giovedì 17 marzo 2011

Viva l’Italia

Scrivo da una stanza in affitto a Londra. Al terzo piano di una fatiscente casa in stile inglese che ho la certezza quasi assoluta sia fatta interamente in legno dipinto di quel bianco che si scrosta per l’umidità. L’appartamento è ricoperto da una moquette che avrebbe più storie da raccontare di quante non me ne possano mai venire in mente. Sa di vino, succo di arancia e giurerei di averci sentito pure l’odore della corcuma un giorno. Era un giovedì in quell’intervallo tra il lavoro e la cena. Momenti che spesso passo a guardarmi in giro cercando di meravigliarmi dell’avvicendarsi degli eventi seduto davanti a quella cassettiera con un piano ripiegabile che mi sono ritrovato in stanza. È un mobile d’altri tempi che non so se sia mai entrato in commercio con un nome che lo definisse. Anche perché non capisco ancora che utilità possa avere una cassettiera utilizzabile anche come scrivania. Ma sto divagando. Sono qui su questo piano dalle cerniere in acciaio consumato incastrato sui gomiti e osservo con insistenza lo schermo bianco del mio computer. Spero mi venga in mente qualcosa. E vorrei essere contestuale, oggi. Sforzarmi di parlare dell’Italia. Ma tutto quello che mi viene in mente è il titolo di una canzone. Che poi non mi ricordo nemmeno bene come faccia. Cosa voglia raccontare. Io oggi pensavo a quell’Italia che le telefonate la sera costavano meno, quelle della pubblicità “mi ami, ma quanto mi ami?” per intenderci. Quel momento magico dove i gettoni del telefono valevano 200 lire e viceversa. Quando il turismo sessuale era quello delle giovani tedesche che passavano le ultime settimane di luglio a Pinarella di Cervia. Tutto qui. Non ho nient’altro da aggiungere.

Si poi potrei parlare di quella volta che mi trovai ad osservare la notte che illuminava il fiume Reno, in una zona di Bologna che non ha nessuna attrattiva se non quel particolare momento. Quando le luci si specchiavano deformate nell’acqua sporca della terra degli argini bassi che si allagavano. Con gli alberi che puntavano le radici come si fa da piccoli in piscina quando l’acqua si fa più alta. E stavano fermi con le loro ossa mangiate dall’osteoporosi a guardare la mia passeggiata improvvisata da una inspiegabile mancanza di sonno. In assenza di qualsiasi pulsione particolare. Anche perché dove cazzo si va alle 3 e 40 di un mercoledì sera?
Che poi non era mica di questo che volevo scrivere.

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