È tanto tempo che non passavamo una sera soli. Mi ha
colpito. Mi ha colpito forte riportandomi indietro di troppo tempo per
ritrovare la stessa sensazione. Quasi si fosse creato un vuoto colpevole tra
quei due momenti che in bocca avevano lo stesso sapore di polpette di pane
servite nel piatto della domenica. Quel piatto con i rilievo sui bordi
frastagliati secondo una precisa direttiva. Piatti per cui avevamo tenuto i
punti un intero inverno. Appiccicandoli con lo scotch 3M che diventava
trasparente solo passandoci sopra l’unghia dopo averlo incollato. E non si
incollava mai bene, e non era lucido come avrei voluto. Ma avevamo sempre e
solo quello. È una di quelle cose che non mi sono mai riuscito a spiegare.
Ciononostante la notte ho sempre dormito.
“Ci sono problemi più grandi nella vita” era la frase
preferita di mio padre. L’ha ripetuta fino a consumere le maniche del maglione
che dai gomiti erano diventati trasparenti. Però sorrideva e questo mi bastava.
Quelli in fondo erano gli anni novanta.
Mi sono tornati in mente a distanza di vent’anni solo perché
ancora una volta mi sono riempito la bocca di cibo per non comunicare.
Ho ringraziato mia mamma che portava via i piatti con meno
urgenza di una volta.
Ho considerato per un attimo l’eventualità di spiegarmi
meglio.
I suoi occhi riassumevano in un attimo tutti i miei passi
fino a lì.
Uno sguardo che raccontava solo una storia senza dialoghi e
senza l’odore delle pagine che si scollano. Senza una risposta alla domanda: “come
stai?”
Una domanda troppo semplice da non essere elusa.
Quindi ho sorriso, ringraziato e me ne sono andato.
Proprio come ha fatto mio padre.
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