sabato 29 settembre 2012

Il colloquio di lavoro


La vedo che si costringe a guardare la televisione dopo l’ennesimo colloquio di lavoro. La vedo con i gomiti sulle ginocchia nude e la faccia trattenuta dalle mani. Mani che diventano sempre più lunghe mentre la faccia ci sprofonda dentro.
“non pensarci” si ripete sapendo di peggiorare questo momento.
Indossa ancora gli stessi abiti che aveva questa mattina uscendo presto di casa. Adesso le sembrano così grandi, adulti.
Vorrebbe il suo telefono non suonasse ma lo sa che tra poco sua madre la chiamerà apprensiva. E cercherà di minimizzare quella mezz’ora in cui un perfetto estraneo con degli occhiali da vista Ray Ban dalla montatura pesante l’ha fatta sentire inutile. In quella sala dalle pareti nude, solo una finestra mascherata da una tenda industriale ed un calendario appoggiato sul tavolo bianco. Si era sentita sezionata in una camera operatoria. Si era meravigliata dell’assenza di dolore e di quel torpore che l’aveva avvolta. E quell’odore di muschio chissà da dove veniva.
Il telefono squilla.
Abbassa il volume della televisione.
Cerca di non concentrarsi su se stessa, mantenere l’attenzione alle persone che si muovono dentro lo schermo. Con una determinazione palesemente teatrale.
La telefonata si svolge esattamente come aveva previsto e so conclude con: “tranquilla, la prossima volta andrà meglio”. Riattacca guardando lo schermo del cellulare spegnersi in modo soffuso.
Ora qualcosa le si muove nello stomaco vuoto.
Ha il suono di una moneta gettata in un pozzo dei desideri.
Un pozzo troppo affollato, con una lista di attesa più lunga di quella che ci è possibile aspettare. Solo che lo scopriamo troppo tardi e tutto quello che ci resta da fare è guardare un telefilm alla televisione sperando che domani le cose cambino.

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