mercoledì 7 maggio 2008

La seicento gialla di Stefania ed il medico

Il posto è il solito, il Giwawa, ancora aperto.
La gente è la stessa, Marco, Giorgio, Carlo e Sergio e come sempre, nessuna donna.
Il barista non può che essere Silvano.

La scena si svolge alle quattro di mattina, ovvero, due ore dopo l’orario di chiusura obbligatoria per i locali notturni. Tutti gli avventori sono completamente ubriachi. Silvano, il barista, forse è più ubriaco dei suoi clienti. Io non ci sono. Il Giwawa è il classico posto dove nessuno ci finisce per caso. La luce è sempre soffusa, le pareti sono impregnate di fumo e, nonostante non ci si fumi più ormai da anni, l’aria sa di tabacco stantio misto saliva. I muri hanno assunto, nel corso del tempo, una tinta eterogenea di diverse sfumature di grigio. Il bancone, in legno scuro, domina un lato intero dell’unica sala che compone il Giwawa. Ci sono solo tre sgabelli “sani”, ovviamente riservati ai clienti fissi. Gli altri sette sono allentati ed un sinistro cigolìo accompagna ogni movimento; come se non bastasse,i poggia piedi sono ormai tutti definitivamente caduti. Entrando, sul lato sinistro, ci sono due tavoli da biliardo. Uno normale con il tappeto non troppo bucato o macchiato e l’altro indecente, bruciacchiato e stinto. Il primo all’italiana, il secondo con le buche. Ovviamente, sulla destra rispetto all’entrata, c’è il bagno. Uno tra i peggiori bagni della zona. Turca zozza perennemente intasata, lavello ad altezza orinatoio, invitante e per questo spesso utilizzato come tale. Tutti lo sanno e, di conseguenza, nessuno lo utilizza come lavabo. Per quello si va dietro al bancone. Lo sciacquone è guasto da sempre, ma il cartello che avverte “guasto”, Silvano, lo riscrive ogni martedì. In questo modo, per gli sprovveduti, l'inconveniente sembra appena accaduto. In compenso c’è un capiente secchio da pavimento da utilizzare per tirare l’acqua. La serratura alla porta è saltata più o meno quando lo sciacquone si è rotto.

Nella zona, quella sera, sono di pattuglia l’agente Mirko e l’agente Sabrina, due poliziotti di quartiere. Il loro compito è sostanzialmente riassumibile in due parole: fare presenza. Ovvero, far avvertire la loro presenza alla cittadinanza e rassicurarla indipendentamente dal fatto che alle quattro di mattina difficilmente qualcuno riesce ad avvertirne la presenza. L’agente Mirko, ogni volta che è di turno con l’agente Sabrina, ci prova spudoratamente. Cammina con quell’andatura inconfondibile da bulletto delle medie, fuma anche se non potrebbe, fa spaventare la collega urlando all’improviso dietro ogni angolo ed ha sempre l’aria scocciata. Ondeggia ampiamente le spalle mandando avanti un passo dietro l’altro come se stesse calciando l’aria. Si tocca spesso la pistola e fa battute stupide sulle manette ed il manganello. Ha 37 anni è scapolo e non scopa troppo di frequente anche se i suoi occhi sono azzurri. Solo se lo conoscete o lo incontrate potete spiegarvi il perchè della sua discontinua attività sessuale nonostante il colore degli occhi giochi a suo favore. L’agente Sabrina è, come si suol dire, un bel pezzo di passera anche se tutto sommato, senza divisa, probabilmente sarebbe una normale trentenne ben tenuta. Alta il giusto, con un sedere nella norma ed un seno del quale difficilmente si riesce a valutarne l’entità. Gli occhi sono castani e lo sguardo è profondo. Il cappello le dona e si destreggia molto bene in quegli abiti poco civili portando con disinvoltura la una Beretta 92F al fianco sinistro ed un nero e duro manganello al fianco destro. Le manette cromate le luccicano nella zona alta della sua natica sinistra. È molto seria e professionale. Non ama discutere e, quando ha già preso una decisione, spesso si dimostra inamovibile. Non sopporta i marpioni, quelli che sanno di avere gli occhi azzurri, gli uomini in divisa ma soprattutto odia lavorare in pattuglia con Mirko. Non lo ha mai detto a nessuno ma lo reputa, niente più e niente meno di un emerito coglione. Tra un paio di ore finisce il loro turno e per Sabrina sarà un sollievo mentre per Mirko si concretizzerà l’ennesimo rifiuto. Stanno pattugliando Via della Madonna. Per strada a quell’ora di un mercoledì non vola una mosca. Non ci sono gli spacciatori che sono soliti afforlarla il fine settimana e di conseguenza non ci sono nemmeno i tossici collassati su qualche gradino; nessun ragazzo o vecchio ubriaco fa casino. La città il mercoledì sera sembra immobile e pulita, sembra un reperto in equilibrio precario sotto teca. Tra due giorni tornerà invece ad essere quella lurida e popolata città del cinema e dalle mille sfaccettature dello stesso coccio di vetro. Nemmeno una zoccola per strada. Il camion dei rifiuti è già passato e quello del lavaggio strade ha fatto il suo lavoro. Per strada si respira addirittura profumo di deodorante da gabinetto tipico degli autogrill. Quello potente che sa di menta piperita e citronella chimica. Almeno non si sente puzza di vomito o merda. I due agenti si stanno avvicinando con passo non sincronizzato all’angolo con Via col Vento. Da dietro l’angolo si vede una luce illuminare la strada, forse un'insegna di qualche locale che, rimasta accesa nel buio della notte splende come un faro da stadio. Si sentono delle voci. L’agente Sabrina sbircia l’orologio mentre l’agente Mirko avvicina la mano destra al fianco sinistro avvertendo un freddo metallico al contatto delle sue dita. Ha un brivido. Gli agenti incrociano i loro sguardi restando in silenzio. L’agente Mirko si leva quella solita espressione da deficiente che lo accompagna sempre e ne assume una un pò meno deficiente anche se non di molto. Sabrina tende l’orecchio. L’agente Mirko slaccia il cinturino in cuoio della fondina. Uno sguardo reprentino dietro le proprie spalle rassicura l'agente Sabrina.

