lunedì 28 giugno 2010

Il senso che può avere andare a letto alle 20 e 50 di un lunedì sera

È ormai chiaro che non ho la più pallida idea di cosa fare. Una soluzione sarebbe annullare l’abbonamento all’ADSL Flat, un’altra dedicarmi a qualche nuovo hobby. Qualcosa di costruttivo tipo il modellismo ma più sociale. Mi vengono in mente quelle rievocazioni storiche tipicamente americane. Parenti lontane delle guerre con le pistole a gas a sfondo labilmente fascista.
Quando esco di casa sorrido sempre che sembro quasi deficiente. Questo lo so ma la mia positività sta in questo. E funziona anche. L’aggettivo che usano tutti per descrivermi è: allegro. Non che questo mi sia molto di aiuto quando in discoteca la musica è alta da concedere unicamente approcci monosillabici. Possibilità da cogliere al volo. L’occasione fa l’uomo ladro e fare il suono giusto con l’espressione giusta può essere il preludio ad un racconto divertente da fare al bar la domenica pomeriggio quando tutti controllano sul cellulare i risultati delle partite. Mentre mi trovo a bere accompagnato dal mio sorriso ebete e un disinteresse generalizzato verso gli interessi collettivi.
Oggi però fortunatamente è lunedì ed ho una scusa per andare a letto presto e non uscire né rivolgere la parola a nessuno.
Scrivo buonanotte in una mail che mando troppo lontano per aver senso raccontarlo.

