra della poltrona certo di trovare quello che stava cercando. Ne estrasse un mezzo sigaro ancora umido ad un’estremità. Automaticamente lo avvicinò alle labbra che subito lo afferrarono con voracità. Lo lasciò penzolare al lato ma non lo accese.

Si era svegliato nel cuore della notte più silenziosa dell’anno. Anche Bologna, che sembra non dormire mai, quella notte si era assopita con gli occhi semiaperti. Le luci gialle di ponte San Donato si spengono solo per una sera al mese creando un’atmosfera quasi onirica. Solo ombre incerte e deboli si intravedono sui marciapiedi abbagliati dai fari delle sporadiche auto. Quella notte il ponte era buio e deserto.

Dopo qualche istante raccolse da terra, scostando il bicchiere che gli poggiava sopra, un blocco di carta di cui solo si distingueva, nel buio della notte, il candore delle pagine bianche. Lo adagiò sulle gambe ed abbandonò il capo sullo schienale socchiudendo gli occhi. Con una mano ripassò lentamente la superficie della prima pagina seguendo i piacevoli solchi lasciati dalla sfera della penna articolarsi sotto i suoi polpastrelli incalliti. Nella testa aveva una dolce melodia che non gli giungeva dalle orecchie. Prese il sigaro tra l’indice ed il pollice con la delicatezza con cui si regge un fiore e lo allontanò dalla bocca. La lingua passò sulle sue labbra inumidendole, poi si separarono e fecero entrare una boccata di aria greve e cattiva. Trattenne il respiro per pochi istanti poi poche parole si trascinarono stancamente fuori dalla sua bocca
.
“Oggi ti ho regalato un fiore. Probabilmente una rosa rossa oppure un tulipano od ancora una margheritona, semplice e profumata proprio come te; sì, ti ho regalato una margheritona gialla... o forse era solo un sogno”.

Il buio è per gli occhi quello che il silenzio è per i timpani. In questa assenza percettiva la proiezione della mente è assimilabile al sogno e...

Il silenzio che, per pochi istanti, quelle parole interruppero tornò prepotentemente nella stanza. Il sigaro scivolò dalle sue dita e senza fretta cadde a terra, rimbalzò tre volte roteando compostamente nell’aria e si fermò sul parquet.

...tra affondare e precipatare varia solo la velocità con cui ci si avvicina alla stessa fine

Nessun commento: