lunedì 13 luglio 2009

Pausa: lavoro.

Un sacco di tempo, un sacco di acqua sotto ai ponti quasi da affogarci. Sapore di caffè bruciato aderisce al palato. Traffico davanti e sole che scalda le spalle. Il vantaggio dell'open space è che faccio fatica a leggere le parole sul computer con tutta questa luce. Tutta questa luce mista di sole e neon. Ibrida. Aria condizionata e l'orologio digitale sul cellulare sincronizzato con quello dello schermo davanti. 14 e 35. Muovo il mouse in circolo disegnando un filo inutile di pensieri. Sul tavolo delle cose da fare e l'intenzione di farle. Diciamo buona volontà. Certo sarebbe più piacevole che le cose si facessero da sole. Sfruttando l'inerzia. Come quando gli argomenti si tirano fuori da soli barricati dietro un genocidio di lattine di Birra Moretti da 33. Domani è l'anniversario della rivoluzione francese. Tanto per contestualizzare. Per ancorare alla realtà questo pomeriggio etereo cullato dalle auto che passano. Rallentano e ripartono.
Poi suona il telefono e lo guardo agitarsi come un insetto sulla schiena lotta per la sopravvivenza. Gira in senso antiorario. E con lui il nome di Carlo. E con lui un rumore noioso. Rispondo con un entusiasmo da Giro di Italia in televisione. Con una verve da Acqua di Giò. Per nulla spontanea.
Segue una conversazione che mi distoglie parzialmente dai miei pensieri.
Riaggancio consapevole del mal di testa che mi accompagnerà domani con gli immancabili compagni: alitosi e mani incerte. Guardo le fatture da codificare. Considero che più o meno 3 metri sopra la mia testa c'è la macchinetta del caffè. Una valida alternativa. Se solo avessi voglia di alzarmi. Muovermi. Scuotermi.
Alla fine preferisco lavorare. Forse anche perché il lavoro nobilita l'uomo ed io ho bisogno di attaccarmi a qualcosa. In fin dei conti.

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