Al Giwawa la serata sembra non arrivare mai alla fine. Il fusto della birra è stato cambiato già tre volte dalle nove, orario in cui Silvano ha aperto la porta e sono entrati i suoi quattro avventori ormai vecchi amici. Poi più nessuno vi ha più fatto ingresso. I cinque hanno tutti il ventre talmente ricolmo di birra da lasciare il primo bottone dei pantaloni sbottonato. Hanno parlato di tutto quella sera ma sembrano non aver ancora esaurito gli argomenti. Qualcuno si sta semplicemendo ripetendo, qualcuno si è ricordato di quella vecchissima barzelletta sull’italiano, il francese e l’inglese; per fortuna tutti la ricordano e lo bloccano sul nascere. Silvano è appollaiato sullo sgabello sano alla destra del bancone, Marco è seduto sul tavolo da biliardo senza buche, Sergio è dietro al bancone, dove solitamente si trova Silvano, e sta giocherellando con un cavatappi professionale color nero e le cromature luccicanti. Carlo sta pisciando da dieci minuti e Giorgio sta pensando a cosa stia facendo Carlo da dieci minuti al cesso. Silvano sostiene che domani il tempo cambierà: gli duole il ginocchio. Sergio invece insiste nell’affermare che tra il ginocchio di Silvano ed il tempo non ci sia nessun tipo di relazione e che se qualcuno vuole sapere che tempo farà domani, non deve far altro che aspettare. “Saggio” è quello che Marco pensa di Sergio dall’alto del suo tavolo verde all'italiana. La voce dei tre è velocemente cresciuta nel corso della serata ed ora, nonostante si trovino tutti a pochi metri di distanza l’uno dall’altro ed immersi in un silenzio surreale, gridano ed urlano come sordi reduci della guerra del quindici-diciotto. Silvano non sembra affatto contento per l’affermazione appena fatta dal “saggio” Sergio. Per ribadire l’attendibilità del suo ginocchio-oracolo ricorda l’aneddoto di quando, l’anno scorso, ci fu il terremoto in Molise. In quella circostanza, la sera prima Silvano avvertì un fastidio insistente al ginocchio e profetizzò qualche calamità per le prossime ore. Nemmeno quella volta qualcuno gli diede retta. Quando alla fine, il giorno dopo, Silvano ascoltò il telegiornale ed ebbe conferma del terremoto, si rallegrò a tal punto da decidere, per quella sera, di offrire da bere a tutti, amici e conoscenti, al suo bar. Invitò anche alcuni rappresentanti della protezione civile della città amici della cugina acquisita di Marco. Alla fine di quella serata ad alto contenuto alcolico, quando anche la delegazione della protezione civile era pesantemente ubriaca, Silvano fu insignito del titolo onorifico di “premonitore cataclismatico”. Sergio, invece, quella sera lo definì una semplice Cassandra. Silvano appena sentito quel nome pensò subito a qualche prostituta e, offeso, non gli rivolse più la parola per qualche giorno. Poi, senza nemmeno doversi chiarire, il loro rapporto tornò alla normalità.
Carlo torna dal cesso con una faccia pessima e solleva Giorgio dal pensiero. Tutti si voltano verso di lui e lui si sente, a ragione, improvvisamente osservato. Qualcuno rompe il ghiaccio, forse Marco, chiedendo “se si sta così bene al cesso, cosa ci facciamo noi ancora qui?”. Carlo, col viso pallido e madido di sudore sbatte le ciglia lentamente ed attonito dice, scandendo bene le parole una ad una “amici, ho appena avuto un’esperienza extracorporea”. Si crea silenzio tra i quattro intorno a lui e poi, all’unisono, scoppiano tutti in una fragrante, grassa e rumorosa risata ubriaca. Carlo sembra sul punto di svenire ma per il momento resiste. Sergio fa il giro del bancone, si ferma davanti a Carlo fissandolo serio negli occhi. Gli mima col cavatappi l’estrazione dell’anima dal petto e poi, all’improvviso, corre verso la porta del locale ridendo ed urlando a pieni polmoni “porca puttana. Eccola che corre. Ecco l’anima di Carlo che scappa da quella bara ambulante”. Sergio spalanca con una manata la porta mentre Carlo sviene e cade sul pavimento zozzo del Giwawa tirandosi appresso qualche bicchiere vuoto dal bancone. Nella caduta si aggrappa in cerca di punti fermi, prima all’attaccapanni ed in seguito allo sgabello malfermo. Niente lo sorregge e Carlo rovina a terra con tutto il resto, battendo violentemente la testa.

