martedì 15 marzo 2011

Conversazione dietro una tazzina di caffè

Più o meno succede che tutte le mattine per una ragione piuttosto che per un’altra mi ritrovo a bere un caffè al bar. Spesso in quegli attimi che intercorrono tra il mio ingresso ed il riempimento della tazzina mi sento in dovere di intrattenere in qualche modo il barista. Il barista è un ragazzo che avrà la mia età ma che lavora da quando io passavo i pomeriggi ad inventarmi playlist da registrare su audiocassette c90. Fa quel lavoro da sempre quindi, e lo fa sempre dalle 5.30 di mattina. Quando i primi avventori sono quelli che staccano il turno di notte della pulizia strade. Gente di sostanziose colazioni accompagnate da una birra od una spremuta di arancia. E poi un paio di sigarette prima di trascinarsi a casa. Dove c’è la famiglia che inizia la sua giornata. E dove probabilmente l’acqua calda della doccia è già finita.
Al barista non devo ordinare niente. Appena mi vede fa un cenno ed inizia il suo automatico balletto attaccato alla macchina del caffè. Ha la decisione di quei ballerini di tip tap che emettono suoni decisi con le scarpe. Probabilmente c’entra anche con la sua divisa decisamente fuori moda.
In questo momento mi sento in dovere di dirgli qualcosa alle spalle. A volte mi preparo anche prima. Magari mi improvviso anche esperto di calcio se è lunedì. Ma oggi proprio non mi va. Ho quella sensazione di pasta al forno alla base della gola. Una camicia al piombo per difendermi dalle radiazioni. I capelli sporchi dei pensieri che faccio fatica a farmi venire.
Allora? Mi chiede incerto. Con la faccia di chi si aggrappa ad una certezza. La stessa che ha chi non si rende ancora conto della frase è finita, o di un camion che gli ha appena sradicato la gamba dal corpo improvvisando una manovra poco ortodossa. Ha un paio di punti neri sul naso, di quelli che si notano e che non aiutano l’empatia. Dico che oggi è una bella giornata. Che se non fossi obbligato dalle bollette e da una legge morale che chiamerò per sintesi mutuo me ne andrei tranquillamente a passeggiare. E a ‘fanculo a tutto quanto. Che non è possibile che le giornate di sole siano fatte per essere viste sbiadire da una finestra al primo piano. Che il senso della vita è un altro.
Qual è? mi fa con la tazzina che si accomoda nel buco di questa nuovo piattino griffato Mokarabia emettendo appena un suono indeciso.
Sembra davvero interessato. Un bambino davanti ad una televisione con un telecomando grande due volte lui in mano. Faccio una pausa. Prendo fiato che sa di migliaia di anni di storia. Assaggio il caffè che continuo a prendere scuro e amaro sicuro che un giorno così mi piacerà. E lo guardo.
E mi anticipa con una faccia distesa. Un sorriso troppo intenso e teatrale per essere dedicato solo alla prima fila. Dice: buongiorno! Desidera?
E le mie spalle ordinano un caffè ed un espressino.
Quindi lascio un euro sul bancone e guadagno l’uscita.
Cos’avrà di tanto speciale l’espressino? Mi chiedo tirando la porta all’interno.
Fuori dal bar intanto ha iniziato a piovere.
Il che non è poi così male.

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