mercoledì 23 giugno 2010

Stasera Carlo Magno mi fa una pippa

L'amore ci rende buoni, ottunde la nostra già di per sé ottusa mente, ovatta i nostri sottili pensieri e smussa gli spigoli della vita ai nostri miopi occhi.
Risultato: l'amore ci rende sempre un pò più coglioni di quanto non siamo già!
Perché? E' semplice come pestare una cacca di cane sotto i portici di Via Zamboni; potresti quasi non rendertene nemmeno conto, almeno fino a che non ti chiudi in ascensore. Perchè gli spigoli della vita non si smussano per un cazzo con l'amore, ma rimangono vivi e offensivi come sempre, anzi, divengono più pericolosi perchè nascosti come una Tracina sotto i pochi centimetri di sabbia del nostro amore, in agosto...
E intanto cammino sui soliti chilometri di asfalto americano rossastro seduto comodo comodo sulle settantasei rate, color rosso malizioso, ancora da pagare. Ho la mente libera da tutti i pensieri che contemplano lei. Scarrozzo, sicuro come un moderno Carlo Magno della Bassa, su queste strette strette lingue di graniglia schivando invitanti buchi neri ed evitando banchine intransitabili a pochi metri da un fiume melmoso che, arrogante, si è steso come un fazzoletto lercio nella golena infestandola di cadaveri di pecore, demoniache zanzare, fertili nutrie e flaconi di plastica, lambendo la base di pioppi giluvi e salici dal portamento palesemente gay. Sto molto attento a non finirci dentro. Non tanto per me quanto per quel povero ragazzo che transitando per questa strada, con un'erezione vistosa rinchiusa nei jeans e una ragazza poco distante (dall'erezione), con mille e più fantasie erotiche a spasso per la sua mente cresciuta a suon di film porno veri, quelli degli anni d'oro, gli ottanta: la belle epoque del pelo pubico incolto, vedendomi capottato ed incastrato in quelle maledette lamiere non ancora mie, come sapesse che mi mancano ancora settantasei rate, si troverebbe costretto, spinto da un maledetto ipocrita senso civico d'altri tempi e duro a morire, a buttarsi in questa immensa distesa merdosa per salvarmi da una morte sicura e permettermi di rovinarmi definitivamente la vita pagando rate su rate per i prossimi anni a venire e vedersi spalancate per l'eternità le scultoree gambe della sua compagna. Fanculo. Quindi guido con estrema prudenza. La radio trasmette un insolente concerto barocco eseguito per l'occasione da una pretenziosa orchestra padana composta da rane, cicale, gufi, grilli e civette. Il rumore placido placido del motore fisso sui duemilacinquecento giri al minuto entra nell'abitacolo dai finestrini, abbassati per non soffocare, insieme ad un nugolo di zanzare danzanti, eccitate come quindicenni a Riccione e vogliose di esibirsi in numeri circensi sul mio sanguigno collo e sulle mie succolenti braccia.
"Ecco a voi, gentili spettatori, la più attesa, la più feroce, la più indomabile zanzara della bassa padana... stasera, solo per voi, seguiremo insieme il numero della famelica zanzara tigre..."
La luna fa capolino solo dopo la quarta curva a destra. Scomoda, si affaccia timida e pallida dietro cumulonembi violacei. L'avrei desiderata gonfia e tronfia, gravida e raggiante. Invece no. Come spesso accade, anche stavolta quello che vorrei non è quello che ho. Ma, diversamente, non mi frega un cazzo, stasera, e mi riconosco nella luna, ugualmente. Mi ci specchio dentro come in una pozzanghera che non riflette. Mi sento il viso pallido e avverto dentro di me una piacevole leggerezza di mente e di pensiero tipica delle serate trascorse a far capolino dietro spesse bottiglie opache verdognole di rubino Lambrusco ruspante. Questo mi infonde nuova forza. Energia. Felicità. Gioia. Ebbrezza. Un tarlo fisso in testa però c'è. A volte non lo sento ma so comunque che c'è e, cazzo, martella: lei. Lei. Questa sera, mi spiace, ma non è per lei. No. Stasera è solo per me. Me. Stasera sono l'imperatore di questo posto sperduto del cazzo. Del regno che nessuno conosce e vuole. Sono il centro del mio sistema solare e, crollasse il mondo, non intendo cadere nel solito tranello. Fanculo: ti esilio dalla mia mente e dai miei pensieri!
Sbirri su queste strade non ce sono mai. Manco le conoscono, forse, queste strade che non portano da nessuna parte. Coppola, Francis Ford intendo, se avesse saputo che al mondo esiste questo posto, avrebbe sicuramente ambientato quì Apocalypse now. Di spazio per l'introspezione, quì, ce n'è a bizzeffe. Tu, Francis, e tutti voi altri registi del domani, ascoltate me: girate il mondo e non lasciatevi suggestionare dalla sempliceità e dalla banalità, cazzo! Ma sbirri, per fortuna, niente, non esistono. Così stanotte mi posso permettere di guidare come un tempo: felice fino al midollo, con la bocca impastata, respirando l'odore della vita. Dell'orzo maturo. Dell'erba umida. Del pelo bagnato. Della merda di vacca. Scruto un punto luminosissimo nel cielo vinaccia, in alto, a destra del mio parabrezza. Che parola magnifica e d'altri tempi è parabrezza? Sentite: para-brezza. Ah, che goduria. Mi suona di Fitzgerald. Di automobili anni trenta con la capottina in tela a cento all'ora sulla costa del Maryland e di notti fumose traboccanti swing in scantinati newyorkesi al sapore di whisky... o di erre moscia busona, di Côte d'Azur, Saint Tropez. Quando la sento pronunciare immagino una splendida ragazza accoccolata in una splendida Morgan beige, con un foulard che le raccoglie i capelli e gli occhiali dalla montatura importante che le schermano gli occhi. Quanta bellezza. Poi, mi suona anche di pic-nic su verdi alpeggi svizzeri... Fatto sta che questo punto luminoso luminoso emana più luce della luna stessa. La relega addirittura in secondo piano. La sminuisce e la surclassa. La umilia. Ma quel punto non è una stella, sarà Venere. Un pianeta cazzuto. Popolato da fichissime Venusiane. Quindi, non ti preoccupare, oh dolce luna, non è colpa tua... Fanculo. Fermo la macchina e spengo i fari. Il concerto intanto continua imperterrito a tenermi compagnia. Anzi, ora conquista volume e pienezza. Non c'è un cane in giro in questa penombra. Sembrano le due del pomeriggio del giorno più caldo d'agosto in piazza a Castrofilippo, in Sicilia. Il deserto e la pace. La quiete senza la tempesta. Smonto dall'auto e con cautela mi sdraio supino sull'asfalto. Emana ancora un pò di caldo che non serve. Allora mi metto le mani congiunte dietro al capo e fisso il cielo girare e girare.

martedì 22 giugno 2010

Intermezzo con un protagonista estremamente impegnato

Non c’è molto tempo. Facciamo come se dovessi improrogabilmente uscire. Come quel trattenere il respiro in autostrada dimenticando la luce accesa della riserva proprio mentre ci passa accanto un'altra stazione di servizio. Insomma la sensazione è che vorrei essere qui ma non dovrei. Roba da psicosi adolescenziale. Per lo meno non bevo. Sempre perché devo uscire e il rispetto delle leggi e quelle cose lì. L’adattamento acritico appunto. Quanti slogan mi vomiterei addosso ma è così. sono pure elegante. Mi hanno convinto a non andare in giro nudo per casa. E non è stato l’inverno ma il senso civico. Quello che mi fa sorridere ai vicini di casa. Anche a quello con il cane minuscolo che probabilmente fa barbie di cognome. E sicuramente fa casino. Al mattino alle 7 quando grazie a Dio dormo ancora. Essì che non devo tirare indentro la religione. Con tutte le cose che succedono ora. L’attualità che è estremamente di moda. Che fingo di interessarmi. Che ripropongo. Polpettoni rimasticati di notizie del bar, radio, internet. Qualcosa che mi dia una scusa per parlare. Per distogliermi dal ragionare che sennò sembro antipatico, asociale. E non si può mica. Nossignore, bisogna esserci perché chi non c’è non esiste. Roba da nascondino reificato. Roba da social network. Chissà perché nessuno usa più messenger, ora che sapevo usarlo così bene.
Bè ora devo fingere di uscire per davvero.

