lunedì 28 marzo 2011

piccolo strazio pubblicitario


venerdì ore 21:30 presentazione di COSTOLA al Frida Café di via Pollaiuolo, Milano.
essiateci ed acquistateci che ci sono pure delle cose nostre.
più info sulla casa editrice gigante

giovedì 17 marzo 2011

Viva l’Italia

Scrivo da una stanza in affitto a Londra. Al terzo piano di una fatiscente casa in stile inglese che ho la certezza quasi assoluta sia fatta interamente in legno dipinto di quel bianco che si scrosta per l’umidità. L’appartamento è ricoperto da una moquette che avrebbe più storie da raccontare di quante non me ne possano mai venire in mente. Sa di vino, succo di arancia e giurerei di averci sentito pure l’odore della corcuma un giorno. Era un giovedì in quell’intervallo tra il lavoro e la cena. Momenti che spesso passo a guardarmi in giro cercando di meravigliarmi dell’avvicendarsi degli eventi seduto davanti a quella cassettiera con un piano ripiegabile che mi sono ritrovato in stanza. È un mobile d’altri tempi che non so se sia mai entrato in commercio con un nome che lo definisse. Anche perché non capisco ancora che utilità possa avere una cassettiera utilizzabile anche come scrivania. Ma sto divagando. Sono qui su questo piano dalle cerniere in acciaio consumato incastrato sui gomiti e osservo con insistenza lo schermo bianco del mio computer. Spero mi venga in mente qualcosa. E vorrei essere contestuale, oggi. Sforzarmi di parlare dell’Italia. Ma tutto quello che mi viene in mente è il titolo di una canzone. Che poi non mi ricordo nemmeno bene come faccia. Cosa voglia raccontare. Io oggi pensavo a quell’Italia che le telefonate la sera costavano meno, quelle della pubblicità “mi ami, ma quanto mi ami?” per intenderci. Quel momento magico dove i gettoni del telefono valevano 200 lire e viceversa. Quando il turismo sessuale era quello delle giovani tedesche che passavano le ultime settimane di luglio a Pinarella di Cervia. Tutto qui. Non ho nient’altro da aggiungere.

Si poi potrei parlare di quella volta che mi trovai ad osservare la notte che illuminava il fiume Reno, in una zona di Bologna che non ha nessuna attrattiva se non quel particolare momento. Quando le luci si specchiavano deformate nell’acqua sporca della terra degli argini bassi che si allagavano. Con gli alberi che puntavano le radici come si fa da piccoli in piscina quando l’acqua si fa più alta. E stavano fermi con le loro ossa mangiate dall’osteoporosi a guardare la mia passeggiata improvvisata da una inspiegabile mancanza di sonno. In assenza di qualsiasi pulsione particolare. Anche perché dove cazzo si va alle 3 e 40 di un mercoledì sera?
Che poi non era mica di questo che volevo scrivere.

