sestavocale

lunedì 22 febbraio 2016

Il tempo tra una birra e l’altra

Perché ci incontriamo così? Con la settimana sulle spalle e per sbaglio? Con gli impegni e le cose da fare? E facciamo quasi finta di non conoscerci. E ci diciamo che ci troviamo piuttosto bene. E finisco per guardarmi le scarpe che si muovono automaticamente. La stessa faccia incredula dei genitori ai primi passi dei propri figli. Chissà se anche tu cammini uguale, mi volterei però mi limito a stringere il telefono in tasca. Respirando gli alcolici di gente che parla troppo forte per avere qualcosa da raccontare. Fa quasi freddo ma non proprio. Si sta fuori dai locali troppo angusti ma con le mani in tasca. E si sorride.
Carlo tiene banco, acclamato, fa l’imitazione del portoghese. Le mani lungo i fianchi e la schiena un po’ gobba. La voce graffiata e racconti di pesca in mare aperto. E bordelli. E azulejos.

Io recupero un’altra birra camminando lento verso il bar.

domenica 1 marzo 2015

Analogie e differenze tra Trieste e Lisbona

e a un certo punto tutto cambia.
Se pensi alle stagioni, alle persone, ai canali della televisione o alle tue mutande non ti stupisci. Però se ti accorgi che a cambiare sei tu, senza che nessuno te lo abbia fatto notare, allora credimi che qualcosa scatta. Come un colpo fortunato di roulette russa: tac.
Il silenzio è rotto solo dal 2 che stridendo sulle rotaie sosta sotto la mia finestra. Apre le porte e mi dedica una serenata a cui stasera non rispondo. I tram sono abitudinari come i cani e vanitosi come i gatti.
Il cielo è buio e sento freddo fin dentro le ossa. Mi sento addosso lo sguardo severo della luna che trafigge il vetro disegnando aloni di polvere atavica. Potrei tirare le tende ma non lo faccio. Mi liscio la barba di qualche mese e con le vertigini cerco di non pensare a te. Intanto il semaforo si fa verde, il 2 chiude sbuffando le porte e riparte fino a morire nel silenzio della notte. Spero in qualche schianto tremendo che mi riporti alla realtà.
Ancora silenzio e odore di notte.
Se fosse qualche tempo fa mi sarei già stappato una bottiglia ma ho smesso di bere e, come se non bastasse, non ho mai iniziato a fumare. Rimango impotente a subire la luna. Sono solo, prigioniero di questo attimo infinito. 
Continuo ad avere i tuoi occhi davanti ai miei e ad avvertire il sale delle tue lacrime sul mio petto. Come in un disco incantato i tuoi singhiozzi mi rimbombano nella testa e il tuo profumo non mi si stacca dal naso.
E' già passato più di un mese da quando ti ho detto basta ma tutto è ancora fermo ad allora. Il letto dove abbiamo fatto l'amore l'ultima volta è ancora sfatto e nessuno ci ha più dormito. Il cartone delle pizze è sul tavolo e sul pavimento ci sono ancora i mille pezzi di vetro della bottiglia di vino che tu non hai bevuto.
Non so perchè quella sera dalla bocca mi siano uscite quelle parole. Non so in quale parte di me si fossero nascoste fino a quel momento. Non so nemmeno se mentre le pronunciavo credessi veramente in quelle parole. Ma se tu hai creduto in quello che ti ho detto, probabilmente te lo aspettavi o almeno mi ritenevi in grado di poterle dire. Non mi hai nemmeno chiesto spiegazioni. Mi hai fissato negli occhi in silenzio per un attimo che non finiva mai. Poi ti sei avvicinata e hai appoggiato la testa al mio petto. E' stato allora che ho sentito che stavi piangendo. Solo allora mi sono reso conto che le lacrime di gioia hanno un sapore diverso. Poi ti sei staccata e ti sei accorta di essere ancora nuda e singhiozzando ti sei coperta con le mani la tua vergogna. Non mi hai più guardato negli occhi. Quando hai chiuso la porta ti voltavo le spalle e fissavo la luna dalla finestra. E' stato come destarsi da un sogno.