L’agente Mirko sente delle urla disumane accompagnate da un rumore strano, come di cocci, poi un botto sordo ed un tonfo. Non si capisce bene cosa stia urlando quella voce nella notte. L’agente Mirko afferra solo un “puttana”, un “corre via”, ed un “anima... bara”. L’agente Sabrina cerca con lo sguardo gli occhi del collega e li trova. L’agente Mirko fa un cenno col capo in direzione delle voci, voltato l’angolo. I due agenti si sono capiti e, seguendo lo schema che hanno imparato, si schiacciano contro il muro. Ora anche l’agente Sabrina ha il calcio della pistola ben saldo tra le mani. Tolgono la rispettiva sicura con un semplice “click”. L’agente Mirko sporge un occhio da dietro l’angolo. A poche decine di metri si vede un uomo che, urlando, spalanca con forza la porta di un locale ancora illuminato nonostante la tarda e desolata ora e salta fuori dimenandosi da invasato con qualcosa di scuro e luccicante tra le mani. Da dentro il locale non si odono più rumori. Quell’uomo si è lasciato dietro una scia di luce e silenzio. All’agente Mirko era già capitata una situazione simile. Era appena entrato in servizio nel corpo dell'arma quando, durante un turno di notte, incappò col suo collega in un regolamento di conti tra malavitosi. Quella volta l’agente Mirko non fece nemmeno in tempo ad impugnare la pistola d’ordinanza che quelli avevano già incominciato a sparargli contro. Lui ed il suo collega si salvarono per miracolo rifugiandosi dietro un’utilitaria gialla posteggiata in divieto di sosta davanti ad un passo carraio. Probabilmente l'abitazione di un medico che, a qualunque ora del giorno o della notte avrebbe potuto aver bisogno di uscire dal garage con l'auto per una chiamata urgente o probabilmente no. Una volta terminata la sparatoria e salvata la pelle, l'agente Mirko ebbe l’istinto di fare una contravvenzione all’auto dietro la quale si era salvato la vita. Non la fece ma di quella sera, a distanza di anni, ricorda con precisione solo la seicento gialla in divieto di sosta e pochi altri particolari. Indagando scoprì che l’auto gialla era stata acquistata, pochi giorni prima, da una certa Stefania. La seicento era di seconda mano. Sa di dovere la propria incolumità a questa certa Stefania.
L’agente Mirko srolla la testa facendo svanire quel ricordo e con incredibile decisione, mette in atto una plastica mossa da basket e, senza muovere il piede “perno”, routa col busto di centottanta gradi finendo nella classica posizione immortalata in mille film quando un poliziotto si appresta a sparare. Nelle sue orecchie ha solo un ronzio che gli impedisce di sentire tutto quello che lo circonda, ovvero, il silenzio quasi assoluto. Niente fa più rumore; tutto ronza come un maledetto moscone insinuatosi nel condotto uditivo. Con le gambe larghe, molleggiate, col busto leggermente sbilanciato in avanti, le braccia tese con le mani unite intorno al calcio freddo della pistola ha l’indice destro fermo sul grilletto. Sudore gelido gli scende dal cappello e gli cola sulle palpebre, sulle labbra e lungo il collo. Urla “fermo dove sei! Non ti muovere”. Poi mentendo, come la registrazione di un nastro preimpostato, continua con convinzione “sei corcondato, sei fottuto. Arrenditi bastardo”. Dietro di lui anche l’agente Sabrina si è lasciata coinvolgere dalla situazione e, da buona seconda guardia, si posiziona due passi dietro il collega, alla sua sinistra, impugnando rigidamente la sua pistola. Le dita avvinghiate al calcio sono bianche e gelide, non circola più una sola goccia di sangue. L’agente Sabrina non ha mai sparato un colpo fuori dal poligono di tiro. Non si è nemmeno mai immaginata come potrebbe essere farlo. La tensione le è salita dallo stomaco sino alla testa per poi invertire rapida il suo corso e ridiscendere con un gelido brivido verso le gambe. In mezzo alle gambe avverte una leggera vibrazione, un minimo bruciore ed una sensazione di caldo seguire veloce il brivido giù fino alle caviglie. Non capisce cosa stia succedendo e, come un bambino di fronte ad una nuova emozione, rimane immobile, impietrita.

