mercoledì 6 gennaio 2010

Dopo un veloce addio all’aeroporto

Quel giorno ci salutammo all’aeroporto. Ero abbastanza giovane per avere la certezza che quella relazione potesse durare e poi c’era il sole. Mentre aspettavo l’imbarco ripassavo i momenti di quella settimana passata assieme lontani da tutto da quello che ci spaventava: la realtà dei fatti. Ci stavamo vomitando nella maturità con una euforia da funerale o da vino in cartone ma ci raccontavamo di avere un sacco di sogni che a seguirli sarebbero diventati un bel futuro. Ora posso dire che erano tutte stronzate ma allora ci tenevano vicini. E poi scopavamo e ci divertivamo un sacco anche se lei non beveva molto.
Decisi quindi di chiamarla per fare un atto sconsiderato. Stupirla con gli ultimi centesimi di traffico disponibile. La nostra relazione era basata su l’esistenza contestuale e contemporanea di noi due. Il resto avveniva in differita e mai con una telefonata. Ogni volta che ci chiamavamo doveva essere per qualcosa di importante. Mi allarmavo a leggere il suo nome tra le chiamate in entrata. Per lo più avevo paura di essere scaricato perché a dirla tutta lei era una gran figa e tutti se la sarebbero volentieri scopata ad averci avuto l’occasione. Lo stesso non era per me visto che avevo dato l’occasione un po’ a tutte e nessuna se l’era colta.
Guardai il numero nello schermo del cellulare e spinsi il tasto “chiama” inspirando l’aria finta di quelle sale d’attesa galleggianti fuori dal mondo.
Ricordo le scarpe che avevo e l’aereo che passò davanti al vetro atterrando. Pensai di poter tornare indietro a pochi giorni prima nel giro di un mese. Era forse questo che le volevo dire.

“non vedo l’ora di vederti” dissi sommessamente alla sua voce preoccupata. E lei rispose che non sentiva bene. Era in treno. Disse di aspettare un attimo che stava per uscire da una galleria. Risposi che si avrei aspettato. Lei disse “come?”. La immaginavo con una mano a coprire i rumori dell’orecchio destro china sulla sua gonna bianca. I capelli che le scendevano davanti alla faccia. Non saprei dire se la sua voce fosse preoccupata o semplicemente sorpresa. Disse che presto ci saremmo sentiti meglio. Poi finì il mio credito e lei non richiamò.

Rimasi ad aspettare qualche minuto col telefono in mano, controllando che funzionasse. Sentivo i confini delle nostre vite alzarsi come veloci prefabbricati grigi e già affittati da multinazionali straniere. Sentivo qualcuno che chiamava il numero del mio volo indicandomi. Mi incamminai al patibolo con il mio biglietto e passaporto. Mi si erano formate due sfumature scure sudore sotto le maniche della maglietta. Le sentivo imbarazzato e solo. Probabilmente anche i miei capelli erano fuori posto.

Nonostante tutto l’hostess mi sorrise strappandomi il biglietto. Mi sentii subito meglio e dovetti ammettere che anche quella volta Stefania aveva avuto ragione.