Trieste e Lisbona si fissano negli occhi e, senza potersi abbracciare, si specchiano nell'acqua.

venerdì 28 novembre 2014

Autunno

L’autunno è stupendo. È la stagione perfetta per condividere dei momenti dietro un bicchiere di vino e abbracciarsi con gli amici. Peccato che quest’anno non c’è stato. E tu aspetti vedendo i giorni correre sul calendario scanditi dalle domeniche del Tartufo Bianco a Savigno che continui a perderti.
E ti ripeti: “sarà per la prossima”.
E novembre finisce e tu sei sempre lo stesso. E i tuoi piani diventano scale frananti e muri farraginosi con l’intonaco scollato. E quell’odore della polvere che si solleva durante le restrutturazioni. Quando, con gli operai in casa, ti illudi di avere un sacco di impegni e cose da fare. Ed è un’illusione come il corso di inglese a cui ti sei iscritto, e l’abbonamento a Sky.
Ti guardi attorno e sono i muri che conosci e che hai paura di violentare appendendo qualcosa.
E poi cosa?
C’è stato un momento in cui pensavi di aver capito tutto, quando gli occhiali da sole non ti sarebbero serviti né per coprire le occhiaie né lo sguardo vuoto che accompagna le facce in ufficio. E le strette di mano pianificate a tavolino. E respirare piombo, solo per cercare di darsi un tono.
Parlare di Pasolini.
E perché no?
Avere un libro aperto appoggiato sul comodino. Quasi fosse dimenticato lì. Quasi a qualcuno interessasse.
E poi spendere soldi a caso.
Bere.
Respirare.
Convincerti che riesci veramente a farti del male.
A spendere tutto lo stipendio prima della fine del mese.
Ma per cosa poi?
A Stefania non interessa. Lei continua a ridere e non ti scrive più. E non sai nemmeno che stia facendo ora, e non azzardi a chiederlo. Non vorresti tornare indietro, o forse è così?
Il fatto è che ha iniziato a far freddo davvero e non hai un cazzo di voglia di accendere il riscaldamento.

Maledetto inverno.

martedì 21 ottobre 2014

...e a culo tutto il resto

È successo tutto quando hai smesso di considerare il lavoro un semplice mezzo per sopravvivere. Quando hai chiuso con le ripetizioni e le frasi criptiche. Quando hai puntato tutto sull’immagine disprezzando il libero arbitrio degli altri sensi. Hai comprato una confezione grande di profumo pubblicizzata con foto in un bianco e nero evocativo e hai iniziato a camminare più veloce. Crogiolandoti nell’urgenza. Leggendo solo le recensioni dei libri, citando i ricordi degli altri. Recuperando citazioni da pranzi di lavoro.
E non sorridi.
Vorresti ammazzarti col vino stasera ma pensi che domani devi svegliarti presto.
Controlli la mail direttamente dal telefono.
Fai i risciacqui con il Listerine.
Ti sorridi tangenziale allo specchio.
E non ti manca niente.
Manchi solo a me.
Alle serate improvvisate con troppi pochi soldi per ubriacarsi per bene. Con la convinzione che i jeans si pulissero da soli. Usando l’acqua di cottura al posto dell’olio per il soffritto che finiva sempre nei momenti sbagliati. Collezionando le prime pagine del Manifesto con l’idea di farci qualcosa di grande. E le porte di casa tua tappezzate delle cartoline più improbabili. C’era pure quella di Bologna che avevi comprato nell’edicola sotto le due torri. Su cui avevamo scritto una dedica appoggiati alle panchine di Piazza Ravegnana.

C’era scritto: “…e a culo tutto il resto”

domenica 5 ottobre 2014

España

Hai detto a tutti che andavi a Barcellona. Sinceramente ti sei vantato inserendo l’argomento appena c’era uno spazio nella discussione. Tutti dimostravano quell’invidia di circostanza tipica degli sconosciuti. Quei commenti fatti sull’onda di un entusiasmo sociale. E mani appoggiate sulle spalle quando ci si stringe la mano.