giovedì 3 giugno 2010

Spiaggia

Passeggia con le sue gambe depilate da calzetti in filo di scozia. Ripete sempre lo stesso avanti ed indietro. Pesta sui suoi passi di sabbia capovolti e poi li capovolge di nuovo. Crede di non pensarci ma è così. Intanto si tiene il telefono appoggiato cortesemente all’orecchio. Usa tre dita. Questa posizione mi sembra ricalcare scene ottocentesco fatte di ore del tè e mignoli nobilmente sollevati. Ma fa troppo caldo per il tè del pomeriggio. Andrebbe bene una di quelle bevande colorate da sportivi. Integratori energetici o cazzate varie. Sponsorizzate dal bicipite o lo scatto di qualcuno. Persone informate sui fatti mi hanno anche detto provochino la cellulite ma non ho verificato su wikipedia. Ogni tanto mi fido.
L’aria sa di mare in una bottiglia di birra sporca.
Carpisco qualche parola della conversazione ottimistica che mi sfila davanti.
Scommetterei le palle che i suoi occhi non ridono come voce e sorriso. Scommetterei che pure lui si domanda “che ci faccio qui”. In fondo. Ma forse è troppo. Non pare improvvisato come il sottoscritto. Ha un ombrellone con 2 sdraio ed una sedia da regista pagati per tutto il mese, una collezione che qualsiasi dentista invidierebbe di Focus e Vanity Fair, un paio di figli che poco lontano danno la caccia ai granchi raccogliendoli codardamente con una lenza da pesce dentro in secchiello, una accompagnatrice con le tette nuove di zecca che quasi c’è ancora l’etichetta con il prezzo. Si vede da come cammina per tornare allo sdraio. Roba da film porno ma senza tacco alto. Io intanto macero nel mio asciugamano Tribord che tenta continui decolli sollevando la sabbia che mi si appiccica, sulla crema distribuita male, sul sudore della fronte, su un libro noioso aperto a pagina 123.
La telefonata intanto continua ad andare avanti e indietro.
Non sono il solo a fissare la perfezione delle tette finte. Io a differenza degli altri però solo lo faccio senza occhiali da sole e con la faccia di chi sale a 12 anni per la prima volta sulle montagne russe. Sorriso d’avorio mi guarda ripetendo al telefono: “benissimo” e “grande!”. Uno dei figli urla ed un altro lo soccorre schiacciando un granchio minuscolo con una paletta dalla punta di ferro. Il suono è più o meno quello di un campanaccio suonato senza lasciarlo vibrare ma ha il sapore di un inatteso calcio nelle palle. Per cinque secondi i fratelli biondi con la pettinatura da surfista diventano i protagonisti dell’attenzione del circondario. Rimangono immobili guardandosi attorno quasi stessero salendo cinque piani con un ascensore.
Poi torniamo tutti alle nostre occupazioni. C’è un gran rumore di riviste che si sfogliano. Qualcuno si schiarisce la gola. Tetta si gira a pancia ingiù sulla sdraio. Con una delicatezza da pubblicità del bagnoschiuma.
Mi chiedo davvero come andrà a finire mentre cerco di recuperare una posizione comoda ma proprio non ci riesco.
Per fortuna arriva il bagnino e mi ricorda che quella è una spiaggia privata e che se non ho intenzione di prendere un lettino posso spostarmi e cercare l’oasi caotica della spiaggia libera.
Per un momento tutti mi guardano come quando suona l’allarme proprio mentre si esce da un negozio. Disapprovano.
Il bagnino ha una voce per nulla cordiale. È chiaro che non mi vuole ospite del suo prestigioso bagno. Ripasso la filosofia spicciola da manifestazione ormonale degli ultimi anni di scuole superiori ma non dico niente. Guardo i peli rivoluzionari sui miei polpacci e me ne vado raccogliendo alla meno peggio le mie cose.
Al bagnino auguro ogni male possibile.
Odio la riviera romagnola.