Sergio, brandendo quello stupido cavatappi nero sente qualcuno urlargli qualcosa di indecifrabile dall’inizio della via. Si volta in quella direzione e si blocca come una lepre abbagliata dai fari di un bracconiere. Sgrana gli occhi, inarca le sopracciglie e gli si blocca il respiro in gola. Vorrebbe deglutire ma non riesce per il nodo che gli si è repentinamente formato. Vede due poliziotti, nota che uno è donna e sembra carina. Sergio cerca lo sguardo della donna ma i suoi occhi si incagliano sul luccichìo della canna di una pistole che, anche se di poco, precede lo sguardo dell'agente. “Cazzo mi stanno puntando delle maledette pistole, cazzo” è quello che gli esce involontariamente dalla bocca con voce malferma e roca. Sergio non comanda più il suo corpo. Tutto quello che gli passa per la testa si materializza nella realtà. Si scuote liberandosi dall’immobilità che lo ha rapito e, comprendendo l’intenzione dei due poliziotti, gli porge le braccia tese e le mani a dimostrazione della sua inoffensività. Il gesto è istintivo e veloce; si gira in direzione dei due e fa un passo verso di loro.

L’agente Mirko non riesce più a resistere a quel ronzio che gli riempie la testa e gli comprime le meningi. Vede un sipario rosso calargi sugli occhi. Tenta di resistere ma il sipario ormai lo ha privato della vista. L’agente Mirko stringe il calcio della pistola e strizza gli occhi più volte voltando il capo dalla parte. Digrigna i denti e tende tutti i nervi del suo corpo fino a che la pressione del sangue che gli pulsa violentemente sulle tempie ed ai lati del collo diventa insopportabile. L’agente Sabrina, ora, sente anche i piedi bagnati mentre una debolezza la invade, la scuote e la getta a terra come uno straccio strizzato seguendo la traiettoria di caduta di una piuma.

Dentro al Giwawa Carlo è soccorso dai due amici e da Silvano. Ha ripreso conoscenza ma si lamenta del dolore alla testa. Giorgio ha preso del ghiaccio dalla celletta frigorifera dietro al bancone. Silvano ridacchia vedendo risorgere Carlo prima di tre giorni. Tutti ridono divertiti. Il pericolo che Carlo potesse farsi veramente male era alto ma è ormai scongiurato. Marco si dirige verso la porta per dare la buona notizia a Sergio e soprattutto perchè urge “un brindisi alla morte che nemmeno stavolta si è degnata di prendersi Carlo”. Arrivato sulla soglia del Giwawa Marco vede Sergio in mezzo alla strada tendere le braccia avanti a se come un Gesù urbano ed incamminarsi lentamente verso l’inizio della via come uno zombie. Marco non fa in tempo a pensare che questa sera sono tutti matti quando avverte un botto secco, sordo e luminoso.

Marco si china d’istinto appoggiandosi alla porta e guardandosi, spaventato, intorno.

Silvano, Carlo e Giorgio si voltano di scatto verso la porta d’ingresso.

L’agente Sabrina è incoscente distesa in mezzo al suo stesso piscio.

L’agente Mirko non sente più il ronzio. Si sente leggero ed inebriato. Gli fanno male i polsi ed ha le narici invase da un odore strano, piccante. Forse gli verrà da starnutire. Non ha ancora riaperto gli occhi ma ha calde lacrime che gli rigano il viso e singhiozzi e convulsioni che non lo fanno respirare per lunghi momenti. Diventa cianotico per l’apnea.

Sergio giace riverso in mezzo alla strada in un denso lago scuro, illuminato da un lampione di luce calda e gialla. Gli brilla il cavatappi accanto.


La settimana scorsa mi ha investito un taxi e sono convalescente a letto con una gamba rotta. Non riesco a prender sonno perchè è tutta notte che invidio i miei amici. Sono certo si stiano divertendo, ubriachi fino all’osso, al Giwawa. Spero di rimettermi presto.

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