Eccoti quindi ad aggiornare la tua pagina di Facebook, con fotografie che sembrano rubate da momenti intensi ma che in realtà hai scelto con criterio. La foto di una birra in quel pub che sembra uscito da un film di Terry Gilliam, una fermata della metropolitana, la funicolare per il Montjuïc, una cena ad un ristorante giapponese dove si mangia al bancone. E sorridi oroglioso dei tuoi risultati mandando giù un’altra bottiglia di quella scatola da 15 San Miguel che hai fatto arrampicare fino a camera tua. Ti guardi allo specchio confrontandoti col protagonista del film che passano su Telecinco. Rimani atterrito dalla stiratura approssimativa della tua camicia in confronto alla sua. E ti guardi di profilo per considerare i benefici di un abbonamento esclusivo ad una palestra che frequenti con l’ostinazione di chi ha un frigorifero vuoto di vita e pieno di vizi con una impellente data di scadenza. E provi a sorridere ma è plastica con l’odore del wasabi che non sei ancora riuscito a lavarti via. E ti inventi qualche storia che racconterai al tuo ritorno, qualche particolare che non era così ma che in qualche modo renderai interessante. E tutte le canzoni che hai ascoltato tra un incontro e un altro per sentirti meno inadatto. È la vita che tutti vogliamo. E poi in Spagna la birra costa veramente poco.

mercoledì 1 ottobre 2014

Leicester Square e Listerine

Leicester Square non si pronuncia come immagini. O per lo meno non come me lo immaginavo io. Guardavo l’indicazione al titolo della piazza, facevo lo spelling in quell’aria satura di odore di fast food, schiamazzi e facce a cui non sarei mai riuscito a rivolgere una parola. E proprio non capivo. Masticavo le consonanti in bocca ma proprio non riuscivo a mandarle giù. Quel posto non era come me lo avevano raccontato e assolutamente non suonava uguale. Londra sa essere un paio di scarpe in piombo nel cuore della notte. Quando cerchi il calore in una coperta troppo corta. E nei ricordi di un mondo che appartiene ormai solo ai film in replica a Natale e a quei maglioni cuciti a mano da tua nonna. Che ti pizzicavano le braccia nude.

Ed è in una di queste giornate fredde cemento che non volevo tornare a casa. Ma evaporare è difficile d’inverno e quindi mi ero attaccato alle certezze che avevo rileggendo i soliti libri con un tono troppo basso e riflessivo. Omettendo le bestemmie come se fossero semplici refusi e non un grido di aiuto. Tondelli avrebbe avuto compassione di me. Ed io non ne avrei avuta di lui con il mio sarcasmo sigillato in porzioni monodose. Come fossero tante intercambiabili merendine del Mulino Bianco. E ora non psiconalizziamoci che mica voglio fatturarvi il prezzo di favore di €75 / ora per appoggiarvi con i cazzi vostri su una poltrona Ikea foderata in pelle per darle un senso compiuto. Non ho la partita iva e nemmeno quei dispenser da fazzoletti a doppio velo appoggiati giusto alla vostra sinistra su un tavolino di vetro. Ci ho messo un po’ di raffreddori a capire che quei fazzoletti sono per le lacrime, per questo costano poco. E si sfilacciano lasciando segni della nostra disperazione sparpagliati come i vestiti lasciati in giro da ubriachi e che ci rifiutiamo di raccogliere per almeno un paio di giorni. Che tanto non c’è nessuno che viene qua a spiegarci che il disordine casa nostra non è nemmeno la metà di quello che abbiamo in testa. Disordine che ci ostiniamo a sbrogliare ammazzandoci i neuroni nell’inseguire una generazione sacrificata per poche pagine di gloria. Probabilmente sintetizzate in qualche blog. Tipo questo, pieno di parole masticate, denti lavati e risciacqui con il Listerine.