mercoledì 16 marzo 2011

Intermezzo in una giornata difficile

Svangare una giornata difficile con un bicchier di vino era possibile quindici anni fa quando cercavamo di toglierci di dosso per la prima volta quell'aura angelica e genuina che iniziavamo a detestare. Con i primi peli sulle guance coltivati con perizia, scrupolo e scalpitante impazienza da mostrare ad ogni costo, i primi ruggiti di ribellione a gonfiare le vene del collo sguainando denti famelicamente inoffensivi, indossando abiti anacronistici, cimeli di tempi morti da un pezzo o forse addirittura mai esistiti. Sempre a sognare rivoluzioni dal sapore agrodolce sotto cieli caraibici, a cercare soluzioni impossibili per situazioni reali con la testa traboccante di certezze "per sentito dire". Serate intere a imitare i vecchi con briscole o scoponi scientifici, scacchi e occhiali dalla montatura spessa in tartaruga per darsi un tono e Dostoevskij o Camus ad ammuffire nelle tascapane. Nottate buttate in locali fumosi con il legno dei tavoli impregnato di vino, scritte, cenere e storie da osteria, metà vere e metà fantasia mista a malinconia per quello che è stato e che non sarà mai più o per quello che non è stato quando avrebbe potuto, quando il tempo era quello giusto. I primi desideri di un'identità personale, unica e migliore: la prima pietra del ponte a campata unica tra un'adolescenza disperatamente disprezzata e una maturità solo idealizzata e desiderata ma ancora troppo lontana per essere realizzata. Il vino di bassa lega a incendiare lo stomaco per giorni e liberare la mente per un secondo, sciogliere le parole e abbattere le barriere tra sogno e realtà. Conquistare le ragazze con pirotecnica timidezza per rubare un bacio da incorniciare e sul quale fantasticare per mesi e mesi. Storie di conquiste da gonfiare ogni volta un pò di più fino ad arrivare a convincersi di aver veramente fatto un'impresa in realtà solo sognata. Tutto talmente possibile da convincere anche il più diffidente, tutto così intatto e pronto per essere rotto, devastato, sventrato e ricostruito con un metro diverso, su misura. Tanta energia e vitalità, gioia e spensieratezza da far camminare una mummia da Roma a Bologna in una notte. Anni di luce senza ombre, senza turbamenti, senza pensieri negativi, senza doveri... anni luce dalla realtà.
Oggi, mi ritrovo ancora buttato su queste scomode panche legnose di quello stesso locale, così uguale e così diverso rispetto a quello di quindici anni fa a cercare di svangare una giornata difficile con qualche bicchiere di vino sotto il monito di un perentorio divieto che mi intima, fluorescente, di non fumare.

martedì 15 marzo 2011

Conversazione dietro una tazzina di caffè

Più o meno succede che tutte le mattine per una ragione piuttosto che per un’altra mi ritrovo a bere un caffè al bar. Spesso in quegli attimi che intercorrono tra il mio ingresso ed il riempimento della tazzina mi sento in dovere di intrattenere in qualche modo il barista. Il barista è un ragazzo che avrà la mia età ma che lavora da quando io passavo i pomeriggi ad inventarmi playlist da registrare su audiocassette c90. Fa quel lavoro da sempre quindi, e lo fa sempre dalle 5.30 di mattina. Quando i primi avventori sono quelli che staccano il turno di notte della pulizia strade. Gente di sostanziose colazioni accompagnate da una birra od una spremuta di arancia. E poi un paio di sigarette prima di trascinarsi a casa. Dove c’è la famiglia che inizia la sua giornata. E dove probabilmente l’acqua calda della doccia è già finita.
Al barista non devo ordinare niente. Appena mi vede fa un cenno ed inizia il suo automatico balletto attaccato alla macchina del caffè. Ha la decisione di quei ballerini di tip tap che emettono suoni decisi con le scarpe. Probabilmente c’entra anche con la sua divisa decisamente fuori moda.
In questo momento mi sento in dovere di dirgli qualcosa alle spalle. A volte mi preparo anche prima. Magari mi improvviso anche esperto di calcio se è lunedì. Ma oggi proprio non mi va. Ho quella sensazione di pasta al forno alla base della gola. Una camicia al piombo per difendermi dalle radiazioni. I capelli sporchi dei pensieri che faccio fatica a farmi venire.
Allora? Mi chiede incerto. Con la faccia di chi si aggrappa ad una certezza. La stessa che ha chi non si rende ancora conto della frase è finita, o di un camion che gli ha appena sradicato la gamba dal corpo improvvisando una manovra poco ortodossa. Ha un paio di punti neri sul naso, di quelli che si notano e che non aiutano l’empatia. Dico che oggi è una bella giornata. Che se non fossi obbligato dalle bollette e da una legge morale che chiamerò per sintesi mutuo me ne andrei tranquillamente a passeggiare. E a ‘fanculo a tutto quanto. Che non è possibile che le giornate di sole siano fatte per essere viste sbiadire da una finestra al primo piano. Che il senso della vita è un altro.
Qual è? mi fa con la tazzina che si accomoda nel buco di questa nuovo piattino griffato Mokarabia emettendo appena un suono indeciso.
Sembra davvero interessato. Un bambino davanti ad una televisione con un telecomando grande due volte lui in mano. Faccio una pausa. Prendo fiato che sa di migliaia di anni di storia. Assaggio il caffè che continuo a prendere scuro e amaro sicuro che un giorno così mi piacerà. E lo guardo.
E mi anticipa con una faccia distesa. Un sorriso troppo intenso e teatrale per essere dedicato solo alla prima fila. Dice: buongiorno! Desidera?
E le mie spalle ordinano un caffè ed un espressino.
Quindi lascio un euro sul bancone e guadagno l’uscita.
Cos’avrà di tanto speciale l’espressino? Mi chiedo tirando la porta all’interno.
Fuori dal bar intanto ha iniziato a piovere.
Il che non è poi così male.

