sabato 17 dicembre 2011

Pomeriggio con suicidio


Lo saluta da un maglione rosa e lui la guarda fingendosi interessato a delle cose che ha da fare che in realtà non esistono. Va di fretta solo per darsi un senso. E mentre si allontana nella direzione opposta alla sua ricompone quei frammenti dell’immagine di lei come si fa con un puzzle di 1200 pezzi di un’opera di Van Gogh: alla cazzo. Così prova ad inserire quella collana di perle lunga e annodata al centro nel contesto di quel sorriso evidente e non ne esce fuori niente di credibile. E si costringe a non voltarsi immaginandosi che lei non aspetti altro. Che non si sia già infilata in una di quelle vie di Bologna che sembrano risucchiarti ed avvolgerti al punto che ti domandi se davvero da quel pertugio riescono a passare le auto. È convinto davvero che lei non aspetti altro che vederlo allontanarsi come nei film.
Svolta per via Indipendenza poi per via Marsala e finalmente si domanda dove sta andando. Lo fa vedendo una famiglia passare spingendo una carrozzina con una borsa di plastica che pende da una maniglia. Lo sorpassano lasciando una scia di Pasta del Fissan che sembra avere la consistenza di un uovo sodo mangiato intero. Quasi si ferma tramortito dal peso di quel pomeriggio sulle spalle. A questo punto l’unica soluzione è rientrare in casa e uccidere il pomeriggio con la televisione.

Ma fortunatamente saltò la luce in tutta la città ed il pomeriggio fu salvo.
Lui per una questione di coerenza si trovò costretto al suicidio.

lunedì 12 dicembre 2011

Un pomeriggio da H&M


Quasi non mi ricordavo più di lei. Era in quella parte di ricordi che via via si sovrappongono come i vestiti da lavare. E fanno delle palle multicolori quasi indistricabili. La palla multicolore in questione contiene una serie di serate passati seduti al bancone ordinandole da bere. Valutando che lei era sempre più bella ogni bicchiere che svuotavamo. Non ne abbiamo mai svuotati abbastanza da iniziare una conversazione. Ci dicevamo sempre: “la prossima volta”. Ci illudevamo che c’erano questioni più urgenti, spesso parlavamo di politica ripetendo le illusioni che leggevamo. Interpretando una parte una volta e una parte un’altra. Senza soluzione di continuità, solo per sentirci parlare in maniera assoluta. Poi ci salutavamo barcollanti davanti ad un niente di fatto. Succedeva sempre di domenica. In quel bel periodo dove le domeniche non finivano inghiottite dall’ombra del Lunedì. Non so se mi spiego.
Ora che ci penso non saprei dire com’è finita la storia. Non saprei se ci siamo persi di vista prima io e Stefano o se prima se n’è andata la barista. Succedeva effettivamente troppo tempo fa. Il fatto è che ora mentre le guardo distratta considerare le potenzialità dei più svariati accessori ho quella sensazione che il tempo non esista e che potrebbe benissimo essere una domenica di 7 anni fa. Non fosse che è sabato, chiaramente. E mi domando che fine ha fatto Stefano ed il nostro piano di cambiare tutto. È strano porsi queste domande dentro un H&M con i vestiti fluorescenti di sfondo.
Lei si muove lenta e non ha ancora scelto niente, sembra avere del tempo di troppo da scrollarsi in qualche modo di dosso. Quel neo sullo zigomo destro che si sollevava quando rideva con gli altri camerieri al bancone ora è fermo. Sembra malinconico appoggiato a viso bianco su cui il passaggio del tempo è stato decisamente più clemente che con me. Anche lei non sembra centrare molto con questo negozio. Il suo cappotto nero si staglia sottile tra le magliette con qualche leitmotiv abbastanza demenziale da definire una generazione. E odore dolce che ricorda il lattice dei preservativi all’aroma di fragola.
La cosa che mi piace di questi negozi è che fa sempre un caldo spropositato e non c’è nessun commesso che ti squadra chiedendo se mi può essere utile. C’è solo qualcuno che piega i vestiti abbandonati dentro ai camerini e qualcuno alla cassa. La sicurezza è affidata ad una società esterna. C’è una certo contrasto tra l’austerità della sicurezza e l’atteggiamento forzatamente hipster dei commessi. La sensazione è la stessa dell’autobus dell’18 e 35 ripieno di studenti e impiegati che si lasciano trascinare nella stessa direzione.
Fingo di interessarmi ad un maglione abbastanza scuro e ordinario da sembrare credibile. Calcolo quanti dei maglioni uguali che possiedo devo sostituire perché ci si vedono i gomiti e non posso indossarli in ufficio. Mi convinco che lei mi stia guardando, che le ricordo qualcosa che ha sulla punta della lingua ma non riesce a concettualizzare. Sento i suoi occhi quasi orientali accarezzarmi la ricrescita della barba e la bocca che non riesco ancora ad atteggiare con nonchalance.
Mi giro e non la vedo.
Meglio così.