giovedì 8 settembre 2011

Apocalisse permanente

E’ finito un altro millennio da ormai undici anni e non è successo ancora nulla: miliardi di tramonti insipidi hanno seguito miliardi di albe fedifraghe, autunni polari hanno scacciato estati asettiche e l’uomo è ancora segregato su questa terra sempre più affollata e malmessa. Doveva finire il mondo invece sono finiti solo i soldi e forse è stato peggio. Torri sono cadute lasciando crateri e polvere davanti a muri armati che sono stati alzati. Tonnellate di sangue hanno intriso terre secche e malate rese aride da soli radioattivi. Governi sono collassati sotto il peso di milioni di risate mentre dittatori sono morti impiccati sotto lo sguardo di lune commosse e la sabbia del deserto è stata soffiata negli occhi e nelle bocche di persone in cerca di un briciolo di dignità. Gli amici di ieri si sono dimezzati della metà. Di alcuni si sono perse le tracce di altri il ricordo. Amici si sono sposati, altri si sono sparati, per alcuni essersi sposati è stato come essersi sparati e sono spariti senza lasciare odore di cordite, silenziosamente e con discrezione ora spingono il carrello all'Ipercoop il sabato. Facce si sono dissolte nell’acido, altre si sono scolorite come polaroid dimenticate al sole per decenni. I poster lucidi di ieri si sono scrostati dai muri del centro e si sono accartocciati in periferie morte sepolti in laghi di piscio infetto. Agli stessi nomi di ieri si sono sovrapposti titoli diversi più o meno altisonanti ma al supermercato i bambini continuano a perdersi tra i surgelati del capitan Findus e gli altoparlanti scandiscono gelidi i loro nomi come un bollettino di guerra.
I calendari sono come alberi intrappolati in un eterno autunno. Continuano a spogliarsi di mesi e mesi e mesi fino a scomparire lasciando definitivamente solo una cornice nera sulla parete bianca.
Noi che vivevamo di notte, amavamo il cielo buio e nero perchè sapevamo che sarebbe finito da lì a poco. Abbiamo sempre amato la rassicurante fugacità del tempo e la fragranza delle patatine fritte. Abbiamo adorato l’effimero e le farfalle. Abbiamo rincorso strafatti i nostri progetti imperfetti, abbiamo sfasciato i nostri orologi per rinchiuderci ore ed ore negli scantinati ammuffiti per fare un amore sporco e sudato. Abbiamo rubato piume d’uccello per ornarci la testa e far volare lontano i nostri pensieri sopra i tetti rossi e le nuvole gonfie di lacrime. Ma adesso l’abisso ci ha inghiottiti come un mare di pesante petrolio e la notte si è fatta sempre più tetra e scura lasciandoci morire di paura. Siamo omnifobici. Psicosi generalizzate e incontrollate condite con stress metropolitano quotidiano fanno scoppiare le facce dei giovani e marcire i cervelli schiavi di pillole della felicità fuori mercato. Si stringe intorno al collo dei filosofi il cappio della razionalità. La luce fioca delle lampade a risparmio energetico ci indebolisce la ragione e pensare ci fa sentire facili prede di lupi mannari e esattori delle tasse senza scrupoli. Sul campanello nascondiamo il cognome con un numero e quando il telefono squilla sobbalziamo sulla sedia temendo che dall’altra parte della cornetta ci possa essere il nostro peggior nemico che sappiamo esistere ma non conosciamo. Alcuni strappano via il cavo telefonico e smurano il campanello di casa per scongiurare quel timore. Altri tengono le ante di casa sempre chiuse rischiando di morire soffocati ma dentro di loro pensano che sia un modo migliore per morire. L'unicità ha perso la guerra e ora giace in una fosse comune dimenticata da tutti e senza nome. Per strada relitti umani nascosti dai baveri alzati e sotto cappelli larghi si confondono tra loro. Uno apre la portiera dell’auto e vomita su un’aiuola malata la bile che non riesce più a contenere, un altro si gonfia la vena alla ricerca di un paradiso mai esistito e mai perduto. C’è chi entra in un forno con un sacco di yuta gonfio d’oro annunciando che se ne va e c'è chi esce da un’edicola con un titolo al collo pronto per regalarsi alla corrente del fiume. Il gas costa troppo denaro per soffocarsi mentre un colpo di pistola troppo coraggio per ammazzarsi. Taxi spenti si rincorrono sui viali come gatti in amore mentre sirene conferiscono un’altra dimensione alla notte. Un pastore obeso e assuefatto all’ozio, sta svaccato sulla poltrona e mangia popcorn avariati e ingolla litri di bibite dietetiche mentre il suo gregge cieco va verso l’apocalisse attraversando di notte un’autostrada. Viadotti chilometrici e tralicci transcontinentali cercano invano di cucire lembi di terra malconci e deboli.
Sfinito cerco un sonno foderato di stelle comete e giardini pensili con un letto a baldacchino dove parcheggiare i miei pensieri in attesa dell’aurora del nuovo mondo.