giovedì 10 marzo 2011

La carriera nel mondo del porno

Ultimamente mi sembra di parlare sempre di lavoro. Ogni tanto mi spavento a trovarlo quasi interessante, quasi un argomento di conversazione come un altro. E non faccio il pornoattore. Nossignore, faccio un lavoro come ne fanno tanti. Noioso come mi rendo conto dai discorsi che inevitabilmente mi trovo ad origliare la sera quando esco a cena. È in queste situazioni che mi domando di cosa parlavo quando un lavoro non ce l’avevo. È in queste situazioni che mi interesso di più a quello che ho nel piatto di quello che ho dentro. E semplifico dicendo che questo filetto sembra veramente burro. Lo dico compiaciuto certo che l’interlocutore non obietterà che una panetta di burro mi sarebbe costata senz’altro meno. E che poi sarebbe stato davvero burro. Non ho un palato finissimo ma sono sicuro che 20 euro definiscono un filetto di buona qualità.
E così lei mi guarda dietro la sua barricata di patate al forno. Di quelle tutte uguali che sembrano uscite da una busta di quattro salti in padella. Mi guarda con i suoi occhi che descrivono meglio di ogni altra cosa quello che c’è tra noi. E sorride. E dice che è veramente un bel posto quello dove siamo. Che le ricorda non so quale ambiente intimo della sua infanzia. Non so in quale città.
Mi dice grazie con i suoi occhi dal colore incerto.
E sorrido appagato. Di quei sorrisi di chiusura delle scene dei film porno. Quelli che sanno di pace col mondo. Tipo Gandhi per intenderci.
E poi il vuoto. Penso a quanto sarebbe stata bella una carriera di pornoattore. Anche se probabilmente Francesca non l’avrei mai conosciuta. Perché non avrei mai fatto il lavoro che faccio.
Dico: “sai cosa pensavo?”.
“non dirmi che pensavi al lavoro!”
“maddai!” penso, cazzo.
“e allora dai forza, a cosa pensavi?”
La guardo cercando di grattarmi il cervello domandandomi dove avevo letto che c’era un emisfero dedicato all’immaginazione. Che le persone quando mentono spostano lo sguardo da qualche parte. In alto a destra o in basso a sinistra? Com’era pure? Il problema è che non sto mai attento. Chissà se ho chiuso il gas prima di uscire stasera?
“no, niente pensavo che…”
“che…” mi fa il verso seduta che sembra dietro un banco di scuola il primo giorno della prima elementare. Quando ci si improvvisa adulti. E gli adulti danno retta. Ascoltano. Assecondano. Eseguono. E, nel mio caso, quando non parlano di lavoro hanno poco da dire.
Dico: “pensavo che non sarebbe stato male essere un pornoattore”
Lei toglie una patata dalla barricata che ha davanti.